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Non tanto il Presidente degli Italiani, quanto il presidente partigiano – sottolinea l’articolista – si appropria della memoria storica, distorcendola. Quella che è stata una grandiosa pagina eroica della guerra contro gli Inglesi e contro le plutocrazie occidentali si è ridotta ad un sacrificio inutile, ma compiuto con coraggio, da soldati coscritti ed inviati con scarsezza di mezzi a fare la stupida guerra del dittatore contro la radiosa democrazia. Il glorioso episodio della difesa di Quota 33 viene così letto, chissà perché, come il prodromo di una guerra partigiana (!) e messo in linea con Cefalonia, con Porta S.Paolo (parlando della quale si fa bene attenzione a non ricordare che alcuni di quei resistenti avrebbero poi aderito alla R.S.I.) e addirittura con la Risiera di San Saba.

Prodigioso ! Orwelliano !

Possiamo aggiungere alla tesi del Siluro qualche elemento supplementare.

1. La distorsione storica oltre che totale è grottesca. Durante la celebrazione della consegna delle Medaglie, la Rai ha infatti ricostruito la battaglia… E così abbiamo scoperto che dalla parte inglese non c’erano Egiziani perché scarsamente interessati al conflitto. Ci è voluto l’intervento dello storico Petacco per ricordare che gli Egiziani non erano affatto scarsamente interessati ma parteggiavano apertamente per l’Italia; che mentre le donne ricamavano il tricolore, gli uomini, e specialmente gli ufficiali, complottavano in nostro favore: l’intera classe dirigente egiziana del dopoguerra, infatti, da Nasser a Sadat, sarebbe  poi stata composta da collaborazionisti attivi. Il che la dice lunga sul sentimento generale anti-inglese e filo-italiano (la politica filo-italiana dell’Egitto nel dopoguerra sarebbe del resto continuata calorosamente). Ma è proibito dire che la gente ci amava e che detestava invece i vincitori.

2. Si parla, a giusta ragione, dell’eroismo della Folgore ma si dimentica sempre di citare le altre divisioni quali la Ariete, né si fa alcun accenno ai giovani volontari di Bir El Gobi; senza contare che si è completamente dimenticata la difesa eroica e strenua di Giarabub. Questa disparità memoriale è dovuta anche al fatto che, seguendo i suoi aristocratici ufficiali, tra i quali proprio quel Caccia Dominioni testé decorato, alcuni reparti di quella divisione paracadutistica aderirono al Regno del Sud (furono cioè politicamente corretti) mentre altri al contrario scelsero la via della RSI creando una lacerazione interna. Tutti gli altri corpi impegnati nell’eroica difesa, invece, o proseguirono la guerra tra le schiere fasciste oppure, comunque, non si allinearono agli ottosettembrini. La loro memoria non è, pertanto, recuperabile.

A questi elementi vorrei aggiungere un paio di osservazioni che penso valgano la pena.

1. L’operazione orwelliana di acquisizione della storia dei vinti (per usare ancora un’espressione di Decio) nasce probabilmente ben prima della decorazione di El Alamein e soprattutto va ben oltre. Considerata l’ideologia, la tradizione storica, l’appartenenza umana e  la scelta di campo del Presidente Ciampi, il recupero valoriale del nazionalismo (interpretato come lo si voglia) benché sia spalmato di affermazioni europeistiche, ci dà l’impressione di essere perfettamente in linea con le suggestioni anti-europee mosse da diversi commissari politici americani, come il signor Luttwak, che si affannano ad esortarci a rompere con Parigi, Berlino e Mosca per salvaguardare la nostra identità e i nostri interessi (!) rafforzando il campo angloamericano. Il tricolore, dunque, quel tricolore così a lungo reietto ed insultato, potrebbe tornare a garrire al vento per scopi ben diversi dall’orgoglio nazionale.

2. Uno straordinario supporto all’operazione di svilimento della memoria valoriale italiana è indubbiamente fornito da quei Reduci della R.S.I. (ma fortunatamente non sono la maggioranza) che non hanno smesso di essere ossessionati dalla smania del riconoscimento. Consci d’aver subito torti, angherie ed insolenze, essi non demordono e vogliono che sia resa loro, con onestà, la dignità dovuta. Ma l’errore sta nel fatto che invertono i termini del problema perché, sia per etica, sia per la legge inesorabile della storia e del ricordo del popolo minuto, i ruoli si sono invertiti e, semmai, sta a loro il riconoscere la dignità, il valore e la lealtà di quelli che li incarnarono (e sicuramente ce ne furono) tra coloro che scelsero il campo dell’invasore angloamericano. La storia partigiana, malgrado le grancasse, i milioni di miliardi da sempre avuti a disposizione, il potere a lungo tenuto da chi fece parte del campo dei vincitori, infatti non resiste che per banalità e con le banalità; il campo nazionale invece, vilipeso, avversato, da sempre volontario e senza mezzi, guadagna ogni giorno di più punti nella considerazione di chi, giovane o meno giovane, guarda al passato. D’altra parte gli stessi eventi hanno deciso così. Come scrisse il poeta, non sono le buone cause a santificare le guerre ma è la buona guerra a santificare ogni causa. E, fermo restando che la causa era di per sé santa, nessuno può negare che i Combattenti della R.S.I. nel loro modo di combattere, di perire, di essere annullati nella carne e nella memoria, di essere perseguitati anche da morti, di non rinnegare mai né per salvare la pelle né per qualche lenticchia, l’avrebbero santificata anche qualora fosse stata davvero sbagliata come piacerebbe a coloro che ci hanno liberati ma che ancora non sono in grado di dirci seriamente da chi, da cosa e, soprattutto, con quali risultati.




La cerimonia di El Alamein è quindi una mistificazione ? È una trappola per gli allocchi, un episodio da censurare ? No, è sicuramente anche questo, ma non è soltanto questo.

Nella vita degli uomini le cose giuste avvengono e prendono forma anche a prescindere dal volere e dalle intenzioni di chi le ha prodotte per censurabili scopi.

Il valore dei nostri Leoni, non solo di quelli che continuarono a battersi contro la Perfida Albione ma anche di quelli che la storiografia ufficiale ha voluto privilegiare perché – a differenza di molti connazionali morti di stenti o miracolosamente sopravvissuti nei vergognosi campi di prigionia del Commonwelth – hanno poi preso le armi insieme ai loro nemici di allora, è stato infine premiato. E questo, quale che ne siano le cause reali e le conseguenze future, ha valore di per sé perché è un atto sacro.

Il riconoscimento del valore – comunque sia concesso – schiude poi altre porte per l’ulteriore riconoscimento del valore e per l’affiorare di domande pure ed ingenue da parte di giovani puri ed ingenui che ancora e sempre amano e rispettano il coraggio.

E tutto ciò grazie alla memoria dei vinti rinforzata proprio dall’essere stata a lungo stravolta, infangata e repressa. Grazie, dunque, alla cattiveria, alla prepotenza, alla viltà dei vincitori per delega e alla caparbietà di chi fu vinto combattendo per l’onore.

Oltre i disegni, dunque, la cerimonia di El Alamein ci pare buona e giusta.

E che l’essenza delle cose alla lunga prevalga sui disegni degli architetti ce lo possono attestare due episodi emblematici che abbiamo vissuto quella domenica in diretta dagli schermi.

Il primo è stato una scossa antropologica vera e propria. Una ragazzina presente in studio, che il conduttore aveva esortato a porre una domanda ad un reduce, ovviamente fedele a quella litania sulla guerra sulla quale è stata da sempre allevata gli ha chiesto “qual è la cosa più brutta (sic !) che ricorda di quella battaglia ?” Secondo gli abituali clichets ci si attendeva che il veterano ci parlasse di sangue, di corpi straziati, di carne mutilata, di fame, di caldo, di terrore, di ansia, di debolezza. Invece, con la massima naturalezza, con una naturalezza disarmante nella sua semplicità e, soprattutto, senza alcuna altezzosità, ha risposto “la resa”.

Questo semplice duetto può apparire banale ma, a mio avviso, il suo svolgersi rappresenta una chiave, esso esprime un’apertura verso la normalità, verso l’essenza, verso la naturalezza, verso la dissoluzione immancabile del politicamente-filosoficamente-etologicamente e soprattutto banalmente corretto. Ed attesta la vittoria assoluta, senza tempo, e al di là del tempo di chi è davvero forte e, pertanto, immortale.