Non avevamo troppo tempo da dedicare a ciò che avveniva lontano da noi perché tutti, all'estrema destra come all'estrema sinistra, agivamo nel quotidiano ed avevamo impellenze alle quali rispondere con assoluta puntualità.
L'utopia internazionalista
Alcuni gruppi chiusi, quasi tutti di estrazione universitaria, forse perché non avendo un'articolazione territoriale vasta disponevano di parecchio tempo, si misero, all'estrema sinistra ma soprattutto all'estrema destra, a dipingere quadri internazionali possibili e futuribili. Da quei quadri nacquero idee-forza e prospettive mitiche che si fondavano sul presupposto che l'esigenza di liberarsi dall'imperialismo e la spinta rivoluzionaria, fuse insieme, avrebbero prodotto una nuova fase storica promettente e luminosa. Era un'utopia; nulla nasce senza un'avanguardia che abbia dalla sua non solo l'ideale ma la potenza. L'Urss e la Cina erano scadenti in quanto alla concretezza del loro ideale (benché avessero una larghissima massa di consensi) e i veri non allineati, come l'Egitto, non avevano alcuna potenza.
Fu così che qualche anno dopo Terza Posizione giunse alla conclusione che il fronte dei popoli in lotta non avrebbe avuto alcuna fortuna se nel frattempo l'Europa non fosse assurta al ruolo di potenza. Rispetto all'estrema destra degli anni Cinquanta e Sessanta, TP non si limitava a sognare l'Europa e a differenza dei sessantottardi non si crogiolava nel sogno internazionale anti/imperialista. Ravvedeva invece una necessità importante da soddisfare, denunciava una mancanza che persiste tuttora.
Fuga all'estero
Da quando iniziai a fare politica ai tempi di Terza Posizione erano trascorsi poco meno di dieci anni; da poco la "cultura" politica della destra estrema si era modificata e si fondava principalmente sulla politica estera. Da parte almirantiana si prospettava un radioso futuro sulla scia delle dittature militari anatoliche o andine; da quella mlitante si faceva leva sulle lotte antisovietiche e antiamericane. Il massimo della discrepanza si ebbe dopo il golpe argentino allorquando la destra dell'estrema destra prese posizione a favore dei generali che stavano mietendo Desaparecidos mentre il movimento si schierò con il peronismo "di sinistra" al punto che noi di TP instaurammo rapporti diretti con i Montoneros.
Se questa divisione netta fu significativa e assai qualificativa non dobbiamo dimenticare però che avvenne ai margini della realtà. Se si parlava tanto di politica estera era perché, disfatti dalla politica devastante pessimamente praticata dalle dirigenze neofasciste, incalzati da quella cinica scientificamente condotta dalle sinistre comuniste e soprattutto oggetto delle emarginazioni imposteci dall'intero apparato di sistema, ci ritrovavamo tutti, base missina inclusa, emarginati dalla concretezza della lotta quotidiana.
A quella concretezza tornammo, con notevole sforzo e non senza superare alcune contraddizioni preconcette, proprio noi di Tp; ma fu un attimo prima della tempesta.
Il cosiddetto fronte antagonista
Successivi anni di emarginazione fecero sì che il quadro internazionale venisse ripreso e accomodato, o forse sarebbe meglio dire imbalsamato, da nuovi conati ideologici che hanno finito con il dipingere un immaginario "fronte antagonista". Questo fronte antagonista, nella fantasia dei suoi ideatori, unirebbe fra loro tutti i paesi che resisterebbero alla globalizzazione e/o alla modernità, in evidente conflitto con gli Stati Uniti.
Benché in diversi ci abbiano creduto e taluni ancora s'illudano, si trattava esclusivamente di un parto della fantasia. La storia non ha mai visto sorgere fronti antagonisti se non nel bel mezzo di guerre epocali che coinvolgano l'intero ambiente conosciuto (Roma e Cartagine o la Seconda guerra mondiale non cambia). All'interno di quegli stessi fronti antagonisti che si delineano in questi casi eccezionali si svolgono, comunque, importanti guerre intestine che sono combattute contro l'alleato al medesimo tempo in cui ci si batte contro il nemico.
In una recente conferenza presso "Inqieto Novecento" Giorgio Vitali ha rilevato magistralmente come gli Usa nell'ultimo conflitto, abbiano combattuto contro la Gran Bretagna non meno accanitamente che contro la Germania e il Giappone.
Nel Mediterraneo un analogo conflitto divise la Francia di Vichy dall'Italia mussoliniana.
Figurarsi cosa può accadere in una situazione di pace apparente, quale l'odierna.
Così fan tutti
Così c'è chi si è stupito, chi non ha voluto vedere, chi ha girato la faccia altrove quando si è scoperto, ad esempio, che l'Iran partecipa alla guerra in Iraq, alla polizia segreta del nuovo regime, al massacro e alla tortura di innumerevoli guerriglieri iracheni. Per chi si sia immaginata la presenza di un "fronte antagonista" la scelta iraniana è difficilmente giustificabile, sa di tradimento. Ma il fatto è che l'Iran non si è mai sognato di costituire un fronte antagonista insieme all'Iraq e persegue semplicemente la propria politica che è spiccatamente anti-irachena e neppur troppo filo-araba.
E che dire della Cina che oscilla fra la complicità e l'ostilità nei confronti degli Stati Uniti? E della stessa Russia che, pure sotto attacco oggettivo e costante, stipula accordi internazionali significativi con gli Usa e ha una politica altalenante con Israele? O della Francia che ha partecipato in modo attivissimo alla prima invasione dell'Iraq e al suo disarmo nel 1991 e undici anni dopo l'ha condannata? In ambo i casi ha perseguito i suoi particolari interessi. Così fan tutti, che siano paesi autocratici, comunisti, oligarchici, teocratici o liberali.
La politica è al tempo stesso l'arte del possibile e la scienza del reale; è per questo che della realtà nuda e cruda bisogna prendere atto ed essere consapevoli. Altrimenti è molto meglio rinunciare a fare politica e, soprattutto, a teorizzare e commentare in modo irreale la politica altrui.
È dura
Questo passaggio costa parecchio, in termini di certezze imbalsamate e di illusioni quotidiane. Smarriti nel quadro post/sociale e nella presa politica praticamente inesistente di oggi, infatti, in molti dalle nostre parti hanno delegato la speranza "rivoluzionaria" a un deus ex machina che viene da fuori; meglio se esotico perché meno noto e più difficilmente scrutabile.
Ammettere che tutto è da rifare e che - tanto per dirne una - Berlusconi vale Chirac, Putin o Ahmadinejad, è francamente dura; presuppone il passaggio dallo stadio della tifoseria a quello dell'analisi e dell'intervento. Ovvero della responsabilizzazione.
A complicare le cose - benché l'impressione che se ne ricava a prima vista sia opposta - è intervenuto il boom di nicchia della geopolitica. Alcune leggi geopolitiche infatti ci assicurano che una potenza di terra che abbraccerebbe Europa ed Asia sia destinata a ricomporsi e ad imporsi successivamente sulla scena.
Già ma...
Un gioco molto cinico
Innanzitutto la geopolitica non detta altro che direttive, di certo non infonde la volontà laddove essa manchi. Inoltre non garantisce né che quella potenza di terra sia sull'impronta culturale dell'Europa, né che il sistema sociopolitico chiamato a caratterizzarla sia obbligatoriamente migliore - e neppur necessariamente diverso - da quello americano. Si può sperare, si può ipotizzare ma non si può dare per scontato.
Inoltre la nascita di questo soggetto geopolitico non passa obbligatoriamente per un suo rapporto antagonistico iniziale con la Potenza d'acqua (gli Usa); del resto non lo fu, realmente antagonistico, il rapporto quando il soggetto-terra esisteva, ovvero ai tempi della finta guerra fredda. Il che vuol dire che se anche l'assenza del soggetto terrestre fosse colmata, e lo fosse da un soggetto situato fra Europa e Asia, non è affatto improbabile che per parecchi anni la sua politica risulterebbe scandalosa a quegli stessi che l'annunciano oggi urbi et orbi attendendolo come una panacea.
Infine, se davvero si vuole concentrare il proprio interesse sulle partite geopolitiche, va letto e riletto Brzezinski e va poi compreso come gli attori di questo plurale gioco a scacchi siano diversi tra loro eppur intersecati. Come in un caso si trovino ad essere oggettivamente alleati di un abituale rivale e un istante dopo il tutto si capovolga.
Bisogna partire insomma dall'assunto che il cinismo è uno dei valori predominanti in questo genere di gioco; il che non significa che dobbiamo divenire a nostra volta cinici ma quantomeno che non dobbiamo fare carico ad altri di principi e valori che non corrispondono al loro universo mentale.
Solo così si può interagire con chi non rappresenta quel sistema ideale per il quale ognuno di noi in fondo vorrebbe battersi.
Diamo a tutto ciò l'importanza dovuta
Con ciò concluderei invitando a ridurre il tempo e le energie rivolte all'estero, esortando a ridimensionare i soggetti internazionali che si pretende d'incensare e, soprattutto, a non perdersi in logoranti dispute astratte riguardo le ipotesi dei confini futuri di una "nostra" potenza che non c'è e che non si sa se nascerà mai.
Intendiamoci: alcune linee portanti della geopolitica c'invitano a scegliere comunque una strada e un alleato preferenziale. La strada è l'Europa a direzione asiatica e africana, l'alleato preferenziale è la Russia e la dinamica potenziale più probabile è quella eurosiberiana (l'eurasiatica, qualunque cosa si pensi in merito, al momento a me pare utopica). Ma tutto questo non è sufficiente e men che meno primario.
Non è sufficiente perchè la geopolitica che si pretende materia "oggettiva", se vista scientificamente come dovrebbe appunto essere il caso, induce al cinismo delle scelte obbligate; ma ci sono situazioni nel mondo di feroce ingiustizia determinata dalle multinazionali o dalla follia genocida e tutto questo non può di certo essere dimenticato in nome degli interessi di un ipoetico blocco nascente. In più di un caso ci troveremmo, e ci troveremo dunque, opposti al nostro stesso "destino futuro". Non è poi sufficiente questa vocazione geopolitica perchè l'assetto sociale e l'espressione politica e culturale del blocco che potrebbe nascere dipendono dall'azione che viene svolta quotidianamente ben prima che detto blocco si formi: ed è proprio quell'azione che importa qui ed ora. Se così non fosse, se il contenuto fosse davvero isignificante rispetto al contenitore, dovremmo dedurre che negli anni Cinquanta avremmo dovuto essere filosovietici e comunisti; il che può anche risultare oggi un'affermazione originale e di piccante salsa salottiera ma, riposta nel suo giusto contesto, non è affatto accettabile.
Perciò non mi sembra di primaria importanza definire il nostro "destino geopolitico" perchè è molto più essenziale qualificare appunto - nei fatti - il modello di società e di civiltà che dovrà caratterizzarlo quel blocco che (forse) nascerà. A tale scopo bisogna realizzare, ora e non domani, seriamente due cose: agire socialmente e qualificare le elite.
Parafrasando Plotino
Delineare quel soggetto futuribile che andiamo sognando, non può del resto risultare oggi né primario né sufficiente perchè tra gli attori geopolitici che si muovono, manca ancora l'Italia e in fondo è quasi assente la stessa Europa. Si tratta di un baratro notevole che non solo non va ignorato ma va colmato assolutamente se non vogliamo apprestarci a divenire gli schiavi di un sistema magari anche diverso da quello attuale. Dobbiamo scrollarci di dosso questo avvenire passivo che ci appare come obbligato e che tale resterà fino a quando noi saremo rinunciatari e moralmente vinti.
Parafrasando, con qualche libertà, Plotino, rammentiamo che non c'è nessuno che prenda le armi al posto di chi rinuncia a combattere. O, quando lo fa, costui ne diventa il padrone.
Smettiamola allora sia di puntare sulla generosità delle stelle sia d'investire sugli altri. Come ammoniva il Manzoni quando invitando i suoi contemporanei al "Risorgimento" rammentava loro la sorte degli italici che avevano sperato nei Franchi per cacciare i Longobardi: "l'uno con l'altro sul collo vi sta".
In altre parole: conta su di te innanzitutto.