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La molla che fece scattare l’intera operazione fu l’improvvisa necessità di venire a capo di una gioventù ribelle che,  un po’ di testa propria, un po’ per le manipolazioni dei corpi deviati, continuava a battersi e si era addirittura spinta ad ‘attaccare il cuore dello Stato’. 

Che lo Stato non avesse cuore, né in senso poetico, né in senso puramente anatomico, lo avevamo allora capito in pochi, non di certo i dirigenti dell'’ultrasinistra ; ma affronti tipo il rapimento-Moro, e - in seguito - quello di Dozier, anche se non erano affatto ‘destabilizzanti’ non potevano essere tollerati se non altro per la credibilità internazionale delle classi dirigenti.

E la mannaia cadde implacabile, e prevedibile, in un clima di caccia alle streghe, di leggi speciali fatte di ipotesi associative imprecise, di aggravanti per ‘terrorismo’, di condoni per ‘pentitismo’ e via dicendo.

Fin qui tutto normale : ogni Paese ha reagito sempre così in situazioni similari, ma da questo momento in poi entriamo nella piena specificità italiana.

Forti del fatto che i riflettori ed i fucili fossero puntati altrove, le classi dirigenti strinsero difatti un patto delinquenziale e mafioso che si condensò nella famigerata tangentopoli.

Questo papocchio si risolse in seguito in un boomerang perché l’istituto del pentitismo e le stravaganti ipotesi associative anche di tipo esterno che risalgono proprio all’antiterrorismo, fornirono le armi per successive campagne giudiziarie, spesso menate alla cieca,  sia sul terreno politico che su quello industriale, che si risolsero in un abnorme potere dei Magistrati ed in una logica della persecuzione che ha violentato i fondamenti stessi del diritto. Parliamo di quel fenomeno impropriamente definito come giustizialismo, altro effetto dell’emergenza di allora.

Va infine rilevato che, se ogni Paese civile che abbia fatto ricorso a leggi speciali ne è uscito con successive indulgenze plenarie (in vent’anni dalla guerra d’Algeria alla prima elezione di Mitterrand la Francia ne ha promulgate addirittura due), in Italia le amnistie sono state striscianti, individualizzate e prive di rigore.

Se infatti avviene, come avviene, che, mediante una prassi sdruciola e sfuggente che nella forma disonora a posteriori le stesse vittime, dei pluriomicidi escano a metà pena e godano dell’interesse commosso dei rotocalchi mentre dei condannati per banda armata scontano trent’anni di galera fino all’ultimo giorno, sono evidenti due cose. La prima è che non vi è un criterio oggettivo di giustizia, la seconda è che tuttora predomina la cultura tipicamente italiana, di influenza mafiosa e di tradizione clericale, della raccomandazione e della furbizia. 

Né è casuale che proprio la Curia, che tanto spinse in favore delle pene differenziate (in Italia i livelli di classificazione carceraria - e di possibilità di ottenere benefici di legge - sono ben sette e non dipendono dal reato ma dal grado di dignità del prigioniero), confermando la sua doppiezza morale, si è contemporaneamente opposta - insieme a casa-Fiat - a qualunque soluzione indultoria. Ed a qualunque scelta radicale di equità nella dignità. Il problema, come si vede, è atavico e ce lo portiamo dietro da generazioni.