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Cioè quei facitori d’opinione che hanno arroventato il clima con due mesi d’anticipo, molto prima che a qualcuno venisse in mente di giocare alla guerriglia.

Sicché, rispondendo alle leggi non scritte del protagonismo, del mimetismo e dell’emulazione, i contestatori non han potuto esimersi dal comportarsi come da canovaccio, impersonando il ruolo degli insorti, con le tragiche conseguenze che abbiamo oggi sotto gli occhi, ma che erano scontate.

Giornalisti di Rai e di Mediaset, parassiti del sensazionalismo che si nutrono di sangue umano !

Tra loro si annidano gli assassini, come tra i leaders della sinistra che, forti di un’esperienza che non poteva lasciar immaginare esiti diversi, hanno svolto con cinismo e mestiere il ruolo dei burattinai.

Ed ora, sulla pelle di uno dei loro giovani, i Bertinotti vari trarranno linfa per un’opposizione pretestuosa che consentirà di uscire dall’impasse causata dall’assenza di una linea politica.

Impuniti. Prima che lo scontro degenerasse, l’estrema sinistra ha goduto di un’impunità sorprendente. Non solo i commandos del balck bloc ma le stesse tute bianche hanno sfilato (e probabilmente continueranno a sfilare) in tenuta paramilitare. All’estrema destra un reato del genere comporta anni di carcerazione. Addirittura i leghisti sono stati incriminati per l’utilizzo delle camicie verdi. Ai compagni è invece consentito di giocare alla guerra. Ed anche di organizzare la guerriglia comodamente nei Centri Sociali (rammentiamo come si lasciarono filmare dal telegiornale mentre si allenavano agli scontri di piazza). E di detenere ogni genere di armi proprie ed improprie rischiando, al massimo, una denuncia a piede libero.

Un’impunità sospetta che può essere letta con la logica del “due pesi e due misure” e con la connivenza morale di cui da sempre godono a sinistra, ma cui forse non è estranea una logica da strategia della tensione. Li si è, magari, lasciati fare perché alzassero il tiro, com’era avvenuto  nell’intero quinquennio di incubazione delle BR.

Pericolo. L’impunità e poi il sangue; le dirigenze comuniste pronte a soffiare sul fuoco per restare in qualche modo protagoniste sulla piazza: il clima rischia di farsi vieppiù incandescente.

Se teniamo conto della loro arroganza naturale, dell’intolleranza e della cultura dell’odio alla quale sono nutrite, le frange militanti dell’ultrasinistra si sentiranno stimolate a reiterare il confronto violento e ad eliminare tutto quanto possano incontrare sul loro cammino.

I giovani di AN, della Lega, di Forza Nuova possono a breve divenire vittime di furia omicida.

Cerchiamo di evitare di essere bersaglio e di offrire carne da macello. Ed altresì di infilarci in una spirale senza senso né via d’uscita.

Prospettive. Il sedicente movimento antiglobal non ha tutte quelle prospettive che gli vengono attribuite. A Genova ha schierato meno di trecentomila persone. Se si tiene conto delle forze in campo (praticamente tutte le sinistre cattoliche e marxiste), della nutrita partecipazione internazionale ai cortei, dei mezzi messi allegramente a disposizione per una gratuita vacanza di survival e war game (o, per le indoli più pacifiche, di protagonismo, caciara e rimorchio), dell’imponente ed incessante battage pubblicitario su tutte le reti nazionali ed estere, l’happening genovese si è rivelato un vero e proprio plof. Lo sarebbe stato comunque al di sotto del milione di partecipanti.

E il plof non è soltanto quantitativo. L’impronta politica dell’antiglobal (ossia la rivendicazione di un vago globalismo di sinistra che si intreccia con un nichilismo iconoclasta) non è soltanto indice di un’identità spuria, ma è artificiale. Il paragone fatto più volte con troppa precipitazione tra questo movimento costruito in laboratorio e quello del Sessantotto, che rappresentava invece il condensato di spinte sociali e culturali provenienti allo stesso tempo da ogni dove, è improponibile.

Se una similitudine può essere tentata, essa è con il Movimento del ‘77, che fu nichilista, che rappresentò un colpo di coda, del resto assai minoritario, ed un tentativo non riuscito della sinistra più insofferente di cambiar pelle. Genova 2001 è, semmai, paragonabile a Bologna ’77, tappa decisiva che fece registrare la massiccia impotenza, l’inguaribile sterilità di quel Movimento.

Genova per il movimento antiglobal ha insomma rappresentato un fallimento.

Non un fallimento dell’antiglobalismo in quanto tale, ma della capacità di impersonarlo da parte dei rivoluzionari di mestiere, di quelli doc, “politicamente corretti”. Che siano in tonaca da frate, mascherati da intifada o in look isterico-sacchiano; che siano legati a filo doppio con la Caritas, con Rifondazione o con i DS; che siano nostalgici di Marcuse, di Cohn-Bendit o di Don Milani; tutti costoro sono dei dinosauri tenuti in vita con la flebo.

Giurassici che si agitano per sfuggire all’inevitabile estinzione.

Le prospettive future di cambiamento, se esistono, non li riguardano per nulla: stanno nella società reale e passano per gli input che da questa provengono.

Non lasciamoci perciò ingannare, né di battaglia né di modello comportamentale.

Guardiamo avanti, Genova non è stata altro che un ballo in maschera conclusosi tragicamente.