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Questi sono dati di fatto e sono sicuramente positivi.

Un altro tentativo di pace giunge invece dall’Arabia Saudita e dalla Libia che richiedono a Saddam di partire in esilio e di lasciar cambiare il sistema. Questo sicuramente servirebbe ad evitare la guerra ma non a sventare i disegni americani di strangolamento energetico di Francia e Germania e d’isolamento della Russia. Inoltre una mossa del genere rappresenterebbe un precedente inquietante: un Regime politico costretto ad abdicare da pressioni esterne allorquando il suo Presidente è stato eletto a suffragio universale, significherebbe la scomparsa di ogni forma democratica e consentirebbe qualsiasi prepotenza in futuro contro chicchessia.

Si potrà obiettare che la regolarità delle elezioni in un sistema totalitario lascia di solito a desiderare; vero, falso o eccessivo che sia, va però rammentato che non è di certo Gorge Bush, la cui elezione è stata a lungo contestata e di cui non si è mai saputo davvero se abbia ottenuto la maggioranza necessaria, che può parlare. Insomma il bue che dice cornuto all’asino…

Tutto il quadro, a parte la soddisfazione di vedersi delineare quell’asse Parigi-Berlino-Mosca dal quale dipende il nostro futuro, non presenta però vie d’uscita.

L’unica la potrebbe trovare Saddam. Se egli richiedesse che una forza armata multinazionale a composizione europea ed araba entrasse in Iraq accompagnando e documentando ulteriori approfondite ispezioni dell’Onu, per Blair e Bush l’attacco su cui tanto contano i loro finanziatori diverrebbe davvero difficile.