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Applicando delle tecniche già ampiamente descritte da George Orwell, Ernst Jünger ed Eric Werner, coloro che sono strategicamente preposti ai teatrini renziani, hollandiani ecc, mobilitano le masse atomizzate e individualizzate nell'angosciosa isteria di un pericolo incombente che può essere indifferentemente il terrorismo diffuso, il ritorno del nazismo o lo smog. 
Sicché assistiamo a una rappresentazione della realtà messa in scena in dimensioni diverse. La prima, terra terra, è quella espressa dagli schemi dell'angoscia quotidiana; la seconda, destinata a chi si crede intelligente, è rivestita da opposizioni di carta che si fondano internazionalmente sullo schema di Yalta e internamente sulle contese di quello che i comunisti autentici definiscono “cretinismo parlamentare”. Solitamente gli “antagonisti” e gli “oppositori” si sentono tanto intelligenti perché si distaccano dalle masse, andando a imprigionarsi come mosche nella ragnatela del secondo livello, dal quale osservano dall'alto in basso le prede del primo. Ma la chiave d'interpretazione della realtà così come quella degli interventi su di essa, si situa ad altri livelli sicché la società dello spettacolo politico in tutte le sue varianti non è meno idiota dell'accettazione supina delle parole d'ordine. E, soprattutto, le sue logiche interne non conducono da nessuna parte nemmeno nel caso – pressoché impossibile – di una vittoria elettorale di chi pretenderebbe di cambiare le cose.
 
Quel vento in Europa
Il 2015 ha marcato successi elettorali relativi ma importanti da parte di forze che stanno cercando d'interpretare il disagio popolare – in particolare della media e piccola borghesia – fronte alla ristrutturazione che la sta devastando.
La vittoria del Front National al primo turno delle regionali in Francia (28%), fa seguito all'incredibile tenuta di Alba Dorata alle politiche in Grecia (7%); il tutto all'indomani dell'avanzata di Jobbik in Ungheria (21%) dove pure esiste un governo politicamente scorretto di tutto rispetto. Anche la vittoria in Polonia della destra popolare che si è aggiudicata il governo di Varsavia e che ripercorre un po' il format di Berlusconi e un po' quello di Orban, è ascrivibile a questo stesso fenomeno.
In Italia la variante Grillo non è solo figlia del caso. Se nella Penisola il vento nazionalpopolare non fa oggi presa è perché ciò accadde già nel 1994 e vent'anni di fallimenti spesso miserabili hanno lasciato il segno. Per compensazione si assiste all'indurimento sloganistico che ha permesso a Salvini di fare avanzare la Lega nei sondaggi e ha obbligato la Meloni a seguirlo. Tuttavia essi non rappresentano un'alternativa di governo e, peggio ancora, la scelta del consenso talk-show sembra stia andando a detrimento del radicamento territoriale di bossiana memoria.
Tristezze di casa nostra a parte, va registrato che quasi ovunque in Europa c'è un vento di protesta abbastanza significativo che sarebbe assurdo e risibile interpretare come alternativa di governo ma che rappresenta un autentico potenziale. Certo: perché il potenziale possa essere messo a frutto sarebbe necessario che il collage di qualunquismo e pressapochismo di cui si compongono le parole d'ordine che lisciano il pelo all'esasperata psicologia reazionaria si trasformasse in qualcosa di ben diverso da una tiritera di parole destinate alla competizione scenica finalizzata all'applausometro.
Quanto sia cambiata la realtà politica lo si evince facilmente comparando gli slogan attuali di Salvini “contro i campi rom le ruspe!” con il comportamento del Partito comunista in Francia nel 1979 che non coniò slogan ma le adoperò, le ruspe.
 
Se si può evitare
L'analisi disincantata e dissacrante del fenomeno politico nazionalpopulista che, con la sola eccezione di Alba Dorata, naviga a vista ma spesso senza conoscere né le stelle, né le maree, né le correnti, né le vele, non deve essere accolta come l'esortazione a rinchiudersi in insignificanti soggetti duri e puri, eternamente destinati, come si dice in Francia, a tenere i propri congressi elettorali in una cabina telefonica. Lo scopo non è quello di dimostrare l'inconsistenza a lungo termine di partiti che, come sono mentalmente impostati oggi, sono destinati tutti – con la sola eccezione greca – a oscillare tra il rappresentare costantemente il “pericolo interno” che rende coesa l'oligarchia rispetto all'opinione pubblica e peggio, nel caso di vittoria elettorale, a dimostrare che Alleanza Nazionale e Syriza sono le sole conclusioni possibili di un'opposizione prigioniera delle logiche imperanti. Fini e Tsipras ringrazierebbero, noi no e se lo si può evitare...
 
Interventi positivi e non ripiegamenti alteri
Per evitarlo va, però, innanzitutto modificato l'approccio. Coloro i quali sono mossi – o pretendono di esserlo – da una mentalità ben radicata e da una visione radicale. continuano a commettere un errore imperdonabile: la delega delle proprie illusioni. Tale delega è avvenuta o avviene su piano internazionale (Ahmadinejad, Chavez, Putin ecc) o su quello più specificatamente politico (Alemanno, Meloni, Salvini, Marine Le Pen). A riflettere bene questa tentazione continua tradisce la mancanza di un'autonomia operativa prima che interpretativa ed è destinata sempre e comunque a cocenti delusioni. Salvo poi scovare l'ennesima riserva per continuare a sognare, chessò, Marion Le Pen.
Se invece i fenomeni sono presi oggettivamente in sé, diventano linee di faglia e s'interpretano come campi d'intervento e di confronto. E allora si passa alla politica positiva. Non si tratta quindi di fare una radiografia ideologica o morale dei singoli (è sufficiente conoscerla per anticipare le loro mosse successive), né di fissare i termini esclusivi in cui qualcuno è considerato “dei nostri” visto che l'avvenire, se avrà un'alternativa, sarà neo-peronista e dunque composto da realtà trasversali e inclusive che metteranno insieme una lunga serie di opposti. 
Quel che è necessario non è stabilire quanto si è singolarmente fichi e quanto poco lo sarebbero tizio o caia ma intervenire nel processo, che non significa necessariamente aderire a un partito, anzi suggerisce piuttosto di esserne autonomi, ma operare in una direzione precisa, farlo muniti di Weltanschauung e con metodologia, avendo per target il vasto raggio e per fine le modifiche del reale e non l'avanzata della propria bandierina.
 
I tre grandi handicap
In che cosa i partiti nazionalpopulisti sono per il momento intrinsecamente fallimentari?
In tre elementi. Il primo è che in quasi nessuno di essi le dirigenze sono mosse da un fuoco sacro. Non si tratta qui necessariamente di un questione ideologica ma di convincimento profondo: di far parte agostinianamente di questo mondo senza essere di questo mondo. Ciò è pressoché inesistente, tranne, appunto, in Alba Dorata. Al massimo si assiste a personalità e caratteri forti, come Marine Le Pen, per il resto si tratta di gente che “partecipa” alla commedia sia pur da maschera esclusa che cerca però sopra ogni cosa di essere inserita in un ruolo a qualsiasi costo.
Questo è modificabile, non tanto con la conquista delle direzioni di partito, quanto con la formazione progressiva di quadri animati dallo spirito giusto.
Più grave è il pregiudizio democratico. Sempre con l'unica eccezione di cui sopra, coloro che interpretano oggi il vento di protesta sembrano ignorare del tutto la nuova conformazione del potere ma credere veramente che se raggiungessero per magia la maggioranza potrebbero cambiare le cose. Incredibile ma vero: concentrati nel quotidiano a predicare alla gente plaudente o ululante, non si sono resi conto nemmeno di quanto potrebbero evincere dalle loro stesse parole. Il potere più forte è in mani sicure impermeabili alle votazioni; quello diffuso, sul territorio, va occupato o creato altrimenti non si può governar nulla. Anche qui i soli a spingere in tale direzione sono i greci! Un'ipotetica vitoria basata sul semplice consenso piazzerebbe infatti il vincitore come una noce tra le due ganasce destinate a schiacciarla: quella dei poteri forti e quella dei poteri clientelari sul territorio, ancora più ostili. Soltanto il livello di vergogna nella sconfitta, in queste condizioni, rappresenta un'incognita.
Infine, a furia di nutrirsi di parole d'ordine e della somma di tutte le nostalgie, è palese la poca conoscenza della realtà, delle sue dinamiche, della presa che sulla nostra epoca hanno i satelliti, delle trasformazioni demografiche e di mercato, dei vincoli costituzionali vecchi e nuovi. Sicché le soluzioni di fuoriuscita dalla crisi – poco importa quanto teoricamente condivisibili – sono sinceramente puerili e impraticabili, almeno così come sono prospettate. Il quadro si aggrava perché queste soluzioni secondo loro sarebbero decise legislativamente e applicate dall'alto (che poi da tempo alto più non è) anziché andarsi a costituire fattivamente dal basso giorno dopo giorno, sì da creare potere, anche contrattuale, e da imporre alternative.
 
Sintonia e sinergia
Non si tratta, lo ribadisco, di stilare pagelle o di rilasciare patenti e men che meno di fissare termini di scomunica dall'alto del piedistallo dell'impotenza di un pavone di cortile, ma di partire dalla constatazione delle mancanze al fine di riempirle. Cosa, questa, tutt'altro che impossibile perché tra la modestia e la disponibilità dei greci da un lato e la presunzione stolida degli italiani dall'altro, va detto che il mondo nazional-populista in Europa conosce varie sfumature di elasticità e di autocritica, anche ai massimi livelli, e che perfino nei partiti più importanti, come il Front National, e non solo tra i quadri intermedi, c'è la consapevolezza di questi handicap nonché il desiderio di superarli.
Ovviamente c'è una distinzione tra le priorità di chi punta tutto sul proprio partito e chi, come me, vi premette il metapolitico e il prepolitico e considera comunque i partiti – e i movimenti - come strumenti e veicoli destinati a venir superati in una nuova alchimia e, pertanto, guarda ben oltre le competizioni elettorali e altrove da precisi ambiti prescritti.
Che vi siano sintonia e possibile sinergia, laddove siano chiari gli handicap e la volontà di superarli, però non ci piove, ed è su queste basi che si sta operando in modo sempre più organico e costruttivo. Riassumo quindi il triplice piano sul quale si prospettano le azioni del 2016 che hanno come scopo di: 
a) fornire gli strumenti interpretativi corretti; 
b) creare potere economico e sociale; 
c) realizzare una formazione omogenea. 
Il tutto destinato, non solo negli esiti, ma fin dalle premesse – perché l'azione sarà comune – a realizzare sintonia e sinergia, garanzie di un intervento nel reale nel segno della rigenerazione.
 
Si cosa insistere
Su questa strada alcuni d noi (ormai un centinaio) si procede da almeno un anno con riscontri a dir poco sorprendenti. L'evoluzione è programmata su tutti e tre i piani, avendo come snodo strategico Bruxelles, ma articolandosi nell'Europa tutta.
Per il settore delle interpretazioni corrette è destinato un vero e proprio sistema di centri studi sinergici e talvolta anche convergenti nella direzione (Polaris ed EurHope) i quali saranno anche disponibili a studi e analisi su richiesta, ma si occuperanno soprattutto di s-velare il reale, liberandolo dalle diverse cortine che lo avvolgono, comprese le “nostre”. In una duplice trasversalità (accademica e sociale Polaris, politica EurHope) e mediante una serie di collaborazioni con i centri studi di valore già esistenti, lo scopo che si persegue è duplice. Mettere a fuoco la realtà al fine di aprire piste politiche percorribili da classi dirigenti nazional-rivoluzionarie e allargare le conoscenze da mettere a frutto sui piani sociopolitico ed economico propriamente detti.
In quanto alla messa a fuoco della realtà, non si pretende qui di correggere del tutto gli abbagli fuorvianti e fuorviati di cui si è finora nutrita la retorica nazional-populista, entrata in circolo vizioso con il diffuso pressapochismo reazionario, epidermico e livido. Mi rendo conto che è a dir poco arduo denunciare all'opinione pubblica come improponibile il rovesciamento degli schemi politicamente corretti e spiegarle per esempio che essere per la Bce o contro l'Euro, alla resa dei conti è esattamente la stessa cosa. Così come il credere, ringraziandola o maledicendola, che l'attuale sistema dipenda dalla Germania.
Si tratta piuttosto d'imparare da Alba Dorata che è riuscita a proporre un dosaggio perfetto, anteponendo le questioni strutturali a quelle formali, anche in campo monetario, e rifiutandosi con sorprendente grandezza di contrapporsi frontalmente alla Germania nonché di denunciare il concetto di Europa.
Quello che va fatto invece verte su due piani.
1) Offrire una visione strategica anche ad uso interno a future classi dirigenti da dotare anche di una corretta conoscenza della sociologia del potere e di quella delle masse atomizzate.
2) Spingere verso un'omogeneità che faccia perno non sugli slogan ad effetto ma su due campi sui quali, in modo diverso, è consentito intervenire: ovvero, in primo luogo la politica de-migratoria con l'offensiva contro i fondi delle associazioni del buonismo schiavista e la guerra allo Ius Soli – che rientra ancora nelle prerogative legislative di uno Stato – e, su di un altro piano, l'organizzazione dei ceti produttivi nella prospettiva di creare potere sia locale che di categoria. Il tutto può poi scaturire in un'alternativa corporativa che può prendere piede in tutta Europa.
 
Creare potere e organizzazione sociale
Il secondo intervento costruttivo è proprio quello della creazione di potere sociale. Tra le tante semplificazioni, anche strampalate e sballate, del nazional-populismo, una suona particolarmente corretta, ed è la presa d'atto della lotta di classe mossa dagli speculatori contro i produttori.
Tenuto conto di altre dinamiche in atto, quali la de-socializzazione e la dis-articolazione sindacale e confederativa, studiate le possibilità concesse dalla realtà e dal diritto, operando nella logica dell'autonomia organizzata, è possibile muovere un'offensiva su più fronti che vanno dal fornire sbocchi di mercato, all'aiutare alla riorganizzazione e al rifinanziamento del piccolo mondo imprenditoriale, fino ad aggredire il lobbying della Ue, andando a occuparlo con istanze e interessi di natura corporativa e d'ispirazione territoriale. Il che, oltre ad avere un valore politico e perfino “ideologico” in sé, offre due armi formidabili a chi è chiamato a impugnarle: la nascita di un potere contrattuale nei confronti degli avversari, e l'occupazione del territorio che potrebbe così venire effettivamente amministrato in futuro, in caso di un successo elettorale, malgrado l'ostilità degli apparati clientelari che vi pullulano e che oggi paralizzerebbero qualsiasi gestione alternativa.
Su questo fronte è nata Lambda che non soltanto sta aprendo effettivamente nuovi sbocchi di mercato ma che si sta strutturando sulla filosofia operativa qui delineata.
Come sul piano dei Centri Studi, anche qui si sta studiando una strutturazione non solo italiana che prevede al momento l'allargamento a Francia, Spagna e Belgio ma che, si spera, si estenderà ulteriormente. Per un'iniziativa concepita nove mesi orsono, messa in cantiere durante l'estate e avviata soltanto a fine ottobre non è affatto male!
 
Un potenziale formidabile
Quest'operazione trasversale si fonda su due piani: culturale ed economico.
Nessuno dei quali può essere visto come concorrente al puro aspetto politico. Tuttavia, essendo entrambi strettamente collegati ad esso, ecco che chi funge da polo culturale e da organizzatore economico finisce per risultare più politico del politico.
Le straordinarie prerogative di quest'impresa sono quindi di essere funzionalmente tripartita come ogni corretta costruzione indoeuropea e di assumere una trasversalità assoluta dovuta alla sua specificità e alla sua efficacia.
Difatti, intorno a questo o a quello dei progetti in corso o in cantiere, in certi casi intorno a diversi di essi se non addirittura a tutti, si è realizzata una convergenza entusiastica da parte di soggetti politici anche ostili tra loro per questioni di frontiera o di liti personali. Il ventaglio, nel panorama nazional-populistico, non solo sta attraversando i confini e gode già del contributo fattivo di quadri da più nazioni, ma ha aperto la strada a cooperazioni tra forze che sono schierate, almeno nell'emiciclo europeo, in quattro sezioni distinte. Che vanno dai ribelli istituzionalizzati (Front National, Vlaams Belan, Fpo, Lega) a quelli sulla touche (Jobbik); per estendersi da i “maledetti” (Alba Dorata) fino ai non rappresentati di diverse nazioni, specie dell'est europeo, ancor oggi marginali numericamente e talvolta anche psicologicamente.
Dalle comuni iniziative e dai comuni confronti può emergere nel tempo un'omogeneità delle dirigenze future per le quali si spenderanno anche la formula e lo spirito dei Lanzichenecchi che prevedo di estendere al di là delle Alpi.
Già questo di per sé rappresenterebbe un elemento di vanto e uno stimolo, ma non basta. Le azioni del Think Tank e, soprattutto, quelle dell'organizzazione sociale, allargano la trasversalità al di là dei limiti ideologici, di appartenenza e di etichetta e consentono d'iniziare a ragionare su più vaste prospettive neoperoniste.
 
La soddisfazione di un progetto
Per tutte queste ragioni, ovvero per quel che noi stiamo creando, ma anche per quanto realmente è accaduto nel 2015, e che ho descritto, abbiamo ragioni di orgoglio, di ottimismo e di entusiasmo.
Chiariamoci: il valore di quest'impresa sarà tale quand'essa diventerà oggettiva, impersonale e diffusa. Non si tratta di volerci mettere su il cappello e la bandierina ma, come già anticipavo sedici anni orsono in Le api e i fiori, procedo nell'accettazione della necessità di essere motore a trazione posteriore.
So bene che quest'ambiente pullula di mitomani, personalmente sono invece megalomane e mi soddisfo per ogni mutamento che riesco a imprimere alla realtà mentre non gradisco affatto le autorappresentazioni né il narcisismo mediocre di chi insegue riconoscimenti esterni o di chi ha bisogno di conferme altrui per sentirsi vivo. E' questo più di ogni altra cosa a spingermi verso la trasversalità in alto e a farmi considerare tutte le appartenenze tribali ed emotive non necessariamente come sbagliate ma come complementari e gerarchicamente secondarie rispetto ad altre.
Capisco l'orgoglio di appartenenza che domina qua e là, anche talvolta viene da chiedersi se ci siano così tante ragioni di esserne orgogliosi, ma se non si superano in alto, premettendo alle glorie del proprio scudo un'azione impersonale, queste motivazioni finiscono con l'essere gorghi che attirano giù.
Potrei andar fiero – e in effetti lo sono – dell'aver fondato Terza Posizione e dell'aver militato in essa e con essa fino a spingermi a lungo nelle terre di nessuno, tra esilio e prigione. Ma questa fierezza non è che una parte di me; non accetto di limitarmi a un'esperienza, per quanto possa essere al di sopra di quelle con cui sarei chiamato a confrontarle, perché significherebbe che ho rinunciato a sentirmi eternamente legato a qualcosa che ha preso coscienza quantomeno alle Termopili e che, politicamente, si è espressa nella modernità a più ondate che partono forse da Napoleone.
Se non avessi come sogno, non il successo del mio io o della proiezione dell'io, che il suo movimento per ognuno rappresenta, non potrei nutrire veramente un sogno di rigenerazione e di conquista per il mio popolo, in Italia e in Europa.
Invece questo sogno e per questo mi muovo ché, fortunatamente, mi sento militante prima che guida e combattente prima che intellettuale.
La soddisfazione personale sta semmai nell'essere riuscito ad articolare, in un mondo che non ne sembrava capace, un progetto e nell'essere andato a svilupparlo progressivamente, inizialmente con la sua definizione, poi con l'organizzazione intorno ad esso.
In tempi straordinariamente brevi, ovvero nell'esatta metà di quanto avevo previsto, siamo passati alla realizzazione della sua costruzione concreta che prevederà ulteriori stadi di evoluzione.
 
Chi voglia contribuire
A questo stadio sono a dir poco gradite ulteriori risorse umane, purché di gente modesta, costante, disciplinata e impersonale. O, in subordine, sostenitori esterni (tramite contribuiti o acquisti di libri e riviste). Serve però anche qualcos'altro, ovvero che chi per limiti auto-imposti (coagulo di gruppo o insistita propensione alla competizione individuale) non parteciperà mai a un progetto che non abbia scritto e firmato, inizi a familiarizzare con questo cambio di prospettiva e si metta magari anche a farci concorrenza. Sarà sempre energia in più e, a prescindere dalle illusioni di ciascuno di noi, sarà la forza delle cose, se avremo indovinato la direzione giusta, a creare sinergia finale.
Che si rivelerà vincente solo quando assumerà respiro strategico e, sulle direttrici germanorussa e mediterranea, si muoverà – imperialmente – nella direzione della storia cambiandola di segno e di polarità spirituale, ideale, cultuale, intellettuale ed esistenziale.
 
Per chi voglia portare la sua pietra al monte
www.assolambda.eu
www.lanzichenecchi.eu
www.gabrieleadinolfi.eu
e per contatti
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