Questo sito si serve dei cookie tecnici e di terze parti per fornire servizi. Utilizzando questo sito acconsenti all'utilizzo dei cookie.

22/01/2016 | ilsole24ore

 

 

Anche qui facciamo ridere

 

 

 

 

Si fa presto a citare i Neet, l'ormai celebre generazione di under 30 “né né”: né allo studio né al lavoro, disponibili all'impiego ma scettici sull'ipotesi di essere assunti. Solo tra 2005 e 2015, la percentuale di aderenti alla categoria in una fascia sensibile come quella 18-29 anni si è gonfiata dal 22,8% al 31,1% (+8,3%). C'è chi riduce tutto alla sindrome dello scoraggiamento, ma la questione è più articolata: «Non possiamo imputare tutto allo scoraggiamento, perché è una componente che fa parte della congiuntura e si percepisce ovunque. Ci sono questioni strutturali che spiegano questo tasso così elevato di “mancata partecipazione” sul mercato italiano» fa notare Emilio Reyneri, ordinario di sociologia dei processi economici e del lavoro alla Bicocca di Milano. Abbiamo provato a rilevare quali.

Il “loop” disoccupati-inattivi

Il primo ostacolo è di natura sia contabile che psicologica. Una lettura imprecisa degli indicatori sulla “vera” disoccupazione alimenta lo scoraggiamento che, a sua volta, finisce per gonfiare la bolla di inattività. Cosa succede? La definizione Istat di disoccupato comprende, a grandi linee, tutti gli individui che non hanno un impiego ma o ne hanno cercato uno nelle ultime quattro settimane o sarebbero disposti a iniziare un'attività entro un certo arco di tempo.

Questo innesca un cortocircuito: se gli inattivi iniziano a cercare lavoro diventano disoccupati e fanno salire la disoccupazione, se i disoccupati perdono fiducia e non si registrano come tali fanno calare la disoccupazione - ma rimpolpano le file degli inattivi. Insomma, da un lato non si ottiene un quadro preciso dei giovani disoccupati de facto, dall'altro un fenomeno in sé positivo come l'aumento di persone che cercano lavoro rischia di avere ripercussioni negative sulla tenuta psicologica dei coetanei. Lo squilibrio tra disoccupati “ufficiali” ed “effettivi” emerge bene se si fa un confronto dei dati dello scorso novembre tra tasso di disoccupazione e tasso di inattività dei giovani dai 25 ai 34 anni: tasso di disoccupazione in discesa del 2,1%, tasso di inattività in crescita del 2,2%. Una “compensazione” quasi simmetrica che non si accompagna a una crescita dell'occupazione, giù dello 0,2% su scala annua.

Chi mi trova un lavoro?

Un altro elemento che finisce per alimentare l'inattività, almeno sulla carta, è il ricorso a canali “informali” per la ricerca di impiego. Cioè le segnalazioni da parte di un conoscente, prassi che secondo ricerche Isfol contribuisce a oltre il 30% dei collocamenti. «Se una persona cerca lavoro per canali personali, in genere, non è solito farlo ogni settimana o comunque con standard che gli permettano di rientrare tra i disoccupati» spiega Reyneri. L'abitudine di “spingere” su canali personali è fondata, anche, dalla scarsa incisività di servizi per l'impiego (appena il 3,4% delle collocazioni mediate nel 2011) e dalla semi-inesistenza di forme di sussidio che sostengano la prima fase di ricerca del lavoro. In Danimarca, ad esempio, basta la qualifica di laureato per accedere a un assegno settimanale di 3.390 corone (454 euro) per un totale di due anni e alla condizione di dimostrare la ricerca di un'occupazione. «Qui in Italia i giovani non recepiscono indennità di questa portata, ed è chiaro che diventa meno facile essere indipendenti» evidenzia Reyneri.

Mismatch allo specchio: profili introvabili e stipendi troppo bassi

Infine, il cosiddetto mismatch: la carenza di competenze adatte rispetto alle aspettative di chi assume. Sia da lato della domanda che da quello dell'offerta, però. Ci possono essere profili “introvabili” tra i laureati ma, viceversa, condizioni e retribuzioni disallineate rispetto alle competenze dei laureati. Sul primo fronte, l'esigenza di determinate skill professionali - soprattutto in area tecnico-scientifica - si rispecchia nell'ultimo rapporto Excelsior di Unioncamere. L'indagine parla di 76mila professionisti “latitanti” dal mercato italiano del 2015, soprattutto nella aree di ingegneria e discipline scientifiche. Ma, se si rovescia la questione, sono le condizioni di primo contratto e prospettive di carriera che disincentivano l'ingresso di risorse ad alto tasso di qualifiche. L'ultimo Osservatorio sul Costo del Lavoro Mercer, il gigante della consulenza su sviluppo e organizzazione del capitale umano, ha evidenziato che la retribuzione annua lorda dei neo-laureati in Italia in ingresso nel mondo del lavoro viaggia sui 26.500 euro: quasi 10mila euro in meno rispetto ai 35mila di Francia e Germania, addirittura la metà dei 50mila che si possono sfiorare per un certo numero di posizioni nel Nord Europa.