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 La novità politica di rilievo, insomma, sta nell’evaporazione politica dell’estrema destra  che perde quasi del tutto il suo potere contrattuale.
Quest’evaporazione non corrisponde ad una bocciatura elettorale in quanto non solo, come avevamo rimarcato la settimana scorsa, le liste nazionaliste hanno raccolto più voti rispetto alle europee del ’99, ma al secondo turno delle Cantonali con il 10,4 % hanno addirittura guadagnato voti rispetto a sette anni orsono quando la crisi interna era ben lungi dal verificarsi.
Confermata Orange al primo turno, con il 60% dei suffragi, l’estrema destra una settimana dopo si ripete agevolmente a Marignane e, a sorpresa, riesce a mantenere Vitrolles, dicendo addio solo alla troppo compromessa Tolone. Il voto di protesta si è dunque tramutato in voto di adesione.
Insomma la prova elettorale è ben lungi dal mostrarsi un fallimento, ma altrettanto non puo’ dirsi della gestione politica. La divisione tra Le Pen ed i suoi colonnelli ha penalizzato entrambe le liste producendo tre effetti certi.
Innanzitutto l’incapacità di ambo le liste di presentarsi in molti collegi municipali ha ridotto al lumicino le possibilità di incidenza emarginando di fatto una formazione che per quasi quindici anni era stata ago della bilancia della politica francese. Il primo risultato di questa perdita di impatto sta nella mancata elezione di Grandi Elettori in numero sufficiente (perché si possa presentare un candidato alle elezioni presidenziali questi deve essere sostenuto da cinquecento tra sindaci, consiglieri regionali e consiglieri generali), il che vuol dire che né Mégret né Le Pen saranno candidati nel 2002 a meno a che non ricevano le firme in regalo dalla sinistra.
La terza conseguenza nefasta sta nella perdita di capacità d’espansione ; se è infatti vero che le due liste si sono assestate sullo score acquisito in passato, evitando cosi’ di scomparire, va comunque ricordato che al momento della grave e vergognosa crisi intestina le intenzioni di voto più pessimiste accreditavano al Front National il 18 %, il che significa che, in ogni caso, la dinamica è stata interrotta e che l’estrema destra vegeta.
Cosa che ci risulta ancor più chiara se analizziamo il voto : le due liste raggiungono picchi (tra il 25 ed il 40%) laddove presentano dei candidati dinamici e populisti, mentre si abbassano fino a scomparire in molti collegi.
Negli ultimi due anni il Front National, insieme alla sua coesione interna, ha perso due elementi fondamentali :
la forza su cui fare sponda politica (per due settennati Le Pen e Mitterrand si sono utilizzati vicendevolmente per il bene della Francia e dell’Europa) sia la capacità di sintesi che era fornita dal suo capo indiscusso, sicuramente più presente allora sulla scena di quanto lo sia adesso.
La destra francese è da sempre la risultante di una sintesi incompiuta della quale sono emblematici gli anni della Collaborazione sicché, da sempre, ha bisogno di darsi un simulacro di unità dietro un capo e di improvvisare la sua azione politica a traino di un motore esterno.
Le Pen è stato a lungo un po’ il Doriot ed un po’ il Pétain di fine secolo, permettendo un assemblamento non solo di nostalgici, di revanscisti, di integristi (cattolici o neo-pagani), ma anche di nazionalrivoluzinari, di populisti, di persone dinamiche ed intelligenti. L’implosione ha allontanato di fatto le parti sane dell’elettorato e dei quadri dirigenti ed intellettuali. Sia il Front National che l’MNR sono due cittadelle-bunker occupate da personaggi dall’ideologia cristallizzata, sociologicamente emarginati. Con l’eccezione di Le Pen, il quale pero’ si occupa solo in parte di seguire i suoi quadri, le dirigenze di ambo i partiti sembrano imbalsamate.
Tant’è che chi opera con onestà, capacità e pragmatismo ottiene grossi risultati e porta acqua al mulino del proprio partito ma lo fa da battitore libero trovandosi nell’impossibilità di lavorare in équipe.
Perché il capitale di adesioni possa essere investito occorrerebbe una trasformazione delle oligarchie decisionali, uno svecchiamento che riporti druidi e vandeani nella galleria storica e che riproponga una sintesi dinamica, etica e sociale al contempo, recuperando le intelligenze in libera uscita ed il voto della gente normale.
Ma neppure questo sarebbe sufficiente. Rispetto alla grande avanzata del Front National il quadro è cambiato : l’attuale scenario non puo’ prescindere dalla realtà franco-tredesca intesa come locomotiva europea, una realtà creatasi nello spirito di Locarno, seguendo la linea che fu di Laval, di Déat e dell’Ambasciata Tedesca e che è stata lungamente benedetta da Ernst Jünger fino alla sua morte recente.
Questa linea, forse nelle sue varianti migliori (Benoist-Méchin, Drieu La Rochelle) è stata proposta in passato nel mondo francofono dalla Jeune Europe di Thiriart e dalla Trosième Voie di Mallarakis.
E’ necessario recuperarla se si vuole in qualche modo ridare slancio ad una protesta social-popolare che viene mal interpretata, tradita e soprattutto neutralizzata dalla reazione misticheggiante dei baciapile.
Il fatto che questi ultimi occupino posti chiave nei due partiti è un sintomo inequivocabile del livello di decomposizione raggiunto dall’ex-Front National, ed è un sintomo inconfondibile che si ripete ogniqualvolta un fenomeno dirompente perde di forza vitale.
In attesa della sintesi e dell’ispirazione che permettano il recupero di questa forza vitale dobbiamo registrare quello che veramente accade : un fallimento gestionale in presenza di un potenziale manifesto e sperperato.
La rivolta dei colonnelli si è percio’ rivelata un mastodontico suicidio politico, perché nessuno è parso all’altezza di Le Pen, né trai personaggi rimasti con lui né tra coloro che si gli si sono schierati contro.