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 Il film, quantomeno nella sua versione originale, è eccellente. Potrà essere rovinato, in Italia, più che da eventuali e possibili tagli di censura, da toni sballati di doppiaggio. Il che è già avvenuto in passato, senza che ci si mettesse la malafede (si pensi a “Full Metal Jacket” che con i toni del doppiatore è sembrata una storia pietistica, quando nell’originale era l’esatto contrario). Se poi interviene la malizia…
Una malizia la cui presenza si può sospettare senza troppa difficoltà. Molte polemiche ha infatti suscitato questo film perché offrirebbe del Fuhrer un aspetto umano, cosa che mal si accomoda con i cliché rimasticati.  
Preoccupazioni, queste, da microcefali, non da veri avversari del nazionalsocialismo; ma i microcefali, si sa, oggi sovrabbondano.
In realtà il regista ha compiuto un lavoro non indifferente. Oliver Hirschbiegl si è basato sul lavoro di Joachim Fest e sulle memorie della dattilografa Melissa Mueller per fornirci un quadro oggettivo del Cancelliere; un quadro che, in effetti, si ritrova pure ne “La guerra di Hitler” di David Irving (edizioni Settimo Sigillo). Un sopravvissuto al Bunker ha commentato che le sole cose stonate sarebbero gli attacchi di collera di Hitler verso Goering ed Himmler, in quanto l’ira del Fuhrer sembra sia stata sempre molto contenuta, e l’eccesso di alcool presso i soldati.
Per il resto il capo di stato sarebbe reso perfettamente dall’attore Bruno Ganz. In particolare la sua determinazione e la sua gentilezza verso i collaboratori e verso il personale, risaltano.
Per evitare di passare per “nazista” soltanto per aver dipinto un quadro corretto secondo le documentazioni e le testimonianze, Hirschbiegl compensa il tutto caricaturando la figura di Goebbels.
Tuttavia l’importanza del film non sta tanto nell’aver fornito di Hitler un ritratto oggettivo, scevro da enfatizzazioni holliwoodiane – il che è di per sé un’impresa – quanto nell’aver tratteggiato un quadro realistico della Germania di quei giorni. Laddove, anche dopo la morte di Hitler, giovani e vecchi tedeschi continuano a combattere, senza alcuna prospettiva, senza obbedire alla capitolazione del comando. Colpisce particolarmente la determinazione con la quale più di un tedesco, soldato o diplomatico che sia, decide di togliersi la vita piuttosto che cedere alla vergogna della resa. Nel film questo viene espresso in modo secco, crudo, senza alcun contorno, risultando molto verosimile e particolarmente efficace.
Il silenzio nel quale vengono evacuate le sale dal pubblico dopo la proiezione del film indica quanto questa determinazione e questa scelta d’onore lascino il segno in tutti. Che si tratti di ammirazione, di stupore, di sgomento, si tratta sempre di un’emozione molto forte.
Smaltendo la quale si rischia di non soffermarsi sull’ultima immagine che è quella di una giovanissima Hitlerjugend, la stessa immortalata in fotografia mentre riceve un elogio e una carezza dal Fuhrer, che porta in salvo la dattilografa, slanciandosi così verso la Germania del domani.