Perché le manifestazioni unitarie sono parte integrante del canovaccio sin da quando la “strategia della tensione” è stata concepita; o forse sarebbe meglio dire, da quando si è istituzionalizzata la “società dello spettacolo”.
In questa chiave di lettura ci viene incontro un recente documento attribuito al CFR, ovverosia del centro supremo della strategia estera americana, al quale è stato ufficialmente trafugato (anche se io penso trattarsi di un falso che contiene verità). Fu trafugato per essere dato alle stampe in Francia lo scorso novembre e cioè in perfetta e sorprendente concomitanza con le affermazioni che venivano da oltreoceano, vuoi da Lyndon Larouche, vuoi da Wall Street, vuoi dalla Trilateral e che, in chiavi diverse, annunciavano tutte un’offensiva terroristica primaverile in Europa che avrebbe avuto inizio in Spagna. Questo documento, verosimilmente creato e divulgato dall’intelligence francese che non aveva trovato altro escamotage per puntare l’indice accusatore sul Pentagono, parla proprio della decisione del gotha capital/americano di effettuare rapidamente il passaggio alla fase del “terrore globale” meglio definita come “spettacolo globale del terrore”.
E proprio su questa formula proporrei di soffermarci.
Invece di perderci nel labirinto delle ipotesi sulla matrice terroristica (etarra, integralista, mafiosa, ecc) faremmo molto meglio a concentrare la nostra attenzione sulla funzione strutturale del terrorismo. Al di là dagli effetti politico/economici che ne conseguiranno e che sembrano destinati comunque ad andare in direzione anti-europea a tutto vantaggio delle tasche e delle quote di potere di quel qualche centinaio di famiglie che coordinano l’alta finanza ed il crimine organizzato (ammesso che sia lecito separare i due concetti) dobbiamo capire cos’è il terrorismo nell’attuale fase di “civiltà di massa passiva”.
In anticipo sui tempi alcuni comunisti atipici, i “situazionisti”, influenzati peraltro da correnti di riflessione degli anni Trenta, definirono quell’attuale come la “società dello spettacolo”. In grandi linee si tratta di una società che si fonda sullo spettacolo messo in scena dai media, in particolare quelli televisivi. Non solo chi ha il controllo di questi media ma, soprattutto, chi li sa utilizzare come regista sopraffino, detiene il potere ed amministra finanze e risorse creando le condizioni necessarie ai propri disegni o, cosa ancor più comune, mettendo a frutto magistralmente ogni commedia umana in atto, senza che abbia nemmeno più il bisogno di scriverla personalmente.
In questa società dello spettacolo esistono quattro elementi cardinali. I registi, ovviamente, poi i mezzi mediatici, quindi gli spettatori (che devono essere coinvolti come in “Truman Show” o nel “Grande Fratello” o ancora in “C’è posta per te”, “MCS” e via dicendo) e infine i personaggi.
Questi personaggi (ribelli, eversivi, buoni, cattivi o terroristi) a volte sono creati in laboratorio, animati ed armati dalle troupes dei registi (Cia o giù di là). Più spesso però somigliano ai protagonisti pirandelliani di “Sei personaggi in cerca d’autore”: hanno cioè la propensione naturale, magari addirittura la predestinazione, ad essere quello che sono; tuttavia non esistono fino a quando non incontrino un autore capace di offrir loro la scena.
A questo punto che succede ? Semplicemente che chi amministra il governo reale (e quindi la prevenzione e la sicurezza) obbedisce al regista di turno che, anziché far sparire di scena il personaggio, magari arrestandolo, lo mette a frutto nel suo spettacolo lasciandolo operare indisturbato. Si fa, insomma, autore del personaggio e, quindi, deus ex machina di quanto ne conseguirà.
Lo spettacolo si nutre soprattutto di sensazione, di sangue, di orrore, di clamore. E degli effetti di queste storture fanno immediatamente tesoro i criminali di turno che muovono capitali e incidono sui destini internazionali, criminali che sono talvolta i registi stessi ma più sovente i loro impresari.
Un filo sottile ma tutt’altro che invisibile, lega quindi in una complicità sia oggettiva che cosciente il personaggio/terrorista, il regista/politico e l’impresario/finanziario: sono una sola cosa. E lo sono grazie alle logiche spettacolari e, soprattutto, perché gli spettatori (cioè noi) si lasciano coinvolgere ipnotizzati. Senza di noi, infatti, lo spettacolo avrebbe fine, e con esso il terrorismo.
Così stando le cose non è peregrino dire che – al di là delle pie e lodevoli intenzioni – chiunque sfili contro il terrorismo non è solo complice oggettivo e inconsapevole del Terrore ma contribuisce a renderlo spettacolarmente efficace e, dunque, a perpetuare repliche infinite.