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 E allora perché non mettere a fuoco il più adeguatamente possibile una condizione che è di primissima importanza e che anche se appare assai semplice è alquanto complessa ?

Da destra e da sinistra

Sull’immigrazione massiccia, a volte definita “selvaggia” ed altre “clandestina” si fa un gran sparlare, ovvero un parlare a sproposito. A destra la si ostacola veementemente in quanto vi si ravvede una volontà di sradicamento e di annientamento dell’insieme terra-storia-popolo da parte di registi perfidi e occulti. A sinistra la si difende in nome dell’utopia egalitarista ed a causa del complesso di colpa che prova chi, industrializzato e colonizzatore si sente oggettivamente responsabile della fame e della disperazione del Terzo Mondo e, pertanto, si sente obbligato a risarcirlo.
Al solito entrambe le aree hanno ragione (anche se le conclusioni della sinistra sono disastrose, come sempre avviene quando essa passa  dall’analisi, non priva di interesse, alle soluzioni), ma solo parzialmente. Vediamo perché..

Cause dell’immigrazione

L’immigrazione è un effetto del capitalismo, ovvero della suddivisione in zone economiche che sono rigidamente differenziate affinché si lavori sottocosto in alcuni territori per vendere a sovrapprezzo in altri. È il plusvalore all’ennesima potenza la causa di questo gigantesco mercato di schiavi che non è nato affatto con il colonialismo come si crede ma da quella decolonizzazione voluta e gestita insieme dall’Onu, dalle multinazionali americane e dalle internazionali socialista e comunista. Per interromperlo bisognerebbe rimettere in discussione i parametri dell’intera economia mondiale permettendo alle zone sfruttate di uscire dallo stato alle quali sono relegate e di offrire condizioni di vita accettabili e dignitose ai sottoparia dell’economia globalizzata.
Il che non è possibile senza una rimessa in causa di tutto il sistema produttivo e mercantile, senza un rilancio dell’economia privata, della proprietà privata e dell’economia comunitaria e sociale, e infine della produzione autonoma e localizzata.
Ovvero senza un totale abbandono delle logiche progressiste di sviluppo sulle quali si è andato evolvendo il liberismo internazionale, ovvero, ancora, senza il tramonto delle utopie marxiste che, a voler essere pignoli, poco hanno a che vedere con lo stesso Marx.
L’immigrazione è, dunque, innanzitutto una cosa: un mercato di schiavi a vastissimo raggio, insito nelle logiche del capitalismo.
Ed a tal proposito si rifletta sulla forza d’attrazione e di condizionamento umano raggiunto dal capitalismo. Secoli addietro uomini senza scrupoli solcavano i mari per rapire la mano d’opera africana e condurla di forza oltre oceano. E tra questi mercanti di schiavi singolarmente ritroviamo uno dei principali finanziatori di Marx ed Engels, un tal Lafitte 1
Oggi sono gli stessi schiavi ad offrirsi volontari e a cercare direttamente i mercanti di uomini ai quali versano tutti i loro averi purché li conducano dai loro padroni occidentali.
Potenza ipnotica del Leviatano !

Sintomo di disastro sociale e acceleratore di disgregazione

L’immigrazione è indiscutibilmente un sintomo del disastro sociale verificatosi nei paesi di provenienza ed è, al contempo, un acceleratore di disgregazione della società di accoglienza. Perché, come osserva giustamente Geminello Alvi, essa non è l’avvio di quel confronto etno-culturale che pretenderebbero gli utopisti umanisti bensì lo scimmiottamento del modello yankee.
“Il collante tra l’immigrante e le nazioni che lo ospitano, anche in Europa, non è né la cultura dell’immigrato né quella di chi lo ospita: è la sciatta cultura delle plebi americanizzate”.2
E, come fa notare Eric Werner, essa contribuisce a creare attrito sociale e senso di pericolosità rafforzando, pertanto, l’instabilità collettiva e la consequenziale stabilità del potere oligarchico. 3
Benché gli Americani siano consci del fattore deflagrante ed identicida dell’immigrazione di massa e, probabilmente, tendano a favorirla in Europa, neppure è corretto risolvere la questione come il frutto di un complotto mondialista. Proprio da alcuni tra i principali esponenti mondialisti, come Giscard d’Estaing e Kissinger, si sono levate autorevoli voci volte a contrarre questo fenomeno, ma inutilmente. Il gotha finanziario, le multinazionali, le chiese ed i partiti comunisti, che sono tutti, sia pur in misura diversa, parassiti dell’umanità, non hanno alcuna intenzione di porre freno al mercato di schiavi che arreca loro potere, onore e ricchezze.
Ci troviamo dunque in presenza di un dramma irreversibile e di un problema irrisolvibile ?
No, perché nulla è definitivo e tutto può cambiare, come da tempo affermiamo su Orion cercando di esplorare le vie praticabili e le linee di tendenza potenzialmente favorevoli.
Si fintanto che i rapporti di forza, la struttura economica e lo stordimento culturale non subiscano modifiche.
Il che non significa che non si possa controbattere, anche se è da stabilire come, una tendenza pericolosa. A patto, però, di avere le idee chiare e, soprattutto di saper evitare le trappole disseminate sul cammino di chi ha deciso di far propria questa battaglia.
Ed a tal proposito vogliamo sgombrare il campo dai peggiori equivoci.

Il tabù “razzista”

Il primo equivoco, forse il più importante, è insito nella vera e propria trappola ideologica, dialettica e giuridica nella quale si imbatte chiunque voglia trattare il problema dell’immigrazione.
All’origine di questo equivoco che oramai è divenuto una vera e propria trappola stanno due elementi: da un lato la mistificazione linguistico-ideologico-valoriale che è insieme l’ariete ed il cavallo di Troia di tutte le penetrazioni marxiste e dall’altro l’interesse di alcune oligarchie (le multinazionali, i centri gerarchici dell’integralismo islamico e le chiese  cristiane) che esigono che il processo migratorio non abbia fine né regolamentazione.
La coincidenza di questi fattori ha finito con l’imporre l’assioma anti-immigrazione = razzismo.
Dal che il timore, da parte di chi vorrebbe veder scemare detto fenomeno, di essere incriminato o comunque socialmente scomunicato. E quindi la solita premessa dell’uomo della strada “non sono razzista ma...”
In realtà l’assioma è falso in quanto si può essere contro l’immigrazione senza essere razzisti ed essere razzisti e favorire l’immigrazione, com’è il caso frequente dei mercanti di schiavi Wasp delle multinazionali.
Ma è arduo comprenderlo finché si resta prigionieri della confusione imposta dialetticamente dalle sinistre che hanno la capacità straordinaria e la vocazione atavica di snaturare, mistificare e bollare qualsiasi valore o modello che non rientri nelle loro categorie.
Così sotto la voce “razzismo” si sono fatte passare una serie di tendenze diverse e spesso inconciliabili, talune delle quali con il “razzismo” almeno così come lo si intende comunemente non hanno nulla a che fare.

A proposito di razzismo

Il razzismo zoologico, il razzismo sociale, il razzismo nazionalistico, la fierezza della propria identità e persino la preservazione della memoria storica si sono così venuti a confondere nel medesimo pentolone mescolandosi infine con altre categorie quali la xenofobia e l’antisemitismo.
Che non vi sia comunanza tra tutti questi sentimenti è ovvio: non hanno neppure la medesima origine storica.
Il razzismo zoologico, che si fonda sull’ipotesi evoluzionista darwiniana e adduce superiorità di scatole craniche o di Q.I., è una  trovata anglosassone e protestante, contro cui Evola peraltro polemizzò a lungo trovando tra i suoi avversari, e dunque tra i difensori del razzismo zoologico, lo stesso Almirante non a caso politicamente moderato ed anglofilo: fascino della vocazione oligarchica...
Con qualche allargamento in zone germaniche, questo razzismo è prettamente di stampo inglese o di civilizzazioni insulari restie all’apertura della mente.
È’ indiscutibile che la gran parte dell’oligarchia dominante, e dunque degli stessi mercanti di schiavi, sia razzista zoologicamente e, malgrado ciò o forse proprio perciò, favorevole all’immigrazione massiccia.
Il razzismo sociale, che poi è il più diffuso e dal quale ben pochi sono esenti, nasce nella destra storica: è un razzismo borghese e classista per il quale Tizio disprezza gli Africani non tanto perché portatori di valori a lui non consoni ma in quanto pezzenti, poveri, squalificanti socialmente. E’ il razzismo dei parvenus  che, attraverso l’abbassamento dell’altro ritengono di innalzarsi; infatti nell’inferiorità altrui trovano il conforto di una presunta  superiorità individuale altrimenti indimostrabile nella loro vita quotidiana.
Il razzismo nazionalistico e colonizzatore nasce a sinistra, nella cultura giacobina. Chi lo nutre ritiene che il suo popolo sia portatore di un modello avanzato, da esportare assolutamente per emancipare chi è culturalmente ritardato.
La fierezza della propria identità è, invece, elemento fondamentale ed imprescindibile per la salute di un popolo e della sua civiltà: colpevolizzarla, come avviene da tempo, significa minarne la compattezza, la sopravvivenza ed il destino. L’attacco pernicioso contro questo naturale riflesso identitario si è infine spinto fino a mettere in discussione la stessa memoria storica dei popoli europei perché in essa, giustamente, si ravvedono al contempo elementi “politicamente scorretti” e gli anticorpi alla dissoluzione.
L’antisemitismo c’entra come i cavoli a merenda ma lo si lascia lì nel pentolone perché è fonte di facile criminalizzazione. In realtà sullo stesso antisemitismo dovremmo dilungarci molto perché è a sua volta un fenomeno assai complesso che si nutre di sentimenti di sinistra, di reazioni di destra e di elementi di razzismo religioso, peraltro reciproci.
Infine nel coacervo razzista ritroviamo la xenofobia che non è altro che timore e diffidenza verso l’ignoto. Un sentimento, questo, un po’  primario, di origine contadina  che dovremmo considerare angusto e censurabile. L’esperienza ci insegna però che oltre cinque secoli fa gli “indios” americani non erano xenofobi e per tutta risposta sono stati sterminati; se invece lo fossero stati avrebbero rigettato in mare coloro che furono la causa della loro estinzione. Dunque la xenofobia non è necessariamente un difetto.



Per una corretta impostazione del problema

Ma cosa c’entrano queste precisazioni con il problema politico dell’immigrazione ?
C’entrano per quel che riguarda la sua impostazione che è di primaria importanza se è vero, come è vero, che l’albero è nel germoglio.
Da quanto sommariamente esposto si ricava infatti una prima certezza e cioè che a proposito di “razzismo” si parla a vacca. Dal che consegue una seconda certezza, ovvero che nell’equiparare l’opposizione all’immigrazione con il razzismo si fa quantomeno una forzatura.
La stessa equazione che viene automaticamente formulata tra l’ideologia del neofascismo, poiché esso si esprime quasi compatto ed a gran voce perché sia dato freno all’immigrazione, e l’odio razziale è pretestuosa ed infondata.
L’esperienza storica ci insegna infatti che durante l’ultimo conflitto le relazioni con le popolazioni e le truppe di colore furono improntate, da parte fascista, al massimo rispetto mentre il disprezzo razziale fu prerogativa delle autorità civili e delle gerarchie militari delle democrazie.
Le conseguenze sta ad ognuno il trarle.
Personalmente riteniamo che l’opposi all’immigrazione debba sì fondarsi sulla fierezza della propria identità e sulla difesa della propria memoria ma anche sulla concordia con i popoli schiavizzati e gettati alla deriva sulle nostre spiagge.
Riteniamo che la difesa delle identità vada perseguita contemporaneamente ed in contrasto con la prepotenza e l’antiumanismo che sono alla base dell’attuale sistema capitalistico a cultura angloamericana ed a struttura oligarchica.
Concordiamo con Jean Marie Le Pen che non si stanca d’insistere sul fatto che i nemici della Francia (e dunque i nostri) non sono gli immigrati ma le lobbies dell’immigrazione.
Col che non vogliamo giungere all’eccesso di assolvere i consistenti gruppi di criminalità organizzata che immigrano da noi, perché l’essere oggettivamente vittime di un fenomeno non cancella le successive colpe soggettive.

Liberarsi degli equivoci

A nostro avviso una visione corretta e complessiva s’impone perché non si può restare prigionieri dell'alternativa tra il favorire gli scafisti e lo sperare che la Marina mitragli le scialuppe dei disperati.
Proprio in quest’alternativa, falsa e fuorviante, si trova infatti il secondo equivoco, la seconda trappola insita nell’impostazione comune del problema e che impedisce che questo abbia una soluzione.
Il che è lampante in terre d’immigrazione massiccia, come la Francia o il Belgio. Prigionieri di quest’equivoco i “progressisti” accordano agli immigrati tutte le qualità morali possibili ed immaginabili mentre gli “xenofobi” si sentono obbligati a negar loro la stessa dignità umana.
Alla prova dei fatti le teorie, come sempre accade, si dimostrano mendaci ed al momento di entrare in contatto con gli immigrati tanto coloro che li esaltano quanto coloro che li rifiutano si accorgono di avere ampiamente torto, di aver commesso iniquità, sicché si trovano a disagio ed incapaci di fornire ipotesi praticabili per la risoluzione del problema giacché il fondamento teoretico delle loro costruzioni si fonda sulle sabbie mobili.
Una volta di più nel dualismo imposto subdolamente troviamo la falsità, la mistificazione e l’impossibilità di una via d’uscita.
Una terza via non solo è possibile ma è fondamentale.
 
Alla ricerca della soluzione

Quale via?
Una via che, come abbiamo detto, si orienti verso la cooperazione e verso la fuoriuscita dal capitalismo nel nome della proprietà privata e sociale, della produzione e del benessere e non certo in quella della regressione allo stadio proletario proto-industriale che certe opposizioni nostalgiche e marginalizzate propugnano.
Ma questo è un obiettivo ambizioso, nel frattempo c’è da far fronte ad ondate sempre più massicce di portatori di drammi e di infelici destini ed è urgente ed opportuno stabilire il come.
Nell’attuale caos è indispensabile battersi per una regolamentazione e per l’assegnazione di priorità che magari favoriscano la composizione di modelli omogenei (ciò che avverrebbe ad esempio con le migrazioni intraeuropee) ma che, soprattutto, puntino ad incoraggiare l’immigrazione di ritorno dei nostri compatrioti partiti un tempo oltremare.
Ed  è quantomeno singolare che allorquando essi ci domandano oggi asilo, specie dall’Argentina, le autorità politiche scoprano che “è meglio aiutarli laggiù”. Può essere anche vero ma perché questo mai viene loro in mente quando si tratta degli immigranti africani ? Probabilmente perché ciò andrebbe in contrasto con le logiche di sfruttamento delle multinazionali, ovvero dei padroni dei nostri politici e dei nostri facitori d’opinione.
Regolamentare l’immigrazione, dunque, dando priorità alla salvaguardia culturale ed ai doveri nei confronti dei nostri compatrioti. Questo hanno proposto sia la Lega che Forza Nuova ed è stupefacente che una soluzione così logica e naturale, che dovrebbe essere non solo trasversale ma sfiorare l’unanimità nelle persone ragionevoli ed indipendenti di giudizio, sia rimasta del tutto inascoltata.

Che il tutto non resti lettera morta

Con questo pensiamo di aver espresso quelli che a nostro avviso devono essere il sentimento da nutrire e l’atteggiamento da tenere nei confronti dell’invasione che subiamo dai sottoparia, spossessati dal capitale globalizzato non solo di tutte le ricchezze reali e potenziali ma anche delle prospettive del domani e infine scagliati, all’inseguimento di assurde illusioni, nelle nostre false Eldorado.
Restano da stabilire le forme ed i metodi opportuni affinché queste prese di posizione non restino lettera morta o un puro e semplice sfogo di nervi.
E qui ritorniamo alla vera questione centrale, ovvero al come muoversi concretamente nella società globalizzata, postpolitica e virtuale.
Chi ci legge sa che è proprio per trovare una soluzione a questo che siamo impegnati da anni. Continueremo fino a tanto che le prese di posizione e le soluzioni offerte dall’area (destro)radicale continueranno a restare limitate alla risibile forza d’impatto di un forum su internet, se non addirittura su di un circuito intranet.
L’evoluzione è possibile e sta in una mutazione antropologica che ci permetta di comprendere e dominare le leggi della comunicazione. Ma questa è un’altra storia, anzi è la storia perché, in fondo, le forze politiche da circa venti anni  sono ferme alla letteratura. E anche in questo lasciano piuttosto a desiderare.

1.    Vedi il film-documentrio di Jacopetti “Zio Tom”, 1972.
2.    Geminello Alvi, Il Foglio, 23 luglio 2001
3.    E.Werner “L’avant-guerre civile” ed. L’age d’homme, 1998 e “L’après-démocratie” ed L’age d’Homme, 2001