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Proprio su queste colonne abbiamo avuto modo di confutare tutta una serie di pregiudizi che riguardano il Front National e che tendono a rappresentarcelo come una sorta di partito reaganiano un po’ più estremistico.
In realtà il partito di Le Pen è schierato su tutt’altre posizioni. In difesa della cultura e dell’identità, europea e francese, esso si batte innanzitutto contro le ingerenze americane e mondialiste. L’indice è rivolto contro l’oligarchia e la burocrazia, i banchieri ed il liberismo. Il programma del Front National si incentra contro il libero-scambio e contro le speculazioni finanziarie, a favore di un protezionismo francese ed europeo.
Ed è proprio perché il partito di Pim Fortuyn è liberista, americanista e filo-sionista, che il Front National ha deciso di non intrattenervi rapporti: per inconciliabilità programmatica.
Possiamo convenire con di Valsassina che nel programma lepenista è assente il richiamo alla socializzazione. Benché si sia noi personalmente convinti che proprio nell’attualizzazione del corporativismo e della socializzazione (in quanto proprietà sociale di lavoro + capitale) risieda la fuoriuscita dal disastro capitalista, ci sembra pretestuoso ed ingeneroso condannare Le Pen per non essersi inoltrato in questa direzione che, ci sembra, non abbia ancora imboccato nessun partito dai risultati elettorali superiori a cifre da prefisso telefonico.
Ma se tale tematica non è appannaggio di alcun partito politico consistente, essa è stata ripresa, scimmiottata e stravolta da diverse aziende americane ed anche svizzere il cui spirito è, ovviamente, opposto a quello del fascismo pavoliniano. Dal che si evinca che non è tanto nel programma che va ricercata la discriminante quanto nella direzione intrapresa e nello spirito con cui ci si batte.
Anche quell’ economicamente di destra che Le Pen sostiene, collegandolo però al socialmente di sinistra, va capito ed inquadrato nel giusto significato.
Per esso si intende la salvaguardia delle piccole aziende, degli imprenditori e dei produttori soffocati da una morsa fiscale che sicuramente non esisteva nel Ventennio o nella RSI.
Libertà dalla burocrazia e dalla dittatura dei funzionari (in cui, lungi da ingerenze vaticaniste, rientra la questione scolastica francese che è assai peculiare e che dovrebbe essere conosciuta da vicino) ovvero dal comunismo liberista, formula più volte utilizzata da Le Pen. Si tratta, insomma, della difesa dei produttori dagli speculatori: e non dimentichiamo che il Fascio del 19 era appunto denominato “dei combattenti e dei produttori”.
Socialmente di sinistra: contro le oligarchie ed i potentati. E non è certo casuale se Le Pen è riuscito a fare l’unanimità, contro la sua persona, di tutte le potenze oligarchiche: B’nai Brith, Massoneria, Clero cattolico, Chiesa luterana, Confindustria.
Rispetto, ed in buona parte condivido, le vocazioni pavoliniane e bertoricciane tuttavia non vorrei che di esse affascinasse soltanto l’aspetto anticonformistico e ribellistico e non, piuttosto, la capacità di coniugare il pungolo innovativo con la mistica del dovere e della disciplina in una visione d’insieme realistica e costruttiva. Di Pavolini, più che i programmi si apprezza il genio del rivoluzionario che risponde agli imperativi urgenti e che non confonde le priorità politiche con quelle ideologiche, ché, altrimenti mai sarebbe stato Segretario del PFR ma si sarebbe schierato in minoranza. E, ovviamente, il miliziano stoico.
Spesso e volentieri il richiamo al fascismo di sinistra o alla sinistra nazionale è purtroppo dimentico dell’insegnamento storico e morale dei suoi epigoni e viene espresso, nel tardo postneofascismo, da chi abbia maturato un complesso di inferiorità nei confronti delle sinistre marxiane o da chi, più semplicemente, ama polemizzare per frantumare e per non fare assolutamente nulla.
Il che non sarà di certo il caso di di Valsassina ma è fenomeno assai frequente e diffuso che non sarebbe brutta cosa l’evitare di incoraggiare.
Ragioniamo, dunque, in modo costruttivo, realistico e legato all’attualità.
Concordiamo perciò appieno con la nota della redazione di Rinascita che, in sostanza, dice “Le Pen prendiamolo per quello che è, comunque smuove le acque e si batte contro tutti i nostri nemici” ma ci permettiamo di andare oltre.
Esiste una discriminante reale (e non teorica) tra la reazione liberista ed i fenomeni socialnazionali. Questa discriminante è data dall’accettazione o dal rifiuto della logica huntingtoniana, che è logica di razzismo sociale (gli arabi non vanno bene perché sono straccioni ma gli israeliani si perché sono borghesi). Questa logica, di cui sono immediatamente cadute prigioniere tutte le formazioni nazionaliste del nord protestante, molte delle quali, del resto, direttamente originate dalla destre conservatrici, è quella che tende a paralizzare e a neutralizzare un fenomeno che nasce come sociale, nazionalista ed europeista (ovviamente non maastrichtiano) e a farne milizia di complemento per l’imperialismo americano e per la sopraffazione sionista.
È nei confronti di questa macchinazione teleguidata da Washington e da Tel Aviv (e che oggi procede, in Italia, sulle colonne di Libero, spesso a firma di vecchie conoscenze senza pudore) che siamo e saremo sempre più incessantemente chiamati a fare resistenza.
Le Pen con le sue scelte, con il suo operato, con la sua condotta, con la sua intransigenza, è stato fino ad oggi un uomo chiave che ha impedito lo slittamento in questo baratro, rimettendoci di persona, come carriera, emolumenti, peso specifico ed onori.
Nel che si è dimostrato probabilmente l’unico capo di un partito politico estremistico importante degli ultimi trent’anni a non essere un cialtrone.
Il ruolo svolto da Le Pen ha, dunque, un valore strategico, oltre che etico, di primo piano.
Attaccare il Front National, senza una vera e propria cognizione di causa e per partito preso, com’è abitudine inveterata, è dunque un errore oltre che un’ingiustizia. I burattinai che ci insegnano a pensare, utilizzando molto bene i nostri scontati riflessi (quanto facciamo tenerezza !), vorrebbero creare una dicotomia. Per loro i pragmatici, realisti e concreti devono diventare atlantisti, capitalisti e filo-israeliani, gli idealisti invece, rigorosamente sterili, marginali ed impotenti, debbono rappresentarne l’opposizione, rinunciando, per l’ennesima volta ad avere voce in capitolo in un fenomeno sociopolitico che li riguarda. Come ai tempi di Almirante.
Le Pen non ha accettato di giocare questo gioco: vediamo di rifiutare anche noi la parte che ci hanno assegnata.