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Essenza della Globalizzazione

La Globalizzazione altro non è che l’ American way of life su scala internazionale: ovverosia il mercantilismo spinto all’estremo, attuato da individui dall’animo eternamente adolescente, sotto l’egida di gangs criminali dedite al profitto ad ogni costo.
La Globalizzazione nuda e cruda è l’impero incontrastato della droga, del petrolio, delle holdings finanziarie: un impero garantito dal controllo dei mercati (ovverosia dagli accordi tra capi mafiosi) e dalla manipolazione dell’opinione pubblica ad opera di pochi eletti.
La Globalizzazione è la consacrazione del classismo, perché in essa, come nel modello angloamericano, vige una demarcazione a tenuta stagna tra le élites criminali, che sono le vere attrici della politica e dell’economia, e la popolazione che di esse è invece ricettiva e passiva.
Per sintetizzare, la Globalizzazione è il liberismo ad impronta comunista edificato sulla matrice ideologica dell’Antico Testamento.

Non esiste una sola versione della Globalizzazione né un suo unico motore.
A loro modo sono globalizzatori l’Islam ed il Vaticano, sul quale del resto pesano notevoli responsabilità storiche nel concepimento dell’ideale mondialista. E’ globalizzatore il Sionismo come il Comunismo, lo è l’America nel suo modello e nella sua ideologia specifica ed è infine globalizzatore il Mondialismo, che a sua volta si distingue da tutti i soggetti succitati e che, per giunta, si differenzia ulteriormente al suo interno per le concezioni dei suoi ideologi e dei suoi strateghi.
Dovremmo perciò concludere che comunque vadano le cose, chiunque prevalga, quali che siano i nuovi equilibri, non si fa che avanzare nel senso della Globalizzazione.
Il che è vero e falso nello stesso tempo. Falso nelle dinamiche e nelle logiche strutturali, che sono a rischio di implosione ed ipoteticamente foriere di variazioni di grande portata, vero nella mentalità, nella cultura e nell’etologia che accompagnano gli eventi e persino nelle maniere in cui noi presunti oppositori li viviamo e li interpretiamo.

Quanto e come la guerra ostacola la Globalizzazione

Partiamo dalle auspicate probabilità di devianza nelle quali rischia di imbattersi il disegno trans-nazionale per effetto della crisi americo-afgana.
Quanto accade sullo scenario internazionale ha tutta l’aria di una serie di regolamenti di conti tra mafie incrociate: mafie del petrodollaro contro mafie del narcodollaro, mafie del narcodollaro contro mafie della narcosterlina, mafie degli armamenti contro mafie degli aiuti umanitari, mafie americane contro mafie americane, mafie ebraiche contro mafie ebraiche, mafie israeliane contro mafie americane.
Sullo sfondo si intravedono le pulsioni di potenze in crescita (India, Pakistan, Cina), in ricomposizione (Russia), in pericolo (Israele), in difesa (Iran, Inghilterra, Arabia Saudita) in potenza (Germania).
Tutte queste, separatamente, contano di togliere le castagne dal fuoco approfittando sia dei successi eventuali di Bush che dei suoi rovesci.
La guerra al terrorismo (sic !) rischia perciò di trasformarsi in elemento deviante, deflagrante, rispetto al processo di Globalizzazione. Infatti solo se le mille incognite che la caratterizzano si risolveranno a favore della Casa Bianca, la Globalizzazione ne risulterà avvantaggiata ed accelerata, altrimenti assisteremo a novità di spicco.
Novità vieppiù probabili se consideriamo che, all’interno delle decine di stanze dei bottoni, l’oligarchia mondiale e mondialista è in pieno conflitto intestino perché imperialisti americani e sionisti, per tanti anni saldamente alleati, dopo un ventennio di attriti anche acuti compensati da rappacificazioni calorose, si trovano oggi ai ferri corti. E questo accade mentre i mondialisti puri, dal canto loro, si dimostrano avversi agli uni come agli altri intravedendo nel particolarismo e nella xenofobia israeliana un ostacolo al disegno di razionalizzazione mondiale e riconoscendo peraltro nell’egemonismo yankee un rallentamento dell’evoluzione cosmopolita.
Sicché, tenendo conto delle discordie ai vertici, possiamo persino sperare che questa guerra  ci libererà davvero dal terrorismo (ovvero dal terrore militare e stragista di stampo mafioso che ci viene dall’America e da Israele prima ancora che dal mondo islamico)  proprio per le probabilità di fallimento degli obiettivi prefissati e per le conseguenze che ne deriveranno.
Per questo, oltre che per la soddisfazione offertaci dal rischio  elevato di scontro  tra Israeliani ed Americani, la crociata di Bush ci risulta paradossalmente gradita.

Le accelerazioni impresse al disegno globale

Vi è però il rovescio della medaglia che non consiste soltanto nella strage infinita di civili innocenti ma nell’avanzata collaterale della Globalizzazione delle menti e nell’istituzionalizzazione del Transnazionale, un fenomeno, questo, che nel clima dell’emergenza bellica ha subito una spinta portentosa.
Ciò è accaduto in gran parte per input di registi politici multinazionali ma in larga misura per puro effetto spontaneo di semplici cause psicologiche.
Vediamo in breve quali sono gli effetti perniciosi di quest’accettazione dell’ideologia globale che paradossalmente avviene  proprio allorquando politicamente, militarmente e perfino economicamente, la sua affermazione si ritrova seriamente a rischio, come sicuramente mai lo era stata in precedenza.

LE ISTITUZIONI

1.    I vertici non istituzionali di concertazione mondiale (WTO, G8) sono divenuti di colpo enti in cui l’opinione pubblica si riconosce. Il popolo di Seattle e le tute bianconere, con le loro proteste sterili e sguaiate, hanno fatto molto per facilitarne il riconoscimento. Un riconoscimento che è divenuto globale dal momento che la protesta violenta è stata assimilata, sic et simpliciter, al terrorismo e quindi ad una minaccia al benessere ed al quieto vivere. Centri Sociali e Compagnia bella hanno contribuito in misura notevole e determinante all’accettazione pubblica dei poteri forti super-nazionali, questo è un dato di fatto oggettivo: che poi questi pupazzi siano più stupidi o più manovrati è tutto da stabilire ma, in fondo, non ci interessa.
2.    La Nato è divenuta la casa della difesa comune. A noi Italiani abituati alla servitù, scodinzolosi lacché  solitamente trattati con disprezzo fin da quel famigerato 8 settembre dagli stessi potenti ai quali baciamo la mano, può sembrare una cosa naturale. Lo è un po’ di meno per chi con il Patto Atlantico ha tenuto relazioni indipendenti e talvolta burrascose, come i Francesi, o a chi ha perseguito una linea di fierezza nazionale, come gli Austriaci, i Tedeschi e perfino gli Svizzeri.           Tutto ciò è ancor più grave se consideriamo che questa adesione collettiva alla Nato si ravvisa a soli due anni dal previsto varo della forza militare convenzionale europea e si accompagna alla proposta di adesione fatta ai Russi che potrebbero, al contrario, rappresentare la punta di lancia dell’esercito europeo. Insomma, dall’ipotesi di un inedito tri-polarismo (Usa-Cina-Europa) si ritorna al disegno di una dittatura mondiale in campo militare, una dittatura che non avrebbe altre vie di tramonto se non quella di uno scontro nucleare con la Cina, ipotizzabile di qui a un paio di decenni.
3.    Con la scusa della sicurezza comune si sono ridotti gli spazi di libertà e si è introdotto il dirigismo emergenziale a tutti i livelli. Il blocco dei beni dei terroristi e dei loro fiancheggiatori su scala internazionale, introdotto da Bush, è un precedente davvero sinistro. Chiunque, per qualunque motivo, ovunque detenga dei fondi personali, potrà così essere privato di colpo dei mezzi di sostentamento e derubato dei suoi guadagni. Ma chi stabilisce che il soggetto perseguito sia terrorista ? Sappiamo bene come in passato quest’etichetta sia stata affibbiata con leggerezza, spesso contro ogni evidenza, persino spudoratamente, agli oppositori politici italiani e sappiamo che un metro di misura iniquo appartiene anche alla tradizione americana; vogliamo immaginare su quali prove si potrà fondare in futuro una richiesta similare proveniente dall’Asia o dal Sud America ? Per invocare la ragion di Stato è necessario che esista uno Stato, sia come ente morale sia come cultura giuridica. Il che è appannaggio della Francia, dell’Austria, in parte della Germania e della Spagna (ma quest’ultima è avviata sempre più rapidamente su una brutta china). Quali conseguenze potrà mai comportare la gestione dittatoriale dei conti in banca altrui da parte di istituzioni nelle mani di mafiosi, di usurai e di criminali senza scrupoli ?    Chi ne sarà il reale beneficiario ? Di quanto si ridurranno gli spazi di libertà economici e giuridici ? Chi ci garantisce, insomma, che non si stia instaurando e perfezionando la più tecnologica fra le tirannidi sociali ?
4.    Sempre con la scusa dell’emergenza si fa strada un’ulteriore tentazione: quella di mettere fuori legge, nel senso letterale del termine, le professioni di fede: sia i fondamentalismi religiosi che gli ideali politici. Da più parti si vorrebbe fare di quella in atto una guerra alle ideologie.                  Si pretenderebbe di istituire un gigantesco tribunale ideologico che conferisca la cittadinanza occidentale (ovvero l’accettazione nel reparto consumi) soltanto a chi faccia mostra di ventre fiacco, di emozioni sfumate, di tentennamento indefesso. Si amerebbe, insomma, poter acclamare il trionfo di quell’ultimo uomo di Zarathustriana memoria, offrendogli, in compensazione della sua cronica impotenza, la ferocia per procura, la possibilità di annientare tutto quel che lo sconfessa negli atti e nei pensieri tramite le condanne alla reclusione e perfino alla pena di morte e mediante le missioni di sterminio (affidate ovviamente a lacché di etnie limitrofe). E’ il sogno  di Leo Valiani che si realizza.
                                                                             
Insomma ci si sta avviando a rapidi passi alla delega incondizionata della sovranità (istituzionale, militare, giuridica) nei confronti di centri transnazionali, espressioni di oligarchie affaristiche.
Il che significa al contempo la liquidazione dell’illusione democratica e la svendita della sovranità nazionale.
Tutto questo si tramuterà in Globalizzazione se tutto andrà liscio alle oligarchie imperanti, spianerà invece la strada ad una concezione imperiale – ci auguriamo europea – se a prevalere saranno le contraddizioni.

LA MENTALITA’

La partecipazione collettiva all’abbattimento delle Twin Towers ed alla successiva crociata americana è senza senso apparente. Tutti sembrano ragionare come se quell’11 settembre fossero stati realmente colpiti in prima persona.
E dire che tra Francia, Spagna ed Italia, di attentati terroristici ne abbiamo subiti a centinaia ma non abbiamo mai fatto tanto chiasso; pensare che le calamità più diverse falcidiano costantemente la nostra popolazione, eppure non ricordiamo alcuna emozione durevole per Sarno o Soverato.
Ci siamo sentiti molto più che solidali con le vittime di New York – dimenticando al contempo significativamente quelle di Washington – ci siamo letteralmente immedesimati con esse.
E perché, forse perché innocenti ?
Più dei Curdi, più dei Palestinesi ? Al punto da farci dimenticare Cermis ?
No, solo perché viviamo da decenni in una doppia dimensione, in una schizofrenia che oltre che del nostro ruolo di individui reali ci fa anche protagonisti virtuali di una vita newyorchese. Siamo figli delle soap opera e dei telefilm americani, ci sentiamo a casa nostra nella dimensione di celluloide, in quell’ipnosi collettiva sulla quale si basa il rimbecillimento che ci consente di vedere la realtà come qualcosa di diverso da quell’inferno criminale sul quale si fonda il nostro benessere e da quella degradazione continua che ci avvolge e coinvolge; inferno criminale e degradazione  che ci sono imposti senza sosta e con progressiva intensità da quando l’Europa ha perso la sua guerra contro Stalin e Lucky Luciano.
Una parte del nostro io, quella che si trova in costante terapia psicanalitica, è stata davvero scossa: ed è in difesa ed in nome di questa che abbiamo fatto ricorso alle Stelle ed alle Strisce (ignorando o dimenticando volutamente che rappresentano stelle di dolore e strisce di cocaina) chiedendo loro la tranquillità da bombardamento, l’illusione di un’autorità paterna e rassicurante, pregando loro di non farci risvegliare bruscamente.
E’ per questa ragione che da più parti, in proposito della crociata in atto, si parla di difesa della civiltà confondendo quest’ultimo concetto con il rassicurante modello americano.
Ci identifichiamo in esso e lo nobilitiamo, come se Civiltà fosse sinonimo di America, come se essa fosse un prodotto dell’America. Come se non fosse esistita prima e non fosse stata, semmai, messa in discussione proprio dall’avvento degli Yankees alla guida dei destini mondiali.
Invece, dobbiamo convenire con quanto argutamente sentenziava Pippo Franco nel film “Nerone”, parafrasando Bernard Shaw, “l’America è una specie di Impero Romano passato direttamente dalla  barbarie alla decadenza”.

La guerra come fiction

Questo nostro delegare ad un patrigno inetto e spietato il compito di agire e pensare per noi è ancora nulla in confronto a quanto accade nei nostri cervelli e nel nostro sistema nervoso per opera dei Telebani, ovvero degli anchor men, dei conduttori, degli opinionisti di ogni rete e colore.
Costoro, eseguendo pedissequamente ed acriticamente le direttive dei centri decisionali, ci hanno imbandito una vera e propria fiction.
Tutto è costruito artificialmente, frettolosamente, senza alcuna cura.
Ci hanno fornito una ricostruzione degli attacchi dell’11 settembre che fa acqua da tutte le parti: con indizi improponibili, con testamenti spirituali grossolanamente falsi, con manuali di volo inesistenti, con ricostruzioni di identità di kamikaze che sono tuttora vivi e che hanno segnalato la loro attuale presenza in Bosnia, in Giordania, in Medio Oriente.
Ci hanno lasciato credere, prendendoci giustamente per gonzi, che la prima potenza mondiale possa essere messa in ginocchio da un beduino meno ricco di un Tanzi o di un Cagnotti, in grado di teleguidare commandos più preparati della Cia o delle SS, capaci di impadronirsi di velivoli in terra straniera armati di coltellini d’osso e di eseguire le azioni suicide con una sincronia irreale e giammai realizzata prima d’ora in alcun esercito mondiale. E nel frattempo, tanto per non smentirsi, i commandos americani precipitavano in elicottero già al secondo giorno d’azione in Afghanistan…
Mentre noi abbiamo accettato di credere all’incredibile gettando il cervello all’ammasso, la guerra, quella vera, imperversava tra potenze e tra gruppi di potere.
Ed intanto appariva l’Antrace a rendere più piccante la trama del giallo: ci siamo così ritrovati in pieno bioterrorismo come aveva predetto Israele in Agosto, subito dopo esser stato costretto da Bush a ritirare i carri armati da Betlemme. E lo siamo mentre Israele rioccupa sanguinosamente i territori palestinesi e subito dopo che un aereo israeliano è stato fatto esplodere sui cieli ucraini.
Sicché mentre Sharon fa la corsa contro il tempo e Bush, invece, cerca di adeguare i tempi per realizzare una ristrutturazione mondiale su larga scala, eccoci tutti attenti a seguire le puntate della fiction domandandoci impazienti, ma non troppo, perché l’atmosfera in fondo è eccitante, quando gli Americani cattureranno Bin Laden.
Come se per un essere pensante fosse minimamente credibile che l’intera macchina bellica del mondo si sia mossa per dare la caccia ad un semplice individuo. Come se potesse essere immaginato da mente razionale che l’instabilità mondiale si riassuma in Osama, oppure nella formula Osama più Saddam…
Quel che sta avvenendo è sorprendente, istruttivo e sconvolgente.
Nei tempi moderni la guerra si è sempre accompagnata da una propaganda di massa addomesticata e menzognera (pensiamo alle fole sui Tedeschi che mutilavano i bambini nel 14-18). L’America nell’utilizzare la menzogna per la mobilitazione psicologica è maestra. Lo è fin dai tempi della Guerra di Secessione ed ha dimostrato tutte le sue capacità di calunnia e di costruzione di verità artificiose durante il Secondo Conflitto Mondiale, proseguendo anche nella Guerra Fredda sia pure in ottima compagnia.
Mai però si era giunti a tanto: a suddividere chiaramente la guerra in due: da una parte quella vera, riservata agli iniziati, ai potenti, agli addetti ai lavori, oltre che, ovviamente, agli attori militari ed alle innumerevoli vittime; dall’altra una fiction Cnn-hollywoodiana destinata alle masse globalizzate.
E’ l’inaugurazione di una nuova entità sociale: il proletariato delle menti e delle emozioni.
In questo si che ci stiamo globalizzando, massificando, livellandoci come solamente ci si può livellare: dal basso verso il basso.
Partecipiamo eccitati e patetici ad una realtà virtuale, telecostruita e teletrasmessa e facciamo finta di esservi immersi, di essere al corrente di tutto, consapevoli di quanto accade e perfino capaci di dare le nostre argute opinioni in proposito di dinamiche e fatti d’armi che il più delle volte non si può nemmeno dire che siano diversi da come ce li rappresentiamo perché semplicemente non esistono.
La realtà, quella vera, si snoda e si afferma al di sopra delle nostre teste ma noi non lo sappiamo né vogliamo saperlo.
Ci sentiamo al riparo dalle nostre angosce vivendo in una dimensione di dormiveglia, sperando che nessuno ci desti. Lasciamo così ai registi della nostra ipnosi collettiva il compito di dipingere per noi una realtà su misura e permettiamo alle bande di criminali che spartiscono il bottino, tutto il bottino, ivi compresa la nostra libertà e la nostra identità, di fare quello che vogliono. Anzi, addirittura speriamo che continuino a farlo per sempre.

Una logica da impotenti

E così, proprio quando tutto si rimette in discussione, è aumentata la nostra spropositata domanda di Globalizzazione, o meglio il nostro voler affondare il capo di struzzo.
E’ il nostro definitivo abdicare dal rango di cittadini a quello di sudditi, poco importa se non di Re ma di Predone, è la nostra confessione di impotenza, di immaturità, di subordinazione.
Ma in questa nostra servitù ci riveliamo più incivili e più imbelli di qualsiasi tribu che consideriamo sottosviluppata: contro di noi non cadranno bombe intelligenti, siamo già poltiglia e carneficina.
Lo siamo perché non siamo più uomini liberi, dunque non siamo uomini.
Ed è in  un’orgia di servilismo che approdiamo alla Globalizzazione, ma è proprio quando quest’ultima è più effimera e più incerta che mai che l’acclamiamo per darle corpo.
Paradossi della schizofrenia: allorché la marcia verso la Globalizzazione violava sovranità, svuotava istituzioni, traslava il potere, noi presuntuosi uomini-massa, illusi della nostra libertà di determinazione e di scelta, eravamo convinti che esistesse ancora lo Stato, che esistesse ancora la Politica. Ci rifiutavamo di aprire gli occhi e ci comportavamo come se nulla fosse mutato; recitavamo e ci andava bene così.
Del resto la trasmissione più gettonata, quella che più coinvolge milioni di individui solitari e sperduti, non è proprio “Il grande fratello”? Ovvero la grande messa in scena nella quale dei veri e proprio nessuno recitano il ruolo di personaggi fittizi, immedesimandosi pienamente nelle figure astratte che si sono cucite addosso e coinvolgendo delle masse inebetite in un inquietante processo collettivo di solidificazione di ectoplasmi.
Ed è proprio seguendo i medesimi meccanismi mentali che, oggi che l’intero edificio multinazionale si rivela fragile e fatuo, iniziamo a credere in esso e a dargli credito con convinzione: non perché ve ne sia una ragione seria ma soltanto perché lo vogliamo, per autodifesa.
Ma quanto conta in realtà quello che pensiamo noi, ciò in cui crediamo?

Sudditi del Capitale

Il capitalismo angloamericano è un edificio a più piani, ognuno dei quali non assomiglia agli altri.
A noi, vinti di lunga data, spetta la suite dei consumatori: ma non vediamo le cucine (e non sappiamo che vi si cuociono topi e scarafaggi), non vediamo le cantine (ricolme di prigionieri), non conosciamo lo stato delle mura (che vacillano, tengono, crollano, sono di nuovo faticosamente assestate), ignoriamo quello delle fondamenta (arrugginite ed affondate nelle sabbie mobili), non sappiamo nulla della proprietà e solo poco dei gestori (quello che ad essi garba sappiamo). Noi non contiamo, siamo numeri che si credono persone.
Siamo androidi che ragionano secondo schemi stampigliati dalla Direzione e non ci rendiamo conto di alcunché. Mentre intorno a noi, sopra di noi, si muove la storia, a noi pare che tutto sia immutabile, nel solco di quanto denunciato da Orwell ed anelato da Fukuyama.
E  a dimostrarcelo senza possibilità d’appello è il nostro grado di coscienza dell’epoca in cui viviamo.
La decolonizzazione e la denatalità negli anni sessanta hanno comportato un’autentica rivoluzione, ma in noi si è riassunta solo come liberazione sessuale (come se gli Anni Trenta fossero stati puritani…). La Guerra Fredda la conosciamo solo attraverso i clichets e non sappiamo quante tragedie di massa riassuma in sé. Del resto è normale che qualche centinaio di milioni di morti di altri continenti per noi non esistano: poiché non trasmessi sugli schermi televisivi non possono essere stati registrati nella coscienza collettiva; il che la dice lunga sul valore di quest’ultima e sul nostro grado di presenza a noi stessi. Le guerre economiche (guerra del dollaro e del petrodollaro) le abbiamo subite senza nemmeno accorgerci della loro esistenza. La ricomposizione dell’economia mondiale intorno alla droga, la guerra della droga, la guerra per il controllo satellitare, eventi di portata rivoluzionaria, sono avvenuti in sordina tra il Settanta ed il Novanta ma sono passati inosservati e se li citiamo possiamo esser certi che i più non hanno la minima idea di quello di cui parliamo e che alle orecchie di quei pochi che ne hanno una pur vaga cognizione questi termini rappresentano delle formule cinesi.
E nel frattempo abbiamo assistito alla caduta dell’impero sovietico, alla riunificazione della Germania, all’avvento di dimensioni geopolitiche continentali e al loro intersecarsi con e contro concezioni ed istituzioni cosmopolite.
Ci troviamo oggi ancora una volta ad un momento cruciale della storia mondiale ma lo leggiamo in maniera addirittura indegna per quanto è banale e stereotipata.
I nostri destini ci scivolano addosso ma noi non siamo presenti.
Il peggio è che tutto questo non ha alcun rilievo perché noi non contiamo, siamo puri e semplici oggetti che per credersi soggetti hanno bisogno di una rappresentazione virtuale di sé e di quel che li circonda; esseri angosciati che hanno paura della realtà, che accettano di farsela indorare dagli addetti alla stabilità sociale, che vivono in stato di dormiveglia e che, soprattutto, non vogliono svegliarsi.

Uomini liberi

Ebbene vi è chi è sveglio da sempre, e lo è perché sogna ad occhi aperti.
Questi si porta addosso una maledizione ed un privilegio: è un uomo libero.
Costui, da uomo libero ragiona altrimenti, in tutto e per tutto.
Non solo, perciò, non è globalizzato né globalizzabile, ma guarda a quanto avviene, anche alla guerra, con particolare interesse. E lo fa in modo autonomo e peculiare, non può infatti confrontarvisi assumendo una qualsiasi delle mentalità correnti perché queste, tutte, sono falsate all’origine.
Egli non può quindi rallegrarsi della crociata americana nell’illusione che finisca col tramutarsi in una crociata contro il Terzo Mondo e contro l’immigrazione, perché sa che Terzo Mondo ed immigrazione sono i pilastri insostituibili del capitalismo americano e sa anche che per modificare in positivo il primo e per poter interrompere la seconda, è indispensabile l’intervento di una politica di concertazione tra soggetti autonomi e vicendevolmente rispettosi.
Al di là della simpatia per i deboli e della soddisfazione per gli smacchi subiti dai forti, egli non può identificarsi neppure nella Guerra Santa antioccidentale, perché è consapevole del fatto che questo scontro frontale, imbastito su di una logica di rinnovata lotta di classe, è artificiale ed è figlio della piovra multinazionale e frutto di una mentalità distorta. E perché sa che in quest’ottica prima o poi anche la propria gente si troverà ad essere bersaglio degli Integralisti.
Non può neppure rovesciare l’equazione ed illudersi che dallo scontro subentri salvezza tramite il risorgere di un altro integralismo religioso, un integralismo che, oltre alle immani responsabilità liberticide ed ai delitti consumati contro il Pensiero e la Cultura, ha il torto storico ed etico di aver sterilizzato le correnti mistiche e spirituali del monachesimo e l’Idea concreta di Impero per poi fallire, oramai già sette secoli fa, producendo dal suo stesso alveo una serie ininterrotta di metastasi che vanno dal Protestantesimo al Comunismo.
Né può identificarsi con i pacifisti di oggi che sono mondialisti di cultura laburista-liberal, cresciuti e pasciuti nelle sagrestie, specie in quelle protestanti, all’insegna di un matriarcato spirituale di bassa lega che sconfina nella regressione infantile o nell’omosessualità spirituale.

Costui mai ha perso la fede, forse perché la sua fede non ha alcun oggetto ma è un valore in sé, è una virtù che trova in se medesima la propria ricompensa.
Ora, a differenza dei disperati che si affidano a patrigni d’oltre oceano o che s’identificano nelle gesta  di guerriglieri esotici per soddisfare per procura il proprio sentimento di rivalsa, egli può addirittura osare sperare.
I nodi al pettine sono infatti grovigli e le possibilità si moltiplicano.
Ai piani alti, o se vogliamo, nel retroscala di quell’edificio bislacco costruito dai discendenti del Grande Gatsby e di Al Capone, i magnaccia si stanno scannando per vie dirette e per vie indirette e non è escluso che per effetto di ciò noi si riacquisti la libertà.
Tutto intorno all’Europa si inscena infatti una danza che può far bene all’Europa.
Ma se l’Europa non è ancora in condizioni di ottenere il risultato agognato, non è più soltanto per essere stata sconfitta ma perché è assente, stanca, sfiduciata, malata. Forse per cogliere il frutto basterebbe soltanto tendere la mano, stando saldi su gambe larghe; ma si esita ancora.
E dire che Europa vuol dire vitalità, saldezza, autocentratura.
All’Europa oggi manca innanzitutto una cosa: la consapevolezza di sé e la fiducia in se stessa, e forse sta proprio a noi dargliela.
Sarebbe un peccato, questo davvero mortale, il ritrovarci tra breve ad un tornante storico ma arrivarci da larve intellettualizzate, dal respiro malato, con la mente pervertita da servitù di ogni genere o racchiusa in schemi che non ci riguardano.
Questa guerra non ci appartiene affatto, ma aiutiamo il Fato a far sì che essa sia di nuovo madre di tutte le cose !