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Apparentemente si tratta di un colpo al cerchio e uno alla botte ma in sostanza non è così e vediamo il perché.  Prima però chiariamo un paio di cose. Che D’Erme  se la sia meritata possiamo anche concederlo; non fosse altro per il suo mettersi alla testa, insieme a Paolo Cento, di minoranze turbolente che assediavano le Occupazioni (in particolare Casa Pound) nella speranza di provocare disordini e, quindi, scatenare repressione e provocare lo sgombero dello stabile. Una vera e propria procedura da provocatori, quella stessa che loro attribuiscono alla cultura dei “fascisti” ma  che piuttosto è storia atavica di un  certo comunismo. Inoltre non dimentichiamo che D’Erme si è fatto la campagna elettorale per le europee mettendosi alla testa di un corteo che ha assalito e ferito i pochi militanti di Forza Nuova presenti nella sede romana. Insomma è un seminatore di odi e violenze. La stessa “spesa proletaria” che rivendica come atto di giustizia sociale è più una miscela di teppismo e demagogia che un gesto politico serio. Ciò premesso ci sembra evidente che la decisione di perseguirlo accentuando la portata del delitto commesso - e questo proprio mentre è pendente su di lui un altro ordine di garanzia per “associazione a delinquere” maturato nell’occupazione delle case per rispondere, a modo suo, all’esigenza sociale abitativa - assume un significato politico che trascende i fatti in sé e le qualità della persona. Enfatizzarne le devianze, assimilando l’interventismo sociale al teppismo, rientra in una logica che Veltroni e i suoi sodali (Gasbarra, Marrazzo) stanno seguendo con limpida linearità. Hanno deciso di fondare la continuità del proprio potere su di un doppio accordo: quello con i costruttori (e c’è già chi definisce quella nuova del Lazio, come “giunta Caltagirone”) e quello con la rinata DC.

Per questo, e in previsione delle scelte liberiste e antisociali che dovranno prendere quando presumibilmente andranno al governo nel 2006, hanno deciso di sbarazzarsi dell’ala sinistra. E lo fanno in una logica bipartisan inserendovi la destra militante (vedi il doppio tentativo di sgombero a Roma il 9 mattina). Sicché questa messa fori gioco del leader dei “disobbedienti” probabilmente rientra nella strategia di indebolire l’obiettivo prima di colpirlo.
Perché è chiaro che il potere bulgaro di comune, provincia e regione sta affilando le sciabole e fa tintinnar gli speroni.
Da tempo ormai, da quando la DC ha deciso che Berlusconi non fa più al suo caso, stiamo assistendo ad una ricomposizione di formazioni e schemi del passato che portano diritti diritti al consociativismo, agli opposti estremismi, alla tensione e al regime tout court.
E la storia c’insegna che mai repressione è più completa, metodica e impietosa di quando la compiono uomini di sinistra.
Ecco perché anche l’annunciata dedica di una via a Giorgiana Masi può suonare come un campanello d’allarme. In apparenza si tratta di un pegno pagato al passato, ovvero a tutti quelli che provengono dal movimento del ’77 e sostengono l’attuale centrosinistra. I quali in questo tardivo omaggio troveranno l’alibi per chiudere gli occhi e rifiutare di rendersi conto che li stanno liquidando. La stessa motivazione con la quale il Campidoglio spiega questa scelta è eloquente. “Pagò con la vita una giornata di durissimi scontri tra le forze dell’ordine e manifestanti che si opponevano al divieto di manifestare imposto anche a coloro che quel giorno volevano ricordare la vittoria referendaria sul divorzio del 1974”.
Balle. I manifestanti se ne fregavano del divorzio: erano stanchi del continuo tradimento delle proprie istanze, consumato non solo dal nemico storico democristiano ma anche e soprattutto da un partito comunista oramai in area di governo e rivelatosi retrogrado, ottuso e repressivo.
Giorgiana Masi non fu vittima di scontri imprecisati ma di un tiro nutrito sulla folla, effettuato da uomini in civile che vennero fotografati dai manifestanti e denunciati per omicidio da Pannella che ne rivelò l’identità di agenti di squadre speciali. Non furono condannati, ovviamente.
Presentare Giorgiana Masi così come pretendono Veltroni & Co vuol dire tradirne la memoria, travisandone e rovesciandone le ragioni della tragica fine. Vuol dire strumentalizzare i morti nel modo peggiore, ovvero assolvendone gli assassini. Vuol dire VOLER dimenticare il ruolo che certi corpi separati ebbero nella strategia della tensione e inchiodare all’oblio la gente inerme che uccisero sparando sulla folla. Giorgiana fu la prima, ma non l’ultima di una serie di vittime ignare. Ma significa anche voler dimenticare che tutto ciò avvenne con il PCI (oggi DS) costantemente complice, se non altro per omertà e accondiscendenza.
E vuol dire, purtroppo, che si dichiarano pronti a ricominciare.