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Mi è sembrato opportuno rilevare l’articolo del Belardinelli con qualche ritardo perché la congiuntura internazionale sta dimostrando proprio in questi giorni quanto egli abbia ragione: lo scontro politico avviene tra Londra e Washington da un lato e Parigi e Berlino dall’altro mentre Pechino e Mosca, per ragioni ben più complesse, mantengono un ruolo ambiguo o meglio ambivalente e Tokyo, fortunatamente, guarda dalla parte giusta, che è inutile sottolineare quale sia.

Siamo in guerra, come del resto aveva già avuto occasione di dire pubblicamente il Presidente Mitterrand. Siamo in guerra contro l’America, o meglio siamo obiettivo di guerra dell’America: dal Mediterraneo ai Balcani, all’Asia Centrale si gioca per intero la nostra sopravvivenza.

Questa considerazione può restare lettera morta e indurci a “tifare” per gli insuccessi yankees oppure può contribuire a farci fare una scelta di campo. Oggi come oggi la scelta di campo in Italia è tra due opzioni: essere schiavi degli americani, o meglio, degli inglesi (perché questo ci è riservato) o essere alleati minori dei francotedeschi e conquistare sul campo maggior considerazione e potere reale. Tertium non datur, o meglio non più.

Imbevuti di un’etica ecclesiale fatta di doppiezza, untuosità e arrangiamenti, ci siamo infatti lungamente sperticati ad essere servi di due padroni, e questo ha consentito il lungo equilibrio politico della Dc. In molti provano ancora a fare gli equilibristi, ci prova Berlusconi e pure D’Alema, ci prova Bertinotti e persino Romano Prodi il quale nasce di stretta obbedienza inglese ma sembra sempre più vicino all’influenza transalpina. Una chiara scelta di campo in senso positivo non si denota. Forse Bossi è il migliore della fauna ma, prigioniero delle ubbie di un elettorato talvolta eccessivamente ottuso, non riesce a pronunciarsi dovutamente sull’Iraq e il Medio Oriente.

È plausibile che il meno peggio, all’interno della nostra classe politica, si ritrovi in alcuni ambienti dei Popolari-Dc che orbitano intorno alle influenze tedesche.

Di fatto, comunque, non esiste un partito o uno schieramento che sia interamente ed incondizionatamente schierato da una singola parte. Nemmeno i sionisti intransigenti come Ferrara, che, a comprova della complessità del quadro generale, si è espresso più volte a favore del campo europeo. Dalla parte inglese c’è, schieratissimo, il blocco della Perfida Albione il quale non comprende interi partiti politici e men che meno alleanze governative ma uomini che, per storia, tradizione, cultura o magari tardiva appartenenza, sono anglofili, se non anglodipendenti.

Tra essi c’è quasi per intero la genia dei Presidenti (l’influenza inglese sul Quirinale risale ai tempi di Einaudi e ha avuto ben poche interruzioni) con Cossiga e Ciampi in prima linea. Ci sono ministri come Martino e Frattini. Fra i rappresentanti politici c’è poi Gianfranco Fini che non ha mai fatto mistero della sua anglofilia ma l’ha, anzi, dichiarata pubblicamente qualche anno fa a Londra, nel tempio laico della Chatham House, il luogo da lui scelto con un simbolismo forse non casuale, per rinnegare Benito Mussolini.

Se vogliamo contare le forze in campo ci rendiamo però conto che, more solito, il 99% dei nostri rappresentanti pubblici sta a guardare, con un piede in ogni staffa, pronto a scodinzolare verso qualsiasi vincitore e a tendere la mano per qualunque elemosina. Ci si continua ad illudere che l’assenza di spina dorsale e di dignità paghi. Viceversa la guerra è avviata e lo è da tempo sicché, giorno dopo giorno, gli spazi si restringono e le scelte s’impongono. È quindi ora di dare questa chiave di lettura (che è trasversale alle ideologie, ai partiti e agli schieramenti elettorali) all’intera politica italiana.

O si è con e per l’Italia, ovvero con e per l’alleanza francotedesca, ovvero contro l’Inghilterra oppure si è contro l’Italia, si è capò dell’invasore, si è garanti, volenti o nolenti, del crimine organizzato, del narcotraffico, del mercato di schiavi e della perdita della sovranità nazionale e del destino politico. E si è, pertanto, nel campo del terrorismo aereo angloamericano.

Tertium non datur. Non più