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 Le opposizioni che agirono nella Prima Repubblica non erano, però, autentici soggetti politici ma  catalizzatori di malcontento: la vera politica, già allora appannaggio di pochi, si realizzava in tutt’altre dimensioni ed andava nel senso della razionalizzazione liberticida.

I grandi nodi del futuro prossimo

Oggi è proprio al centro nevralgico dell’organizzazione transnazionale che molto è cambiato e che vi è di che sperare.
Innanzitutto sono cambiate le classi dirigenti che non sono più fisicamente espresse dai criminali che approfittarono della vittoria nell’ultima guerra per instaurare una dittatura della canaglia e che erano animate non solo da un’incommensurabile ingordigia ma da un odio sconfinato. E’ vero che sono adesso in larga parte  rappresentate dai loro figli naturali ed adottivi ma va detto che costoro hanno un fanatismo, una cattiveria ed una convinzione nettamente inferiori che non chi li ha preceduti e sono sicuramente molto meno coesi psicologicamente.
Inoltre, a causa delle scelte culturali ed educazionali che si sono sviluppate nell’ultimo mezzo secolo, le stesse élites al potere hanno assunto competenze assai ridotte, anche in chiave di capacità di conduzione delle situazioni di emergenza.
Geopoliticamente ed economicamente molte sono le incognite foriere di possibili rivoluzionamenti: l’Unione Europea è presa, ad esempio, molto seriamente in conto dal potere americano che la segue con assillo sforzandosi di darle un taglio a lui funzionale ma, soprattutto, è affetta dal timore, chiaramente e ripetutamente espresso, che ne acquisti un altro.
La Russia rappresenta un’incognita potenziale di prima importanza, mentre il divario planetario nord-sud può evolvere in vari modi.
Anche sociologicamente le classi dirigenti, che sono formate da gangs, lobbies e logge di varia origine, confessione ed appartenenza, arrecano in sé molte contraddizioni irrisolte che potrebbero scatenare conflitti intestini di portata anche vasta.
Pensiamo ad esempio a come il potere si basi oggi sulla tecnologia, la finanza e l’informazione.
I tecnici, che ne sono poi il vero pilastro, chiusi come sono nella forbice dei finanzieri e dei giornalisti, sono privati di visibilità e dunque di quella soddisfazione umana il cui desiderio di appagamento è uno dei principali motori della storia; una loro presa di coscienza ed un eventuale sussulto di orgoglio comporterebbero non solo squilibri interessanti ma addirittura il possibile intervento di varianti culturali ed ideologiche non indifferenti.
Vi è poi un attrito sempre più marcato fra le forze produttive e quelle speculative, la piccola e media borghesia, minacciata nella sua stessa esistenza, resiste come può alla pressa che incombe su di essa, attivata dal capitale anonimo ed apolide con la complicità dei ceti parassitari.
Al contempo la globalizzazione, per effetto collaterale e compensativo, sta producendo un desiderio di radicamento nel locale che può tramutarsi tanto in una reazione innocua quanto in una fonte di riscossa qualora detto localismo si coniugasse con un’idea ampia ed universale in grado di qualificarlo, rappresentarlo ed imporlo trascendendolo. L’idea imperiale dell’Europa.
Se sopravviveremo alle gravi minacce demografiche ed ambientali che sono comunque a dir poco inquietanti, assisteremo probabilmente a nuove prospettive e a nuove mobilitazioni, forse non di massa ma sicuramente di avanguardia.
Vi è di che essere ottimisti e di che impegnarsi purché si abbandonino molti orpelli psicologici e morfologici desueti ereditati dai decenni precedenti e purché ci si orienti verso la qualificazione delle élites.

Le incognite immediate (dall’Euro al Medio Oriente)

Gli anni a venire, probabilmente i prossimi tre, saranno densi di conflitti e di avvenimenti.
L’Italia si appresta, quantomeno ritengono i diretti interessati, ad un cambio di amministrazione politica, dal centrosinistra al Polo.
Sembra un’inezia perché, come tutti sanno, nulla cambierà in concreto; questa mutazione preannunciata è stata però interpretata da diversi soggetti di sottopotere (soprattutto certi centri democristiani e comunisti) e da molti addetti ai media come un’apertura delle ostilità per cui si apprestano a dare battaglia.
La portata di questo scontro in cui, volenti o nolenti, saranno coinvolti  tutti i soggetti politici reali e virtuali, varierà a seconda del grado di coinvolgimento dei poteri forti e dei centri strategici.
I mesi che verranno ci daranno risposte importanti sull’orientamento di questi ultimi.
Il passaggio delle consegne in Italia rischia infatti di avvenire nel pieno di conflitti internazionali di una certa importanza e questo può coinvolgerci direttamente.
Vediamo allora nel dettaglio le incognite della situazione in cui versiamo.

1.    Siamo alla vigilia del varo dell’Euro con tutti i suoi effetti secondari di ordine finanziario e sociale e con quelli collaterali di tipo strategico. Contrariamente alla tranquillità apparente, l’Unione Europea è un grande fattore di conflitti. Nello scorso decennio abbiamo assistito ad una vera e propria guerra tra l’ala mondialista-americana e quella europeista capeggiata da Khol e Mitterrand, una guerra che ha avuto i suoi morti illustri e non solo in senso figurato (in Inghilterra in un anno sono stati soppressi ben sei parlamentari conservatori, in Germania la Cia ha eliminato per ben due volte chi aveva ricevuto l’incarico governativo di riorganizzare l’economia dell’ex Repubblica Democratica come ci ha appassionatamente documentato un articolo della rivista Italicum; Tangentopoli è servita per spazzar via Craxi, Formica e Felipe Gonzalez e per paralizzare Khol; nell’ex Yugoslavia ed in Russia la guerra ha raggiunto livelli ben più crudi). Contrariamente a quanto si può immaginare, il partito europeista benché non abbia visibilità né rappresentatività partitica, è molto potente in Francia (dove comprende le gerarchie militari e spaziali) ed in Germania (ove si estende a settori finanziari ed industriali) ma si allarga alle stesse periferie, tanto che si è andato consolidando nella stessa Italia. La questione dell’Euro è considerata strategica dagli Angloamericani e, quindi, i prossimi mesi potrebbero dettar loro una politica di destabilizzazione e di indebolimento delle classi dirigenti europee.
2.    Gli Stati Uniti si trovano ad un momento cruciale per quanto riguarda la strategia internazionale. Bush Jr. in teoria dovrebbe ridurre la pressione in Europa, il che è piuttosto di buon auspicio; ma le lobbies delle multinazionali premono nella direzione opposta e poiché la stessa Cia è più un insieme di gruppi di interesse che non un monolite, un’eventuale riduzione della pressione politica americana sull’Unione Europea potrebbe indurre i servizi militari – e quei centri finanziari che li sponsorizzano - a dei veri e propri colpi di coda (ricatti, omicidi, stragi, tentativi di scatenare conflitti internazionali).
3.    Israele vive un momento critico quanto mai. La vittoria di Bush Jr. è stata vissuta dagli Israeliani come una maledizione perché vi ravvedono la continuità della politica del padre, a loro sicuramente avversa. Lo stesso bombardamento dell’Iraq, per chi sa leggere tra le righe, è una conferma di quest’orientamento; il Segretario di Stato Americano, Powell, ha infatti chiesto agli Arabi di fare quadrato politico contro lo spauracchio Saddam ma, in altre parole, ha domandato un sostegno alla presenza americana in Medio Oriente lasciando sottintendere in contraccambio l’isolamento di Israele. E dobbiamo ricordare che quando Israele è con l’acqua alla gola reagisce destabilizzando nei modi più violenti le aree limitrofe (l’Italia prima tra tutte).

Concepire un’avanguardia politica.

Molte sono le novità che ci possiamo attendere e va detto che una minoranza che sapesse farsi élite operativa vedrebbe aprirsi davanti a sé interessanti prospettive.
Per chi, invece, si limita a vegetare nella periferia della politica virtuale non resta che il rango del tifoso-spettatore, oppure, e questo è il dramma, il rischio di essere chiamato in scena come protagonista passivo per subire i contraccolpi dei sommovimenti verificatisi.
Preferiremmo mettere l’accento sulle opportunità politiche che si prospettano ma il realismo ci impone di fare altrimenti.
L’opposizione radicale non è un soggetto politico, né in atto né in potenza: il fatto che per la prima volta alla generazione dei trentenni sia stata risparmiata la consueta falcidie repressiva ci lascia ben sperare in una maturazione. Possiamo allora dire con una certa dose d’ottimismo che un soggetto politico radicale è oggi in potenza di potenza.
Bisogna che esso attui, superi e metabolizzi una serie di mutazioni interiori affinché si faccia élite, un’élite in grado di traslare nell’ordinario i valori eroici, assumendo con discrezione e con estrema disinvoltura metri quotidiani di scelta assolutamente differenti dal conformismo materialista, che siano soprattutto vissuti con semplicità, modestia, pudore e nell’amore della propria gente, sì da divenire tangibili esempi culturali, sociali ed esistenziali.
A quest’opera di pulizia interiore che deve prescindere dalla retorica sui valori e dai moralismi codificati cui ricorrono coloro che non sono autocentrati e che, pertanto, non sono in grado di darsi la legge, si deve accompagnare una qualificazione metodologica che consenta di trasformare il ghetto in un’avanguardia politica che sia in grado di giocarsi le carte con tutte le oligarchie che ci hanno estromessi dalla decisione dei nostri destini.
Senza un’autentica rivoluzione di natura ontologica questa strada non è percorribile e porta ai consueti fallimenti del disancoramento e della corruzione.
Viceversa la presunta unità del Sistema non è un ostacolo tanto insormontabile quanto appare: se lo osserviamo attentamente ci accorgiamo che non solamente esso è permeabile ma che gli stessi rischi di criminalizzazione paventati da un’area autodichiaratasi antagonista sono relativi.


Il Sistema è unito o frammentato ?

Il Sistema, a prima vista, appare omogeneo e fondato su di un’ideologia (quella progressista, comunista ed umanitarista, che detta i canoni del political correct). Ma le cose stanno così solo in apparenza.
L’unitarietà del Sistema è data da una tipologia umana e culturale, quella dell’ Homo Oeconomicus, e dall’assunzione incondizionata dei valori del materialismo. Vi è, dunque, identità etologica a tutti i livelli; i comportamenti, gli schemi mentali, i modi di vita sono tutti perfettamente inscritti o inscrivibili nella categoria individualistico-materialistica.
Tutte le componenti, ideologiche, etniche, religiose, tribali o categoriali, convivono in una ressa quotidiana nella quale rispondono al medesimo schema comportamentale ed agli stessi canoni.
Il che significa più cose allo stesso tempo.
1.    L’unità generale, o per meglio dire il conformismo globale, si fonda su di un modello esistenziale, culturale ed etico che è comune a tutti i soggetti politici, quale che sia il loro grado di contestazione del potere.
2.    Quest’unità generale è al contempo più forte e più debole di quanto lo sarebbe un’unità raggiunta a tavolino (il famoso Complotto), più forte perché spontanea e naturale, più debole perché passibile di sconvolgimenti immediati che si produrrebbero a macchia d’olio di fronte alla magia dell’esempio.
3.    L’ideologia del Sistema, ovvero quel particolare comunismo mondialista di estrazione medio-alto-borghese, è in gran parte una verniciatura, un codice linguistico che però non ha sostrato tant’è che la maggioranza, ivi compresa quella dei potenti, ragiona ed agisce in modo assolutamente differente dal political correct il quale ultimo è divenuto uno strumento censorio utilizzato a mo’ di ricatto dalle sinistre che, forti della loro egemonia nel settore mediatico,  conservano grazie ad esso una parcella di potere maggiore di quella che spetterebbe loro.

Il Sistema ha di fatto un’unità ontologica; ma la sua coesione politica ed ideologica
è invece dettata dall’equilibrio delle divergenze interne e delle singole particolarità.
Allorquando questo equilibrio si rivela precario (la crisi del petrodollaro del 1973, il momento di riassestamento del 1980, le grandi trasformazioni internazionali ecc) agisce o reagisce monoliticamente ed in modo violentessimo contro qualsiasi deviazione potenziale.
Fuori dall’emergenza le cose si svolgono in tutt’altra maniera.

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Queste riflessioni ci sembrano utili all’acquisizione di una mentalità realistica e positiva che permetta di operare nella realtà invece di mantenere rispetto ad essa un rapporto dialettico astratto e virtuale come suole avvenire.