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Il rigetto della Costituzione dell'Unione Europea non è avvenuto per nessuna delle ragioni pretese da questi due schieramenti passatisti ma per il rifiuto, da parte dei cittadini dei paesi economicamente più sviluppati, a metter mano al portafoglio per sovvenzionare gli altri.
Tra i primi, solo la Germania non ha votato No, ma solo perché il popolo non è stato chiamato alle urne. Con quant’entusiasmo la Costituzione sia stata accettata in Spagna e come non sia messa in discussione in Irlanda, in Portogallo, in Grecia o nei paesi centrorientali recentemente entrati nell’Unione, conferma come la scelta sia stata contabile e nient’affatto ideologica.
Certo: il No, fra due opzioni deludenti, era la meno peggio, a patto che questo permetta in futuro, proprio ai paesi-locomitiva (quelli del polo carolingio), d’imporre un’Europa a due velocità che è l’unica possibilità di non finire insabbiati nell’arenile del servilismo americano. E purché serva a mettere davvero in discussione l’ingresso della Turchia nella UE: ma ambo le condizioni sono tutt’altro che assicurate.
Ciò premesso, soffermiamoci sulle affermazioni trionfalistiche – e mistificatorie – delle due estreme. Quelle della sinistra, per pretestuose e demagogiche che siano, sono globalmente più accettabili di quelle opposte in quanto, se non altro, sono più dinamiche e promettenti.
Gran parte dell’ultra destra, invece, favoleggiando di quadrati difensivi delle micronazionalità e d’irrigidimenti confessionali contro il laicismo, sta mostrandosi reazionaria come mai lo era stata negli ultimi novant’anni.
Sia chiaro, provo il massimo rispetto per coloro che per cultura familiare o per forma mentis sono fedeli a modelli non più attuali e proponibili, a patto che comunque cerchino di rinnovarli (è il caso, ad esempio, dell’ Action Française). Tuttavia, avere una vocazione europea o articolare una fobia antieuropea per me segna un vero e proprio spartiacque.
Che non è necessariamente totale; non esclude, cioè, convergenze tattiche, momentanee e persino, in una logica a fascio,  alleanze strategiche. Ma contrassegna una differenza di sentimento, di passione, di mito, di tradizione e  di prospettiva. Insomma di appartenenza.
Così come a sinistra c'è differenza fra la pretesa (antimarxista in sé) di essere noglobal e quella assolutamente marxista di definirsi alterglobal, chi proviene da culture storiche, ideali, passionali, di stampo radicale non può essere antieuropeista ma dovrebbe, semmai, definirsi alter/europeista.
Che l’Europa delle banche, serva del WTO, ostaggio dei tecnocrati e paralizzata dal “politicamente corretto”, non sia la nostra Europa, è cosa certa. Che questo comporti l’involuzione, prettamente reazionar/sovversiva, del rifugio nell’antieuropeismo, è ben altra storia.
Sin dalle trincee della Grande Guerra il nazionalismo, posto a confronto con l’internazionalismo, ha prodotto un sogno e vivificato un mito che affondano le radici in Roma, in Carlo Magno e in Napoleone. Tale sogno si è fatto strada unificando in una fratellanza d’armi e di sentimenti le forze più vive delle grandi e delle piccole patrie. Il crogiolo di questo miracolo fu l’organizzazione giovanile tedesca a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta; il lievito furono i centri di pensiero francesi, italiani e mitteleuropei.
Il grande evento fu la Guerra sul Fronte dell’Est, con le sue numerose e nutrite divisioni di volontari di ogni lingua e paese, uomini che fiorirono con il proprio sangue le lande del nostro intero continente e i cui pochi Reduci, tutt’ora, rappresentano probabilmente l’unica avanguardia politica, morale, sentimentale, presente e tangibile. Contemporaneamente, durante la Vera Repubblica, Benito Mussolini e Alessandro Pavolini delineavano un progetto avvincente per l’Europa delle patrie.
Nel dopoguerra, nel grigio e sordo mezzo secolo di servitù politica, militare, morale, sociale, economica, le poche avanguardie che si formarono espressero progetti europei, fondati sul mito ma molto attenti alla realtà.
Filippo Anfuso, Adriano Romualdi, Jean Thiriart, tutti insieme ci parlarono di Nuova Europa ed anticiparono di gran lunga i tempi dell’implosione – allora impensabile – del comunismo.
Che ne abbiamo fatto di quell’eredità ? Che ne è del  famoso talento che ci fu consegnato ?
Sperperato; ignobilmente sperperato !
Se oggi mi si venisse a contestare qualunque progetto d’Europa per la sua vecchiezza o per il suo imborghesimento, come fece a suo tempo, oltre trent’anni fa, Giorgio Freda, lo potrei accettare. Potrei essere tentato da un nichilismo attivo, da uno spirito di genere Ronin, da una fascinazione da anarca. Ma non è il caso più gettonato dell’antieuropeismo della destra radicale, purtroppo.
Se mi si vengono a esaltare invece i micronazionalismi, pronunciandosi così di fatto in difesa dello status quo, ovvero del colonialismo, tra l’altro multirazziale, multiculturale, antisociale, che ci ha imposto l’America. Se mi si viene ancora una volta, dopo quasi un secolo di Rivoluzione ardita, comunitaria e guerriera, a proporre un simulacro caricaturale di ancien régime, ovvero di subordinazione alle gonnelle delle mamme mediterranee, dei prelati e di tutto quanto tarpa le ali e uccide i sogni. Se mi si viene, con riflesso reazionario e sterile, a negare tutto quanto è stato creato dagli uomini che ci precedettero e che morirono per noi. Se mi si viene a riproporre la frigida ideologia di destra incoraggiando l’operazione serpeggiante di s-fascistizzazione. Ebbene, a tutto questo io mi ribello.
Lo so: viviamo in epoca di confusione ideologica, di presunzione, d’individualismo e di relativismo, ragion per cui è difficile riconoscere i solchi, le linee di demarcazione: tutto è più fluido, interpretabile, opinabile, elastico, accomodabile. E quel che si dice oggi sarà rinnegato domani per poi esser detto di nuovo fra due giorni: l’epoca lo impone, o forse è la statura umana di oggi a volerlo. Eppure esistono delle linee-guida, qualcosa su cui non è lecito transigere neppure adesso: proprio l’amore per l’Europa, e per coloro che l’hanno irrorata del loro sangue e della nostra idea, rappresenta uno spartiacque o perlomeno una cartina di tornasole. Tra quelli che sono come me e quelli che, invece, sono tutt’al più dei cari cugini.

 

 

Noreporter giugno 2005