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 Poi di colpo si sono aperte le cateratte. In concomitanza con il primo omaggio ai martiri dimenticati delle Foibe è cominciato un can-can che, partendo da Primavalle, ha riportato il nostro passato su tutti i teleschermi, su tutti i giornali. Vada: è tardivo ma ci può stare. Facciamola finita però.
Non soltanto perché queste esternazioni sono in netto ritardo e spesso scomposte, comunque condizionate (“ma anche i fascisti erano cattivi, tifavano per i torturatori greci”). Affermazioni comprensibili ma intrise di mala fede. Innanzitutto perché nessun rogo, nessun’agonia son mai stati inflitti ai “compagni”. Poi perché essi non hanno mai avuto bambini e adolescenti da piangere. Inoltre perché è un dato di fatto che l’escalation fu prodotta da loro che, sempre, alzarono il livello. Infine perché tifare, com’era il loro caso, per il massacro della Rivoluzione Culturale o per le polizie cinesi, bulgare, sovietiche, polacche, non rappresentava il massimo dell’apertura di spirito.
Facciamola finita, soprattutto perché si è iniziato a chiedere perdono (Lanfranco Pace) e si è aperta la pratica del perdonismo che è quanto di più inverecondo e devastante si possa immaginare.
Questa sorta di dissociazionismo svilisce le vittime non le innalza; e fa poi entrare tutta la memoria di un’esperienza storica in un tunnel pericoloso. Vieppiù allorquando serve come una sorta di catarsi, come uno scaricabarile per acquietare la coscienza e garantire nuovamente un reducismo rispettabile che non è più d’apparenza immacolata. Una pratica, quella del togliersi il peso del peccato tramite una pubblica flagellazione, che non ci appartiene storicamente, culturalmente: ci deriva da culti involuti dell’Asia Minore. E serve, in realtà, non solo a dire “scurdammuce o passato” ma anche a dar forza e dignità al presente. Che è un presente d’ingiustizia sociale, di traffico di droga e di uomini, di violazioni dei diritti dei popoli, di bombardamenti degli inermi, di embargo di medicinali per i bambini dei cosiddetti “stati-canaglia”.
E questo, caro Pace, caro Ferrara, non lo possiamo accettare.
Così come non riteniamo che le vostre scuse tardive riparino un bel niente. Né che siate  voi, anche se rappresentanti di un’alta borghesia irresponsabile ed impunita che giocava alla rivoluzione, di un’alta borghesia che, in nome di Marx, bruciava vivi i figli del proletariato, a dover chiedere scusa per primi.
Prima di voi ci sono gli intellettuali borghesi di ieri, ci sono i moderati, ci sono i servizi (deviati ?) c’è la DC, c’è il partito delle infiltrazioni e delle cospirazioni, il partito delle stragi che, guarda caso, non solo faceva capo – come molti di voi e ben più che pochi di noi – a Washington e a Tel Aviv ma, soprattutto, aveva come ossatura la partigianeria: i partigiani bianchi e quelli rossi che, parallelamente, o forse insieme, seminarono l’odio e la tensione: il loro humus migliore.
Ci sono quelli che mentre tu, Pace, ti trovavi esule a Parigi dove avesti la fortuna di poter riparare come fece il sottoscritto sia pur in ben diverse condizioni, torturavano in carcere i tuoi compagni e i miei camerati.
Andiamoci piano, dunque, con queste richieste di perdono. Rischiano di portare altra ingiustizia, di aggiungere fango a fango, di fare il gioco di chi più di tutti fu colpevole: di quella borghesia vile e opportunista che ieri chiuse gli occhi e, a buon uso, oggi inorridisce per il rogo di Primavalle. Che in ambo i casi ha operato la scelta più comoda, senza mai pagar pegno.  
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