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In particolare scrivevo: “I cinesi vantano sia la mentalità sia le abitudini plurisecolari adatte a far funzionare un immenso formicaio mondiale assorbendone tutte le scosse. Sono infatti adusi da millenni a vivere in sistemi di controllo di massa particolarmente dispotici ed i loro parametri mentali sia in relazione all’esistenza, sia in relazione alla politica e all’economia, se a noi appaiono particolarmente robotici sono però ottimali per una gestione fredda, funzionale ed identicida financo maniacale. Se quest’ipotesi (il dupolio sino-americano) si realizzasse pienamente, assisteremmo all’abbraccio finale, alla saldatura assoluta fra capitalismo e comunismo, il culmine dell’ascesa dell’orrore”.
Da quando scrivevo quelle righe il processo di distensione fra Pechino e gli Usa ha prevalso sulle reciproche frizioni.
La Cina ha aiutato il Pentagono in Asia centrale, ha fornito industria militare all’Us Army (in particolare le pallottole al tungsteno) ed ha ottenuto il beneplacito del WTO per invadere i mercati europei.
Da qualche settimana è però partita, in occidente, una campagna anticinese.
In Italia il dissidente Harry Wu, oggi cittadino americano, sta denunciando i campi di concentramento, i Laogai, dove i condannati lavorano sodo e gratis permettendo così l’abbattimento dei costi delle merci. Harry Wu è sostenuto dalle destre, dal Vaticano alla Lega.
Il Presidente americano Bush ha criticato aspramente la Cina alla vigilia del suo viaggio a Pechino dove incontrerà il Presidente giallo Hu Jintao. Ha parlato dei diritti dell’uomo e persino della libertà di stampa. “Non è possibile che sia vietata la libera stampa della Bibbia!” ha tuonato il Cavaliere dell’Apocalisse.
È bene fare il punto su tutto questo.
In sé, nella misura in cui sia sincera e non manovrata, la critica alla Cina è fondata e condivisibile.
Le domande che  dobbiamo porci sono però di altro ordine. È un’azione spontanea o piuttosto una sceneggiata atta proprio a favorire l’avvento del duopolio sino-americano? E poi: quello che si rimprovera alla Cina non è da rimproverare anche all’intero occidente?
Alla prima incognita solo il tempo ci permetterà di rispondere. Per quel che mi riguarda non posso fare a meno di avanzare un paio di considerazioni. La prima è che questo battage in concomitanza col viaggio di Bush mi pare alquanto sospetto. A me sembra orchestrato proprio per far vedere che sì gli americani avviano un processo con la Cina, ma lo fanno con fermezza. Chiacchiere ovviamente. La seconda è che l’utilizzo in chiave anticomunista delle destre reazionarie non ostili agli Usa già lo abbiamo conosciuto in passato e, al di là delle considerazioni ideali e morali su quegli ambienti, abbiamo visto a cosa è servito. A fornire una sorta di “antitesi” hegeliana alla “tesi” in questione (l’Urss, il Pci) che permettesse di fatto l’accelerazione della “sintesi” (il compromesso storico, il bipolarismo). Sospetto, insomma, che la campagna anticinese delle destre serva, oggettivamente ad accelerare l’alleanza sino-americana e non ad ostacolarla così come le destre spererebbero.
In quanto alle accuse, sacrosante, che si muovono alla Cina, non vorrei che servissero a sciacquarsi le coscienze o a sentirsi belli specchiandosi negli stagni altrui.
Le condizioni carcerarie cinesi sono terrificanti; tuttavia non è che gli Stati Uniti possano vantare chissà quali paradisi concentrazionali, né che il rispetto dei detenuti sia colà esemplare; e per sostenerlo non è nemmeno necessario ricorrere agli orrori inauditi di Guantanamo. Gli americani neppur possono scandalizzarsi per le condanne a morte comminate in Cina, vista la falcidie quotidiana praticata negli States; con detenuti gasati o fritti sulla sedia elettrica, spesso  suppliziati dopo una reclusione di dieci o quindici anni: una doppia pena che attesta un altissimo livello di barbarie .
Lo sfruttamento integrale dei lavoratori, poi, non è monopolio cinese ma è uso costante delle multinazionali che producono nel Terzo Mondo invadendo i nostri mercati. E se qui vendono a prezzi più alti dei cinesi, questo è dovuto in larga parte alla truffa (false etichette che ci attestano come prodotti locali dei manufatti asiatici) e alla cosiddetta legge di mercato che proprio loro hanno codificato e che soffre ora la concorrenza cinese.
A tutto questo (non solo alla concorrenza, ma allo sfruttamento) si potrebbe mettere un freno mediante l’intervento della sovranità statale, a raggio continentale, e il conseguente protezionismo. Il che imporrebbe, però, un cambio radicale di civiltà economica e non una lotta isolata contro un soggetto specifico; in questo caso il gigante giallo.
Non vorrei che la Cina diventasse l’emblema propagandistico dello sfruttamento dell’uomo che non è prerogativa pechinese bensì la pratica fondante e comune del capitalismo prima ancora che del comunismo.
Non solo non avrebbe senso battersi contro la Cina senza aver sgombrato il campo da questi equivoci, ma sarebbe pericoloso e controproducente. Perché combattere una battaglia restando all’interno delle logiche del capitalismo, multinazionale o privato che sia, scaturirebbe in un’ulteriore abdicazione del (presunto) ruolo di avanguardie politiche.
Che poi ci si venga a parlare di libertà di stampa negata in Cina quando proprio in questi giorni nel libero occidente è stato imprigionato uno storico perché non conferma i dogmi fondanti della mistica sacrificale su cui si basa questo sistema dal 1945 mi sembra infine piuttosto grottesco!