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 È stata soppiantata da un insieme di interrelazioni artificiali e cablate verso un Ente collettivo sempre più astratto e virtuale, tanto che siamo precipitosamente passati dall’idea di nazione (un collettivo nel quale ognuno riusciva in qualche modo a riconoscere se stesso) a quella di un’impalpabile umanità con la U maiuscola, prova evidente, se ce ne fosse bisogno, della sua esistenza assolutamente retorica.
Ogni individuo va smarrendo le facoltà di relazionarsi; si richiude in sé, e, giorno dopo giorno, accentua l’una o l’altra delle due estreme possibilità: si fa scompostamente guitto offrendo un’espressione viscerale e volgare degli impulsi scoordinati che gli provengono dalle situazioni che attraversa o, piuttosto, si avvolge in un’introversione che cela profondità inesplorate. Profondità che spesso hanno il sapore ed il marchio dei grandi spazi vuoti, del nulla agghiacciante e che, al momento di trasformarsi in azione, producono la violenza cieca e sorda dei serial killer non a caso sempre più all’ordine del giorno.

asocialità e incomunicabilità

“Dove andremo a finire ?” “Ai miei tempi non era così”. “A mali estremi, estremi rimedi”.
In queste tre frasi stereotipate si racchiude la risposta emotiva e politica (?!) di chi prende le mosse dalle considerazioni testé espresse. Non è però il nostro caso: identificata una situazione, noi amiamo analizzarne le cause, prevederne l’evolversi e, soprattutto, cercare di intravedere i margini di manovra concessi ad un’azione di rettifica.
Partiamo allora dalle cause della disintegrazione sociale; le quali – che vi preesistano o meno delle volontà precise – sono sempre meccaniche e razionalizzabili.
Dette cause, insite nel processo evolutivo del capitalismo e delle telecomunicazioni, sono riscontrabili nella rarefazione degli spazi sociali, dei luoghi d’incontro.
Fino a qualche decennio fa la gente viveva gran parte del giorno per le strade, s’incontrava nei bar o nelle balere, discuteva, lavorava solitamente presso casa e, cosa non secondaria, anche sul posto di lavoro comunicava con i colleghi non essendo assorbita, com’è invece oggi il caso, da incombenze che la distraggono inchiodandola davanti al computer.
Lo sviluppo sfrenato del capitalismo nell’ultimo trentennio ha inoltre rivoluzionato le famiglie.
I genitori lavorano entrambi e sempre più spesso questo è il caso anche dei nonni: il focolare è sparito ed è stato sostituito dagli schermi televisivi e dal computer. Già in tenera età si apprendono la solitudine e l’incomunicabilità e, pertanto, l’asocialità. Un’asocialità che viene nutrita giorno dopo giorno. L’ultimo colpo d’acceleratore a questo processo lo hanno inferto internet – che occupa la gran parte del tempo libero di un occidentale medio – e i telefonini cellulari. Questi ultimi in particolare producono su di noi un effetto distrazione costante. Non è più possibile tenere una conversazione compiuta con chicchessia senza che questi sia sollecitato ininterrottamente da chiamate “urgentissime” o senza che si accorga improvvisamente di dovere comunicare ad un terzo qualcosa di assolutamente indispensabile… Morale della favola: non si riesce a dialogare più di qualche minuto di fila né perciò ad articolare adeguatamente un concetto. Il che non è soltanto fastidioso ma tradisce un reale problema, e cioè che l’individuo medio ha smarrito la facoltà di concentrazione, dunque di formulare una vera critica, dunque la libertà e la capacità di autodeterminazione.

sono andate smarrite le capacità logiche

Questo processo d’imbarbarimento forzato deve avere un nome. Rispondendo alla mia riflessione in materia, Roberto Salvarani mi ha informato che Ignacio Ramonet, caporedattore di Le Monde Diplomatique, lo ha a sua volta inquadrato definendolo come processo di deconcettualizzazione.
Con questo neologismo si definisce “la perdita della capacità d’intendere i concetti universali come funzioni logiche”. Ed è esattamente quel che oggi accade, in quanto gli individui, incapaci di concentrarsi e di formulare un pensiero compiuto e soprattutto impreparati a qualsiasi sintassi espressiva, ricorrono sempre più a frasi brevi e povere, a gesti secchi, a messaggi emotivi e grezzi, che, proprio a causa dell’incapacità espressiva che li determina, sono in genere irruenti fino a tradire la totale mancanza di autocontrollo.
Per chi abbia avuto il piacere di leggere il testo basilare di Huizinga, “l’autunno del medio evo”, sembra di rivivere oggi quello scorcio di epoca, così scompostamente emotiva e brutale. (1)

  cause della disintegrazione

Soffermiamoci sulle cause della deconcettualizzazione.
Personalmente ne identifico tre:
1.    la mancanza di dialogo in un ambito sociale compiuto, ad iniziare dalla famiglia.
2.    La perdita di capacità di concentrazione e l’eccessiva sollecitazione esterna (internet, televisione, cellulari ecc.)
3.    L’impostazione della dialettica quotidiana che, anche per le ragioni precedentemente elencate, si fonda sulla logica informatica del linguaggio binario e sull’impostazione propria a tutto ciò che è duale, un’impostazione eternamente ripetitiva, segmentata ed insolubile.
Ci si arresti un istante a riflettere sulle trasmissioni televisive e sulle inchieste giornalistiche.
È sorprendente  notare come invitino sempre a prendere partito tra due opzioni (poco importa se di solito entrambe false e virtuali); del resto è proprio questo lo schema fondante del bipolarismo, ossia del post-democrazia. Ed incitano a farlo in modo spettacolare, emotivo, sempre e comunque definitivo (un polo deve per forza annullare l’altro). Ma si tratta di un “definitivo” che dura lo spazio di pochi minuti perché è sufficiente reimpostare la gazzarra su altre basi affinché le medesime persone, anche soltanto a pochi attimi di distanza, si trovino ad essere accanite partigiane di quanto un istante prima volevano demolire. Altro giro, altra corsa !
Con la capacità di concettualizzare e di apportare quindi una critica propria si è andata infatti smarrendo anche la facoltà memoriale. Anche il tempo, in era globale, è diventato segmentato: si vivono frammenti scuciti nei quali si ignora la diacronia finendo con il perdersi in un effimero presente perenne che si ripropone ad intermittenza.
Ogni collegamento logico è divenuto arduo, sia in senso analitico che in senso spaziale e temporale.
L’individuo medio vive così in una sorta di sonnambulismo quotidiano. Potremmo dire, più correttamente, che nel suo relazionarsi con l’esterno è più un automa che non un animale sociale, è più un androide o un replicante di quanto sia un uomo; possiamo affermare che più che vivere egli è vissuto.
Tutto questo, sommandosi alla progressiva perdita degli strumenti culturali, comporta la piena e compiaciuta schiavitù di tutti gli individui nei confronti di un Ente virtuale e collettivo che li domina esattamente come aveva descritto Gorge Orwell più o meno mezzo secolo fa. (2)

oligarchie e riflessi condizionati

A questo punto diviene una questione di lana caprina porsi l’interrogativo se esistano o meno dei persuasori occulti, dei burattinai che profittano di questo stato di cose per strumentalizzare, dominare e spossessare le genti.
La post-società globale ha dato vita ad un conglomerato economicamente e geograficamente divaricato nel quale spiccano oligarchie diversificate. Oligarchie del denaro, della tecnica, del potere e persino del sapere.
Chiunque faccia parte di queste oligarchie vive un’autentica schizofrenia: da un lato subisce tutti i processi in atto, dall’altro li asseconda e li utilizza a ragion veduta per centrare i propri obiettivi che generalmente sono: aumentare le vendite dei prodotti che promuove il suo gruppo d’interesse e garantire la continuità di gestione del potere che occupa la propria lobby.
Chiunque s’inserisca nelle logiche comunicative dall’altra parte rispetto al semplice utente, ovvero dal lato del comunicatore, o conosce razionalmente e compiutamente le meccaniche che adopera o comunque le riconosce istintivamente e diviene in ogni caso complice del processo di asservimento, d’imbarbarimento e di desocializzazione oggi in atto. Non esistono quindi innocenti o mestatori in buona fede; come già cantava Gaber tutti i giornalisti sono colpevoli: e con loro tutti gli operatori di marketing, tutti i demagoghi di ogni risma e parrocchia. Sono però più colpevoli di alimentare una spirale viziata e morbosa che non di gestire un progetto il quale, semmai, si articola metafisicamente da sé. Se giocassimo a mescolare le biglie, a gettare tutte le individualità in un sacchetto e a riformare di colpo l’intero corpo giornalistico o l’intera classe politicante per estrazione, in tempi brevissimi tutti i fortunati signor Rossi, Bianchi, Maier, Dupont, Lopez e Peres si comporterebbero esattamente come coloro che avranno sostituito; e ciò a prescindere dalle loro formazioni ideologiche: il problema è generale ed epocale al contempo.
La logica oligarchica e disumanizzante ha compenetrato tutti, a qualunque gradino della piramide sociale siano situati.

la mancanza di alternative

L’incapacità di comunicare e soprattutto di collegare, lo smarrimento dello spirito critico e delle capacità di correlare tra loro i dati e, pertanto di intelligere causano l’impossibilità di esprimere un’alternativa perché nessuno è più in grado di stabilire a cosa e sulla base di cosa. Quasi nessuno è infatti in grado di discernere la realtà dalla dimensione virtuale nella quale è immerso e che crede di vivere, divenuto, com’è, protagonista di uno degli innumerevoli ed infiniti “Truman show”. (3)
Dal che dovremmo trarre almeno tre conclusioni:
1.    Le alternative politiche, così come sono espresse, non hanno una grande consistenza.
2.    Le reazioni alle insane sollecitazioni quotidiane dipendono in larga misura dall’universo interiore dei singoli individui.
3.    L’unica risposta politica concreta praticabile deve prevedere risoluzioni costruttive, connettive, dunque sociali; una risposta di questo genere può articolarsi solo e soltanto andando - e in anticipo - nel senso delle cose.
E con ciò passiamo finalmente  dall’analisi statica a quella della realtà in fieri, per offrire una critica propositiva, com’è nostro costume.


II. Guardiamo in prospettiva: verso la ricomposizione
Il rovescio della medaglia dello sfilacciamento dell’apparato concettuale: si va verso la crisi degli edifici clericale e marxista e di tutto il golem moderno.
Come comunicare e verso quale ricomposizione procedere.
L’assoluta prevalenza del gesto sul ragionamento.

L’individuo atomizzato sarà orfano di quel senso di appartenenza che è indispensabile alla sopravvivenza della dignità umana.
Pertanto i più deboli ne perseguiranno un surrogato nell’ambito di simulacri tribali e clanistici.
Questo alimenterà sempre più copiosamente le tante sette guidate dai ciarlatani ma anche quelle dedite a pratiche nefaste e a traffici aberranti come quelli dei bambini e degli stupefacenti. Non con diversa motivazione, anche se forse con minor degrado delinquenziale, molti raggiungeranno le logge o le confraternite clericali, tipo l’Opus Dei. Anche i partitelli estremistici, se sopravvivranno, avranno sempre più la tendenza a trasformarsi in asili psicologici per disadattati, cioè in sette essi stessi, sullo stile dei Socialist Workers, di Lotta Comunista o del Ku Klux Klan.

ricerca d’identità e ghetti di rifugio

Tutto questo, anziché rafforzare l’individuo orfano lo indebolirà, smidollandolo del tutto.
Il senso d’appartenenza, qualifica indispensabile per il vivere umano, sarà infatti pienamente recuperato solo quando le condizioni oggettive consentiranno la formazione di comunità sociali autocentrante.
Nel frattempo, però, molti individui ne coniugheranno autonomamente uno proprio ricollegandosi ad una comunità ideale, ad un’idea forza e soprattutto ad un’etica differenziata, tramite un’opera di meticoloso approfondimento degli elementi inizialmente simbolici e quindi storico-politici che saranno capaci di reperire nel gran bazar della cultura self service.
Più passerà il tempo però più costoro incontreranno degli ostacoli di relazione nelle rispettive aree di riferimento (marxiste, clericali o di estrema destra).
In quanto ricercatori di un’identità autentica, non potranno intrattenere un rapporto prolungato con chi affolla gli ambienti in cui ristagnano le idee: questi luoghi d’incontro saranno infatti sempre più popolati da disadattati in cerca di sollievo esistenziale a basso costo che nulla o quasi hanno a che vedere con ciò di cui reclamano l’eredità. L’incomprensione reciproca tra questi ultimi e coloro che sono invece realmente motivati è inevitabile e, da come già oggi vanno le cose, possiamo prevedere che finiremo con l’assistere a paradossi grotteschi. A false vestali del fascismo, del cristianesimo o del comunismo che scomunicheranno e – soprattutto – faranno fuggire lontano dei fascisti, dei cristiani, dei comunisti veraci dai templi che essi avranno occupato con la prepotenza ottusa dei guappetti di periferia.

modifiche nel linguaggio

Nel contempo il linguaggio continuerà a mutare.
Gli individui, sempre più isolati ed introversi, si differenzieranno per costruzione interiore:  che in ognuno verrà determinata dall’intelligenza, dal carattere, dalla volontà e anche dalla cultura di partenza. Così certuni diverranno dei veri e propri uomini d’élite, quantomeno in potenza, mentre molti saranno soltanto propensi a seguire: il che non vorrà assolutamente dire che non saranno istintivamente in grado di discernere chi e cosa meriti di essere seguito.
Per tutti, in ogni caso, il linguaggio sociale si farà sempre più elementare; il che comporterà, come già oggi possiamo notare, un costante recupero dell’immagine, della parola - al singolare - e, pertanto, le correlazioni mentali si sposteranno sempre più dal piano concettuale a quello simbolico, emotivo ed irrazionale.
Almeno inizialmente questo sarà un sintomo d’imbarbarimento ma nel tempo determinerà anche delle conseguenze positive.
La prima delle quali sarà la liberazione dell’individuo da una serie di griglie preconcette. Molte delle costruzioni razionalistiche alle quali siamo abituati provengono, infatti, da postulati assolutamente falsi che stanno in piedi solo perché non più messi in discussione. Di tali costrutti ideologici abbiamo perpetrato a lungo l’esistenza, e ne abbiamo subito i danni, proprio perché, adusi ad una concatenazione più o meno sillogistica dei concetti, abbiamo sempre discusso le conseguenze senza mettere in discussione le premesse: cioè i falsi postulati, cioè le sabbie mobili sulle quali si fonda l’intero sistema contemporaneo.
Il nostro calo di capacità interrelativa renderà più labili i nodi che tengono insieme l’intera rete nichilistica della modernità.
La costruzione ideologica del marxismo così come quella del clero si riveleranno nel tempo progressivamente sempre meno solide. Questo è il rovescio della medaglia dell’annichilimento della costruzione personalistica: abbandonato a vagare nell’universo virtuale, condannato alla deconcettualizzazione e alla perdita di percezione spaziale e temporale, ogni giorno che passa l’individuo smarrisce un po’ più il filo logico che lo strutturava. Forzatamente, allora, i più intelligenti ed i più sensibili cercheranno autonomamente i propri orizzonti e si procureranno bussole vere  (il sempre più massiccio e continuo riferimento a Mussolini ne è già una prima prova) mentre gli altri vivranno i vari istanti della loro esistenza discentrata senza alcuna soluzione di continuità.
Anche se non metteranno compiutamente in discussione tutte le banalità del politically correct vivranno sempre più agli antipodi dei comandamenti neomoralistici.
Dal che possiamo concludere che, giunto all’apice dell’edificazione del suo tempio, il progressismo moderno si è scavato da solo la fossa che ne mina le fondamenta.

cosa significa comunicare

Sia chi scrive che chi legge quest’articolo dovrebbe riconoscersi in una comunità d’appartenenza ed averne a cuore, insieme ai destini del proprio popolo, il potenziamento e l’operato. Pertanto se quanto abbiamo descritto è vero, dobbiamo farne tesoro per trarre delle conclusioni pratiche.
Le quali si possono così ricapitolare.
1.    A riconoscersi in una specifica identità ideale ed etica sono e soprattutto saranno individui isolati sempre più numerosi che tenderanno a frequentare solo saltuariamente, o magari non frequenteranno affatto, i luoghi d’aggregazione dell’area.
2.    Fulcro di qualsiasi azione propagandistica ed organizzativa futura è proprio la capacità di raggiungere, di motivare e di coinvolgere questi individui isolati.
3.    L’impatto che si può ottenere al di fuori dal nostro micro habitat, con un messaggio indirizzato ad un interlocutore mirato dipende dalla capacità di dominare la comunicazione. Ovvero dalla capacità di esprimersi per simboli, immagini e parole forti e di seguire, nel farlo, due ordini di trame. Una trama logico-irrazionale, congeniale tanto al messaggio quanto ai ricettori ed una metodologica che tenga conto dei mezzi di comunicazione e soprattutto dei diversi tempi di utilizzo da parte dell’utente. Tanto per intenderci il messaggio deve essere espresso in un sistema concepito in un ordine progressivo che vada dall’elementare al complesso,  dal sintetico all’analitico, dall’emotivo all’approfondito differenziandosi per ogni livello che s’intende raggiungere. In altre parole questo articolo è la prova più eloquente di come non si deve comunicare essendo il suo scopo unico quello di far riflettere dei potenziali comunicatori già formati ed affermati. Supposto che esistano.
4.    Ammesso che si riesca a veicolare il messaggio in un’area non più del tutto visibile e tangibile eppur omogenea per riferimento;  considerato il fatto che i suoi componenti non saranno particolarmente motivati a partecipare se non saltuariamente ad iniziative politiche abituali ed abitudinarie; la domanda che sorge spontanea è: a quale scopo ?              Articolerei la risposta come segue:
a)    per potenziare, qualificare, diffondere ed universalizzare un messaggio destinato a svolgere un ruolo nelle vicende future della collettività tutta.
b)    Per creare delle punte di diamante che abbiano la mentalità, il gusto e la formazione adatti a intervenire in modo attivo e gioiosamente provocatorio nella comunicazione di massa. Secondo metodi già analizzati e proposti altrove. (4)
c)    Per istituire una serie di roccaforti metapolitiche o parapolitiche creando strutture serie e stabili che acquisiscano un solido potere contrattuale e una notevole capacità d’influenza. (5)

una rivoluzione di fondo

Al che, non ci restano che un paio di considerazioni per concludere questo soliloquio nella speranza che esso risulti in qualche modo fecondo.
1.    Per comunicare nella società atomizzata bisogna, innanzitutto, rigettare tutti i clichets imperanti. Il linguaggio dei giornalisti e dei politicanti è oramai a circolo chiuso, è ridondante di nullità. La convinzione diffusa per la quale accettando i codici in vigore si verrebbe accolti diventando con ciò universalmente comprensibili è del tutto priva di fondamento. Per chi s’inserisca nel girotondo delle poltrone e giochi l’alternanza dell’accesso alle tangenti questo è magari vero perché vuol dire parlare il linguaggio dei più mediocri addetti al controllo: per chi faccia o voglia fare politica è assolutamente falso. Per comunicare si deve assolutamente essere originali, scarni, di buon senso e sferzanti.
2.    Mai come oggi la comunicazione dipende dal gesto più che dalla parola. E mai come ora diviene difficile ingannare nel gesto perché, ripiegatosi verso l’istinto, l’uomo ha maggiori capacità animali di discernere. Il che vuol dire che il principale strumento di comunicazione sta nel gesto, nel comportamento, nell’esempio. Ovvero nella generosità disinteressata e senza etichetta.
3.    Le vie di aggregazione umana sono essenzialmente tre: la coercizione, la persuasione e la seduzione. Fermo restando l’attuale rapporto di forza e tenendo vieppiù conto dell’evolversi delle relazioni sociali, le prime due vie non sono percorribili se non in tempi ulteriori. Solo la terza è alla portata. Il che vuol dire che elementi di aggregazione forti sono soprattutto quelli irrazionali, emotivi e profondamente radicati. Il che vuol dire, dunque, che gli unici luoghi d’incontro e d’organizzazione che possano vantare solidità sono quelli ancorati a simboli forti, basati su di un modo di vivere gioiosamente diverso, assolutamente disinteressato, abitati da uomini esemplari nel comportamento e che non recitino in alcun modo secondo copione.
4.    Tutto questo oltre ad offrire isole felici nel marasma contemporaneo sta anche alla base delle future aggregazioni sociali che saranno fondate sul matrimonio luogo-lavoro, oltre che su di una visione tanto ludica, ovvero sdrammatizzante, quanto etica e responsabile, della vita. Aggregazioni sociali che seguiranno presumibilmente alla forte implosione oggi in atto.



(1) Cfr. J.Huizinga “L’autunno del medioevo”, ed. Sansoni, 1966                                                                                                                                  Del resto non è un caso che la definizione di “concettualismo” dati solo di poco tempo più tardi: allorquando, fuoriuscendo da un caos regressivo, si riprese a collegare tra loro i concetti secondo le leggi dell’intelligenza.
Né è un caso se i periodi storici più simili a quello che attraversiamo, entrambi periodi di crisi spirituale ed intellettuale oltre che economica, sono proprio il Tardo Medioevo ed il Tardo Impero Romano.
Che, va detto, superato l’imbarbarimento, hanno poi visto nascere nuclei politici e sociali di tutto rilievo, registrando la risorgenza della socialità e della civiltà.
(2) Gorge Orwell. 1984. Ed. Oscar Mondadori, aprile 1973 (prima edizione, la Medusa, novembre 1950)
(3) “The Truman Show” fu scritto da Andrei Niccol e realizzato cinematograficamente da Peter Weir nel 1998.
(4) Cfr “Le api e i fiori” ne “Il pensiero armato”, ed. quattrocinqueuno, luglio 2000.
(5) Cfr. “Dalla periferia all’avanguardia” Orion 214, luglio 2002