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20/01/2016 | ilsole24ore

 

 

la Russia è sull'orlo della bancarotta

 

 

 

I toni si fanno sempre più allarmati. Con il petrolio a questi livelli non possiamo starcene con le mani in mano, aveva detto Vladimir Putin in dicembre, rivolgendosi al Paese. Da allora i prezzi delle materie prime, il grande tesoro della Russia, hanno continuato a scendere: «Dobbiamo prepararci allo scenario peggiore», ha avvertito qualche giorno fa il primo ministro Dmitrij Medvedev, puntando il dito sull’impatto congiunto di petrolio e sanzioni che costringerà il governo a rivedere il budget 2016, imponendo tagli alla spesa. Ma la conclusione più cupa è quella di Gherman Gref, il presidente della prima banca pubblica russa, Sberbank: «L’era del petrolio è finita - ha detto Gref venerdì intervenendo a un convegno a Mosca -. E la Russia è tra i perdenti nella sfida con la concorrenza, è tra i Paesi “downshifter”. I Paesi che non hanno saputo adattarsi all’economia privata, al cambiamento tecnologico: «Il gap (tra vincitori e vinti) sarà superiore a quello registrato durante la Rivoluzione industriale - ha concluso Gref -. E il nostro export principale, che dobbiamo fermare, è quello dei cervelli».

Le parole di Gref sono sicuramente destinate a suscitare polemiche in Russia, ma anche il presidente Putin, in tutti i suoi ultimi interventi, ha insistito sulla necessità di “approfittare” del petrolio a basso prezzo per dare all’economia russa altri motori. Ammesso che ci sia il tempo: mentre il barile supera al ribasso una soglia psicologica dopo l’altra, i fondi di riserva a cui il governo attinge per compensare le perdite del budget si assottigliano sempre di più. Mentre, per gli investitiori, il legame tra petrolio e Russia (e tra Russia e gas naturale, che segue l’andamento del petrolio) è ancora automatico.

Ieri i mercati di Mosca ne hanno fatto le spese. Uno dei colpi più duri è per Gazprom, il primo produttore mondiale di gas che ha ceduto il 3,9%, e quello di Lukoil-la prima compagnia petrolifera privata russa - il 3,1. Meno 5,85% per l’indice Rts (denominato in dollari e quindi più sensibile alle oscillazioni del rublo), -4,31% l’indice Micex in rubli. La discesa del Brent sotto i 30 dollari al barile rischia di far scattare quello che finora la Russia era riuscita a evitare. Una nuova ondata di panico.

Dopo il terribile dicembre 2014, infatti, il rublo aveva imboccato un periodo più o meno stabile, e più di recente aveva reagito al declino del petrolio contenendo le perdite. La svalutazione del resto aiuta il budget, ampliando i guadagni e le tasse delle compagnie energetiche. Ma ieri la moneta russa, in calo sul dollaro a 77,82 rubli, negli scambi con l’euro è tornata a scavalcare quella soglia degli 85 rubli, per la prima volta dalla fine del 2014, quando per salvare il rublo la Banca centrale fece scattare i tassi di interesse di 6,5 punti percentuale in una sola notte, fino al 17%. Da allora Bank Rossii ha cercato di ridurre gradualmente il costo del denaro fino all’11% e gli interventi sul rublo, per non prosciugare riserve oggi pari a 368 miliardi di dollari.

«La Russia con il petrolio a 50 dollari il barile e la Russia con il petrolio a 30 dollari sono due Paesi diversi - spiega al sito economico Rbk Jaroslav Podsevatkin, analista di Aton -. In un giorno estraiamo circa 10 milioni di barili di petrolio, e una differenza di 20 dollari ci fa perdere 200 milioni al giorno, o più di 70 miliardi di dollari all’anno». L’equivalente del Fondo nazionale di riserva.

Così i margini per il governo Medvedev, che ricava dalla vendita di gas e petrolio la metà circa delle proprie entrate,sono sempre più stretti. La tenua delle riserve su cui può contare lo Stato, ripetono gli analisti, dipende dalla durata di questo petrolio a buon mercato. Quanto può resistere un Paese che affida all’energia il 70% del proprio export? Senza contare le sanzioni americane ed europee, che precludono ancora l’accesso al credito internazionale a banche e compagnie russe, costringendole a cercare solo all’interno del Paese i mezzi per finanziarsi. Nell’ennesima revisione delle aspettative per il nuovo anno, secondo un documento non ancora ufficiale ma citato ieri dall’agenzia Reuters, il ministero dell’Economia avrebbe preventivato un altro anno di recessione, con il Pil a -0,8% a fronte di una previsione ufficiale di una crescita dello 0,7%. E dopo un calo del 3,8% nel 2015.

Anton Siluanov, il ministro delle Finanze, si prepara a rimettere mano a un budget calcolato, in autunno, su un petrolio a 50 dollari, con un deficit al 3% del Pil. Ma anche i nuovi scenari, basati sulla media di un barile a 40 dollari, rischiano di essere superati dagli eventi. Mercoledì scorso Siluanov aveva preannunciato ulteriori tagli alla spesa, pari al 10%, mentre un’inflazione vicina al 13% appesantisce i sacrifici che il Cremlino - già in modalità elettorale tra le parlamentari di fine anno e le presidenziali del 2018, dove Putin cercherà la riconferma - avrebbe volentieri rinviato.