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Il gesto e le prevedibili conseguenze (una stangata alla società e lunga squalifica dello stadio Olimpico) hanno provocato aspre polemiche. Da un lato quelli del “politicamente corretto”, quelli del “vivere civile”, del “così non si risolve niente”, del “è un atto grave, scandaloso”, del “siamo nel 2004”; dall’altro molta gente comune e ruspante che si dice che in fondo colpirne uno per educarne cento non è così sbagliato e che “ogni pazienza ha un limite” e che “così impareranno a rispettarci” e che “la dignità non ha prezzo”. Molto interessante lo spartiacque che si è venuto a creare e che forse non si limita al pallone ma coinvolge il modo di affrontare una realtà in cui siamo stati espropriati di tutto e privati di ogni possibilità di affermazione e, talvolta, abbiam voglia di riprenderci la libertà negata con un gesto liberatorio dal gusto forte, che ci restituisce aria ai polmoni.

D’altronde tutto il buonosimo, che poi è spesso una perniciosa forma d’intolleranza e di ottusità, comincia a stancare. Le sue mediocri, sguscianti, sdrucciolevoli, in poche parole vili asserzioni di fondo, si sono rivelate inesistenti, nella vita di tutti i giorni e, di rimbalzo, anche nello sport.

Se è certamente vero che dar sfogo alla propria esasperazione, sul breve ma non necessariamente a lungo termine, si rivela controproducente, è pur vero che tutta la retorica sulla civiltà, la serenità, il vivere civile e chi più ne ha più ne metta, è priva di fondamento e viene smentita giorno dopo giorno.

Viviamo da tempo nella società dello spettacolo; lo sport in generale e il calcio in particolare sono spettacolo puro che garantisce un grande affare economico nonché di riciclaggio capitali. Le leggi obbrobriose sulle quali si fonda il sistema mondiale della società dello spettacolo, completamente in mano al Crimine Organizzato, sono le stesse che regolano il pianeta calcio.

Non ci si venga a cianciare di sportività né a predicare che si debba abbandonare il vittimismo. Che dei meccanismi irritanti e perversi siano presenti nel calcio (e in altri sport) è pacifico. Chi non li vede o è distratto, o è superficiale, o è cieco, o è in mala fede, oppure non vuole vedere perché ha paura di fissare negli occhi la verità.

Basti considerare quel che accade nel nostro calcio. Chi si era permesso di sfidare il monopolio televisivo, Cecchi Gori, venne fatto fallire e messo in berlina, con la testa mostrata su di una picca. La Fiorentina radiata perché rea di lesa maestà, dovette addirittura cambiare nome trovandosi condannata alla C2 per poi essere ripescata in modo spregiudicato e clamoroso quando l’aveva rilevata un uomo gradito al palazzo. Se dei presidenti danno fastidio (Sensi, Preziosi, Gaucci) le loro squadre sono soggette ad un anno di persecuzione ostentata e continuata e poi, candidi candidi, ce lo vengono anche a raccontare gli stessi designatori arbitrali. Come se nulla fosse.

Il Parma fallisce ? Contro ogni legge discussa e approvata, viene mantenuto in A, cambiando soltanto la sigla accanto al nome ! Si lascia fallire invece il Napoli, che pure ha presentato un piano di risanamento e lo si retrocede in C1. E fortuna che la camorra deve avere qualche interesse in materia, altrimenti, alla luce di questo palese doppio peso e doppia misura utilizzato in decisioni contemporanee, in una piazza così calda ci sarebbero scappati i morti.

E dove lo mettiamo il calcio-scommesse ? E il fatto che, puntualmente, quando scoppia lo scandalo qualche società paghi e qualcun’altra venga sottratta di soppiatto dall’indagine ? E che conseguenze ha avuto la denuncia, dimostratasi circostanziata, di Zeman sul calcio-farmacia ?

E che diciamo del potere trasversale della Gea ?  E di quello verticale delle pay-tv ? È tutta una combine, c’è molta ingiustizia: è diffusa e quel che è peggio è che è palese e ostentata, con arroganza, con protagonismo, con spocchia: come se chiedessero “spaccatemi la faccia”.

Roba da italietta direte voi ? E lo scorso mondiale, quando la Corea fu portata in semifinale dagli arbitri ? Con favori ? Macché, semplicemente annullando senza spiegazione tutti i goals segnati dai suoi avversari nelle eliminazioni dirette. E chi lo ha dimenticato dia un’occhiata a Corea-Spagna.

Un’irritante farsa  consumata sotto gli occhi di un miliardo di spettatori che – e qui è il grave – neanche più sentono ribollire il sangue.

E il Portogallo com’è giunto in finale agli ultimi Europei ? (A proposito, deve ringraziare proprio il signor Frisk).

Il calcio è marcio, direte voi, e allora perché accalorarsi: pensiamo ad altro.

D’accordo, l’obiezione è sensata; ma il punto è che il calcio è uno degli elementi fondanti della nostra società ed il modo in cui gli spettatori, i tifosi, lo vivono è specchio di come vivono i valori quotidiani.

Ed ecco quel che ci dice, fuor dal codice, il buonismo, il “senso civico” che condanna il gesto. 

Ci dice: fatti furbo, impara l’arte, non metterti contro i potenti, non metterti di traverso, non eccitarti, non innervosirti, stai calmo. Ci dice, insomma, china il capo, mettiti prono e se è il caso offri i tuoi servigi, guadagnerai di sicuro qualcosa.

Una disgustosa canzone ben nota, non trovate ? Una canzone disgustosa che fuoriesce dagli stadi, che strumentalizza i sentimenti per indurci al più deforme e untuoso degli abbracci, è l’inno alla Resa, quello stesso che nell’immediato dopoguerra santificò ed innalzò ad emblema gli uomini piccoli piccoli. È l’inno alla schiavitù volontaria, altro che buon senso, che civismo, che ponderatezza, che equilibrio. Trattasi di furba viltà.

L’ignoto lanciatore avrà sicuramente combinato un grosso guaio, avrà sbagliato, avrà danneggiato miglia di persone, non avrà combinato nulla di buono, tutto quel che volete voi, ma a me è infinitamente più simpatico di tutti quelli che oggi, con una banalità dilagante e con la cattiveria dei vigliacchi lo linciano spacciandosi per censori.