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Che Abù Abbas sia stato, in ogni caso, vittima di un’ingiustizia è cosa assai evidente, benché non molto risaputa.

Nell’ottobre del 1985 un commando suicida palestinese si era imbarcato sull’Achille Lauro con lo scopo di raggiungere la Palestina clandestinamente. Per fatalità i guerriglieri viaggiavano con false identità portoghesi e s’imbatterono proprio in un equipaggio lusitano trovandosi così costretti a sequestrare la nave per non essere catturati.

Il sequestro attirò le attenzioni internazionali ed ebbe momenti di drammaticità assoluta tra i quali spicca l’uccisione di un anziano handicappato americano di religione israelita, Klinghoffer.

Il ruolo di Abù Abbas inizia dopo quest’omicidio: il dirigente dell’ FLP interviene come mediatore per convincere i sequestratori a consegnarsi in Tunisia, in Egitto e, infine, in Italia.

È qui, nella base Nato di Sigonella, che i sequestratori, accompagnati da Abbas, si consegnano alle autorità italiane il 12 di ottobre.

Su ordine del Pentagono i Marines pretendono però, armi alla mano, la consegna di tutti i palestinesi, ivi compreso Abù Abbas che, rammentiamolo, è solo il garante diplomatico della trattativa.

Bettino Craxi, dando un esempio raro di dignità e di fermezza, non cede: così i carabinieri spianano a loro volta le armi sui Marines (che si stanno comportando da invasori del nostro territorio) e prendono in consegna i sequestratori che saranno poi processati, condannati e reclusi in Italia.

Abù Abbas, in possesso di un regolare lasciapassare parte alla volta della Jugoslavia da cui, poi, raggiungerà il Medio Oriente.

Gli americani che non digeriscono lo smacco spiccano un mandato di cattura del tutto infondato e pretestuoso nei confronti di Abù Abbas indicandolo, contro ogni evidenza, come complice dell’uccisione di Klinghoffer. E lo condannano a morte in contumacia, ragion per cui, se non fosse deceduto così opportunamente, avrebbe dovuto essere consegnato loro dagli iracheni creando un imbarazzante precedente internazionale.

Craxi più tardi avrebbe pagato il suo gesto (la dignità costa cara) tramite le persecuzioni giudiziarie che tutti conosciamo che, se pur parzialmente fondate, sono state rivolte ad personam nel segno dell’ipocrisia e della mistificazione propagandistica che sono a fondamento delle oligarchie dominanti da qualche decennio in qua.

Ricordare non fa mai male, soprattutto in concomitanza con tragiche ingiustizie come quella avvenuta nelle carceri del nuovo Iraq.