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Questa è la sintesi della lunga diatriba alimentata fra scientisti e credenti a margine del referendum sull’embrione.

Si è manifestato in pieno il senso dei tempi e si è visto quanto valgano oggi le personalità.

Potremmo discettare a lungo sul rapporto tra scienza e fede e, soprattutto, tra fisica e metafisica, ma quel che più urge è smascherare questa farsa.

Scientisti ? Coloro che distolsero la fede dal concetto di Dio per trasferirla su quello di Natura, coloro che nutrirono il grande ottimismo del progresso, coloro che pensavano p o s i t i v o, mettevano una tal veemenza nel proprio credo titanico e nichilista che i pagliacci che oggi provano a copiarli, se non altro per rispondere ad interessi di parte, ce li fanno sinceramente rimpiangere.

Credenti ? Chi crede va sul rogo, chi poi crede monoteisticamente è violento, non accetta compromessi. Non si mette a difendere la vita (l’embrione) d i a l e t t i c a m e n t e. E non combatte solo battaglie facili. Come si fa a dar credito all’autenticità di una chiesa che difende l’embrione ma non s’oppone, anche manu militari, all’omicidio legalizzato dell’espianto d’organi ?

Siamo alla relativizzazione dei concetti assoluti… Se conviene, se non costa troppo…

Insomma, da ambo gli schieramenti ci strappano un sol grido: pietà !

 

Scienza ?

 

Scienza ? Un concetto che si è fatto astratto: colpa ne è stata la separazione concettuale fra fisica e metafisica e soprattutto fra uomo e ambiente: una separazione che ha radici lontane e si nutre di cultura biblica.

La scienza moderna, che rifiuta i dogmi (salvo poi imporre se stessa come dogma assoluto) è frutto di un’implosione (se vogliamo “diabolica”, nell’accezione che vedremo più avanti).

Il preconcetto sul quale si fonda si basa esclusivamente sulla conoscenza empirica (l’esperimento, la statistica) sommata a quella razionale (la stessa etimologia di scienza, dal latino scio attesta questa predilezione). Dei tre gradi di conoscenza determinati dallo Spinoza viene così a mancare proprio quello più importante (intuitivo, intuizionale, super/razionale, metafisico). Manca alla Scienza-con-la-esse-maiuscola, a quest’idolo che ha prodotto una sua propria teologia, la capacità di interiorizzare, assumere, far proprio, unificare. In altre parole la facoltà di assaporare. Non per niente si distanzia dalla Sapienza, termine che deriva da sapio che ci rimanda al sapore, alla conoscenza assunta organicamente, sublimata.

Sicché la Scienza-con-la-esse-maiuscola, quest’idolo moderno, si avvolge su se stessa in una continua ricerca (non per niente è induttiva e non deduttiva, dunque incapace di unità e di trascendenza), si perde nella rete infinita della fenomenologia e procede così con danni collaterali non minori delle conquiste materiali.

Religione ?

 

Religione ? Ci vorrebbero volumi e un bel grado di presunzione per parlarne appena sufficientemente.

Ci permettiamo di sostenere che oggi, dopo secoli di tira e molla, di volte e giravolte, di rigori e di lassismi, di meno e di più, i fedeli sono soli, talmente soli che quasi ognuno di essi ha il proprio personale Cristianesimo. Alcuni, è vero, sono cristiani in comunità (ma anche prescindendo dagli orientamenti politici opposti, è difficile scoprire il comun denominatore fra lefebvriani e catacumenali). La moltitudine invece si connette con la religione su un doppio livello: individualistico (Dio mi capisce e ci parlo direttamente io) e collettivo (l’ammortizzatore sociale della chiesa). Di religioso in religione insomma resta poco. Qualcosa dei riti, poi la fede (quando c’è), la mistica (che è ben rara) e la preghiera. Dal che si comprende come e perché la chiesa si dimostri esangue quando è chiamata a nuove crociate. Il consenso è ampio, largo, ma malato e molle.

 

“Bisogna” credere nella scienza

 

Nessuno oggi crede davvero nell’avvenire radioso del progresso. Gli scientisti sono ammutoliti con la società dei consumi, la bomba atomica, le piogge acide, il paradiso infernale delle megalopoli. L’ultima stagione trionfale di quella casta dominante risale al decennio Cinquanta. Da allora scienziati e ricercatori si sono trasformati in privilegiati guardiani degli interessi delle multinazionali farmaceutiche. Oscurantisti puri che ostacolano qualsiasi innovazione rivoluzionaria perché debbono difendere le enormi e costosissime cittadelle edificate sulla ricerca della felicità biologica contro la malattia e la bruttezza, bene attente a non debellarle però, perché rappresentano la gallina dalle uova d’oro.

Non ci credono, nella scienza e nel progresso, questi progressisti e scientisti; non ci credono affatto, ma simulano, anche con se stessi di nutrire la fede. A questo fasullo ottimismo sono chiamati anche da una funzione oggettiva. Come ha felicemente constatato Carlo Gambescia, nell’era dell’ iper/consumo in cui ci troviamo immersi da venticinque anni, nel pieno della cultura materialistica dei sensi (“sensismo”) l’élite dominante deve mostrar fede nel progresso e nella scienza. È un fenomeno necessario alla conservazione della commedia sociale, viene definito “sensismo attivo” 1

Senza quest’ostentazione di ottimismo l’intera impalcatura verrebbe rovinosamente meno.

 

“Conviene” credere in Dio

 

Si assiste, d’altro canto, ad un ritorno delle genti in chiesa, ad una revisione della decisa critica anticlericale dei Sessanta e Settanta. Qualunque sentimento si provi in merito, non ci s’inganni sul senso del fenomeno, molto simile a quello che Julius Evola definisce come “seconda religiosità” e che si registra in periodi di profonda corrosione, sia sociale che delle personalità.

Non si può fingere di non accorgersi che questo fenomeno di ritorno alla religione nasce proprio nell’era dell’ iper/consumismo (che debutta più o meno nel 1981). Più che a una rivolta all’idea consumistica e a una ricerca della spiritualità si assiste, quantomeno nelle masse, all’edificazione di un rapporto con Dio e la chiesa che è molto simile a quello che caratterizza il consumatore con le autorità preposte al commercio e alla regolamentazione pubblicitaria. Viene chiesto, a Dio e alla chiesa, di colmare un vuoto, di rassicurare. A nessun prezzo però: i precetti, i dogmi, vengono sottomessi al giudizio inappellabile del fedele/consumatore. L’inferno è sparito, il paradiso è sicuro; i peccati sono relativi, scusabili, in particolare i propri. C’è invero una bontà diffusa ma non è magnanimità, bensì un ferocissimo “volemose bene” da ultimo uomo zarathustriano. La religione s’interseca con le leggi della società dello psicodramma. C’è la corsa alla beatificazione e alla santificazione perché i media lo impongono. E poi abbiamo i “papa boys” che saltellano privi di qualsiasi spessore e dignità imitando cori ultrà: lo sguardo spento, il portamento floscio, vivono esternando; sono “letterini” di Dio.

 

Psicoanalisi e nuove sette

 

L’uomo sub/personale, coriaceamente abbarbicato alla sua esistenza virtuale e dannatamente isolata, è finto anche come religioso. La psicoanalisi – questa scienza che vale per le epoche decadenti e per le personalità malate – potrebbe spiegare molte di queste fedi pallide. Per quelli dalla psiche più debole il passaggio alle sette è quasi automatico. Anche da noi crescono i vari Testimoni di Jehowa e Scientology; altrove, specie in America Latina, pullulano le sette evangeliste e affini.

Altro discorso vale per le sette sataniche. Forse nascono da un eccesso fuorviante di sensibilità e di ricerca. Il Cristianesimo, con la sua attiva partecipazione al fenomeno di “solidificazione del mondo” ha connesso fra loro piani diversi. 2

Tramite una serie di sigilli ne ha fatto un unicum che riconduce a sé non solo il fideismo e il rituale ma anche la mistica e la conoscenza. Nessuna difficoltà per i tiepidi, i superficiali e i distratti che prendono tutto in blocco senza farne assolutamente niente. Il problema riguarda chi sia mosso da una sete di verità (o anche da una più profana ed elementare curiosità) che, se non segue un cammino precostituito, si mette giocoforza a disfare i sigilli. Ma proprio slegando si divide l’unità e ci si affaccia così all’infra/umano, al sub/forme (non a caso il termine Diavolo – che è l’opposto semantico e concettuale di Simbolo - viene dal greco Dia-Ballo che significa proprio sconvolgere, disunire, atomizzare).

Ed ecco come si è prodotta – specie nel Ventesimo secolo – una devianza che ricorda la caduta di Icaro (o, restando nell’iconografia cristiana, il peccato originale: l’aver avuto accesso senza preparazione all’Albero della Conoscenza – o della Vita il che , in senso assoluto, è lo stesso…)

Sicché se dall’assunto unificante Cristo (Verbo, Uomo e Dio) si passa al Dio-concetto, poi alla religione, quindi al sacro, per giungere infine all’esoterismo - e non si è precedentemente animati da una vocazione metafisica e da un’intuizione filosofica e sapienziale, se non si posseggono una personalità quadrata ed una natura genuina – di qui si finisce nell’occulto: dunque il passo è breve per la caduta nel sub/personale, nel nichilistico, nel distruttivo, nel malefico 3

Ed ecco che pullulano messe nere, orge nere e sacrifici umani.

Se Satana – se vogliamo accettarne il concetto, con tutte le accezioni che gli si possono attribuire – è anche lì, sbaglieremmo però ad identificarlo colà perché è ovunque, specie dove si pensa che sia il “Bene” 4

 

Un’enorme seduta spiritica

 

Abbiamo premesso che non ci saremmo impegnati in critiche filosofiche alla Religione. In questa sede c’interessa il fenomeno sociologico e psicologico della sua base di massa: ci premono i riflessi politici che un’interpretazione corretta o erronea comportano. E ci sembra necessario sgombrare il campo da equivoci e fallaci illusioni.

Se solleviamo il velo, ci accorgiamo allora che il revival spirituale nasconde un verminaio. I fedeli credono nella religione come i progressisti nella scienza: delegano ad esse ogni responsabilità chiedendo, in cambio, di non dover assumere alcunché sulle proprie spalle.

Le legioni più o meno nutrite di fedeli, così come quelle dei laici intransigenti, sono minate nelle fondamenta. Non sono soldati della Fede, sono consumatori di tranquillità. Non sono arsi da fuoco inestinguibile, la loro temperatura è il tepore. Non sono disposti a rischiare altro che il superfluo, e anche questo malvolentieri. Del resto, iper/consumatori addestrati, cosa considerano mai superfluo ? Forse le passioni che ardono, perché ne provano sconvolgimento e terrore.

Qual è allora la lezione politica da ricavare ? Dobbiamo ammettere, a cuor sereno, che non c’è alcuna base solida su cui re-agire. Né laica né clericale, né scientista né religiosa, né atea né cristiana. La dis-società è allo stadio larvale: è un’enorme seduta spiritica. Va ricreata, va rifondata. Attraverso un percorso, pericoloso, di messa in discussione, di messa a rischio di sé: gettandosi nelle fiamme, per ardere come fiamma e trasformarsi in fenice.

Non lasciamoci fuorviare da qualche lucciola sbiadita: l’Occidente è allo sbando e - per fortuna - non può essere salvato. Può, soltanto, distruggersi e rinascere – da Europa, anzi da AlterEuropa – mediante l’azione di pochi pionieri capaci di attraversare il nulla, qualificando nuove élites, al tempo stesso ortodosse e spregiudicate. Nessuna conservazione è, fortunatamente, possibile. Qualsiasi progetto di difesa morale o spirituale è fondato sulle sabbie mobili. Anche e soprattutto in questo campo è il tempo degli Arditi.

Il manifesto di Polaris è più attuale che mai.

 

1 Carlo Gambescia “Il migliore dei mondi possibili”, edizioni Settimo Sigillo, Roma, maggio 2005

2 Réné Guénon “Il regno della quantità e i segni dei tempi”, edizioni Adelphi, Milano, 1992 (1° edizione Gallimard, 1945)

3 In proposito vedi Julius Evola “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo” edizioni Mediterranee, Roma, 1971

4 In proposito vedi il nostro “Nuovo ordine mondiale tra imperialismo e Impero”, Società Editrice Barbarossa, Milano, 2002