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Siamo alle solite: non si capacitano, i signorsì dello Zio Sam che qualcuno possa essere refrattario alla legge del più forte, che possa non essere sedotto dal modello americano e non sentirsi attratto dall’irresistibile tentazione di baciare la mano che lo bastona.

Ragion per cui denunciano, quasi si trattasse di un peccato originale o di un’eresia religiosa, la persistenza dell’antiamericanismo.

Come a dire che noi, poveri sciocchi, illusi, esaltati, privi di realismo ed incapaci di trarre le lezioni della storia, continuiamo a provare nei confronti di chi ci comanda una sorta di rancore giovanile, non avendo ancora capito che il modello americano, e quindi il capitalismo e quindi il liberismo e quindi la liquidazione dei valori sociali, delle realtà pubbliche e di tutte le sovranità, sono il minore dei mali, anzi la panacea contro i sogni pericolosi.

È lecito pensarla così. Lo è se ci si sente realizzati nel paradiso artificiale, lo è vieppiù se si appartiene a quella genia tanto vasta che produce tutti i Capò della Securitate sotto qualsiasi cielo, a qualunque altitudine, in ogni genere di sistema di potere. Specie in quelli che elargiscono onori e prebende.

Ma questi alfieri della civilizzazione multinazionale, che siano in buona fede, che subiscano una profonda sudditanza o che vendano per costume la penna ed il cervello, si sbagliano di grosso.

Non tanto e non soltanto a proposito dell’antiamericanismo quanto delle vere ragioni della nostra opposizione all’aggressione all’Iraq.

Che sono di due generi e che contengono sia la negazione che l’affermazione.

Partiamo dal no. Quello che si rifiuta non è tanto il sistema americano, il suo modello culturale e linguistico e la sua prepotenza militare e politica ai quali, comunque, siamo refrattari.

Quel che si contesta è che questo sistema, se non altro dal 1916 ad oggi – con almeno quattro accelerazioni importanti databili al ’45, al ’61, al ’74 e al ’90 – altro non è se non il dominio incontrastato del Crimine Organizzato su scala mondiale.

La sua prima voce è il narcotraffico, la sua seconda il mercato di schiavi. È questo sistema che, ad esempio, ci ha condotti a compiere i bombardamenti umanitari in Afghanistan all’unico scopo di recuperare quel Paese alla produzione del papavero d’oppio riportandolo in testa alla classifica mondiale. È questo sistema che ha inginocchiato l’Argentina e costringe un Paese di 36 milioni di persone con 35 milioni di vacche a morire di fame, a richiedere il latte in polvere alle organizzazioni di beneficenza europee impedendogli per diktat di coltivare il 90% delle superfici coltivabili a grano, producendo così povertà, denutrizione, e una mortalità per fame calcolata a ben 70 bambini al mese. È il medesimo sistema che uccide migliaia di bambini iracheni perpetrando il blocco umanitario (!) dei medicinali…

Che sia americano o svizzero, cinese o siciliano, questo sistema è quello del Crimine e perciò l’opporvisi non è questione di gusti ma il dovere morale di qualsiasi essere intelligente, quali che siano le sue tendenze politiche.

Oltre alla negazione, miei cari censori, c’è poi l’affermazione. L’opporsi all’intervento in Iraq che, sia detto en passant, è anche un intervento per ridurre l’autonomia energetica di Francia e Germania, significa perseguire un progetto.

Questo progetto che è al contempo un progetto Europa, un progetto Eurasia ed un progetto di poliarchia internazionale non mondialista, si basa su delle contingenze e su delle convergenze oggi in atto tra Berlino, Parigi e Mosca, forse allargabili a Tokyo.

Questo progetto anela ad una diversa gestione delle questioni internazionali e, soprattutto, a restituire centralità, dignità e forza ad un’Europa troppo lungamente ridotta in sudditanza.

Quest’affermazione si basa però su qualcosa che i zelanti partigiani dei padroni d’oltreoceano non possono tollerare, ovvero il voler divenire PROTAGONISTI, cioè padroni della nostra vita e dei nostri destini.