Quella percezione metafisica dall’antichità
Ché per i nostri antenati la vita era una commedia, la personalità (“phersu”, maschera) indicava un ruolo, una funzione. Bisognava saper mettere in scena la propria vita: “ho recitato bene ?” si chiese Augusto prima di spirare.
La filo/sofia classica, che era innanzitutto metafisica, insegnava questo all’uomo: ad essere spettatore di se stesso, ad accettare (come Socrate) le leggi delle parti, ad essere attore ma anche spettatore e critico di sé. Era la percezione della dimensione metafisica, che ci giunge dall’antichità più remota, e non solo dall’Ellade, e ci perviene con Gurdjeff, con Pirandello, con Evola ma anche, in modo meno teoretico e più immediato, tramite Nietzsche e Junger.
Lo psicodramma, parodia della tragedia
Satana è la scimmia di Dio, l’immagine rovesciata allo specchio, l’inversione del simbolo. L’età oscura è la parodia dell’età dell’oro. Frasi, tutte, validissime e opinabili insieme, in quanto totali si, ma anche totalitarie. Quel che se ne pensi, in ogni singolo caso, l’assunto globale è in comunque esatto. Ed oggi in tempo Parodia la tragedia (ovvero il momento di spettacolo in cui l’intera Polis avvertiva la percezione del sacro) si è tramutata in psicodramma. Siamo, cioè, alle prese con la nudità del sacro, ma ci arriviamo divisi, ipnotizzati, in condizioni di sub/personalità e ci perdiamo ingoiati in un buco nero, trovando come sole vie d’uscita l’annientamento psico/chimico, il nichilismo distruttivo, la ribellione alle forme, il suicidio e il ghigno.
Di che rabbrividire ? Forse. Ma anche di che far tesoro, ché più profondi sono gli abissi, più alte saranno le vette delle montagne che in essi pian piano ma inesorabilmente si formano e dai quali sorgeranno imperiose. Ma questo concerne l’aspetto esistenziale e soffermarvisi rischia di scadere in un esercizio di pura intellettualità; sicché non può catturare la nostra attenzione più di tanto.
Ipnosi collettiva e singole volontà
Comprendere, nei limiti che ci è concesso, l’assetto metafisico, essenziale, di un momento storico è importante. Non meno importante è, però, coglierne le dinamiche, le leggi, le modalità, al fine di esservi presenti come forze attive e non come forze agite. E qui la cosa diviene difficile.
Mai probabilmente prima d’ora l’umanità era stata soggetta ad un totalitarismo intollerante ed oppressivo paragonabile a quello odierno. Come aveva previsto Orwell, ma in fondo anche Nietzsche e Pirandello, il commissario politico del Gran Leviatano è chiunque: sei anche tu. L’ipnosi collettiva diviene singola volontà e così chiunque pensa, parla e agisce come lo psicodramma vuole. Anche chi a sprazzi ragiona diversamente, rinnega poi se stesso rapidamente e si ricicla, si riprogramma con una velocità ed una disinvoltura sconvolgenti.
Ragion per cui, se non a nulla, a ben poco serve opporre alla verità virtuale la critica e il buon senso. Il buco nero dello schermo ingoierà tutto nutrendosi finanche della negazione intelligente.
Dietro il velo, il crimine
La realtà virtuale, immanente e caotica, domina tutti e mastica tutti, così come Cronos ingoiava i suoi figli. Tanto che potremmo essere indotti a considerare persino irrilevante definire chi siano i produttori e i registi della società spettacolare e quale realtà nuda essi travestano mistificandola. Troppo più forte è la creatura messa in scena dei suoi stessi realizzatori che ne sono in fondo succubi e subalterni: non più soggetti ma complementi d’agente di un verbo che oramai si declina al passivo, la coscienza essendosi smarrita.
Anche questa semplificazione, così come il suo opposto speculare (il cosiddetto complottismo) sarebbe erronea perché vi è sempre una ragione per la quale un preciso tipo rivesta un ruolo, così come vi è un motivo per il quale una verità venga contraffatta. E la verità contraffatta di oggi è rappresentata dal dominio assoluto, totalitario, assillante, di un’oligarchia che è amministratrice del Crimine Organizzato: di una criminalità diffusa che si fonda sul cinismo, sul disprezzo dell’uomo, sulla contraffazione e si basa, parlando in cifre, sul traffico di droghe, sul traffico d’armi, sul traffico di uomini, sulla speculazione sulla salute, sul traffico d’organi, sulla devastazione dell’ecosfera e, solo in misura infinitesimale, sull’economia produttiva.
Saranno famosi ?
La politica non è più. O meglio, essendo sempre più accentrata la gestione totalitaria dell’oligarchia criminale, la politica è stata svuotata di ogni contenuto e relegata alla dimensione spettacolare. Guitti più o meno coscienti recitano oggi farse che s’intersecano nello psicodramma collettivo e danno vita nel pianeta ad un reality show, che potrebbe tranquillamente chiamarsi “saranno famosi” in cui l’unico senso del gioco è vedere chi sarà eliminato. E noi, partecipi a quest’insignificanza reiterata, tifiamo persino…
Qua e là affiorano alternative a questo magma inerte che si pretendono antagoniste ma non fanno – né potrebbero fare – altro che mettere in scena se stesse, con toni, gesti, parole e proposte che sono già parte del copione. Chiunque giochi questo gioco – se non ne ha la coscienza e non compie contemporaneamente qualcos’altro – non fa che competere per allargare infinitesimalmente gli spazi minimi concessi sul palcoscenico al suo essere comparsa e al massimo per riuscire a far inserire un suo slogan, comunque immediatamente rimasticato dal grande stomaco del grande fratello, nello generico dell’infinito show. A che pro perdere tempo ?
Fiduciosi in qualcos’altro
Abbiamo scritto innumerevoli volte a proposito delle soluzioni politiche classiche di stampo più o meno radicale. Inutile insistere: ribadiamo che quelle forme hanno tuttora un significato e un’utilità a patto di essere riviste e concepite, ma fin tanto che verranno considerate come delle alternative in sé, saranno pure e semplici fate morgane.
Non siamo contro né per espressioni del genere. O meglio: paradossalmente siamo più per che contro, non tanto per il valore intrinseco di quelle forme espressive, quanto perché crediamo nell’eterotelia, ovvero nella sicura nascita di effetti diversi da quelli desiderati da coloro che iniziano un’esperienza in modo inadeguato ai tempi. E, dunque, siamo fiduciosi che qualcosa (benché in misura assai inferiore e in qualità infinitamente più deludente di quel che sarebbe possibile ottenere) ne verrà fuori anche se non cambieranno registro.
Siamo critici impietosi ma costruttivi, siamo nichilisti attivi (o forse, meglio ancora, attivi nel nichilismo) e non iconoclasti.
La nostra critica non va intesa come un rompete le righe, bensì come un monito: imparate a osservare la macchina in cui siete entrati, la veste che avete indossato, il ruolo che vi si è incollato addosso, e, contemporaneamente, il mondo intorno a voi e le tecniche della comunicazione, del linguaggio, avvedetevi del rapporto di forze e di mezzi cui siete inchiodati e comprendete infine limiti e opportunità, possibili messe a frutto e controindicazioni di quel che avete scelto come rappresentazione di voi stessi. Sarebbe già un punto di partenza, non la soluzione politica, ma un primo passo verso lo zero, che già non sarebbe poco.
Aggredire la realtà
Le soluzioni politiche esistono, e anche su di esse abbiamo insistito spesso e non solo a parole; ma con azioni, programmi e fatti. Dette soluzioni, per potersi definire tali, devono tener conto della realtà com’è e di come evolve. Abbiamo insistito fino alla nausea definendo la necessità di solidificarsi, di conquistare spazi, di costituire lobby di popolo a vocazione sociale, di guardare ai rivolgimenti geopolitici futuri, puntando alla qualifica delle élites. Un ragionamento complesso, per certi versi difficile da seguire, perché è necessario avere bene a mente il tutto in modo articolato per non perdersi nei particolarismi.
Tutto questo è un moderno adattamento dello spirito avanguardista e squadrista. Poiché in quest’angolo della scacchiera l’azione precede la parola (o almeno così era nei tempi non virtuali), non esistono termini per spiegare questa strategia se non li mutuiamo dalla sinistra (dove il cervello precede l’anima). Prendiamo dunque a prestito quella terminologia, scopriremo allora che la nostra strategia è un misto di trozkismo, di gramscismo e di situazionismo. Ovvero è pragmatica ma subordinata alla coscienza e ad una rigida disciplina interiore, indissolubilmente legata ad una consapevolezza di quel che si vuol ottenere: ossia cambiare il mondo senza farsi cambiare da esso. Trotzky, Gramsci e i situazionisti ? Ma la miscela di quelle componenti esisteva già: in Mussolini !
Quell’autoneutralizzazione
Per approdare a un tal risultato dobbiamo far comunque i conti con la società del psicodramma e con il suo annesso spettacolo della politica. Qualcosa di formidabile che al solo pensarci rischiamo di restar sgomenti e ammutoliti, convinti che nulla più si possa concludere, considerato il dislivello che dovremmo colmare.
Ma non è vero: Nulla si può fare, se non rafforzare la regia, finché si resta inchiodati alla farsa, assumendo le posture drammatiche e le terminologie ottuse proprie all’immagine che di noi si ha comunemente. Peggio ancora facciamo quando cerchiamo di dare di noi un’immagine differente dalla consueta implorando quasi “non sono così brutto, non sono così cattivo”. Si resta comparse in ambo i casi, prive di verve nel primo, prive di dignità nel secondo, sempre e comunque inchiodate alla parte che ci è stata cucita sulla pelle.
Non ci sarà via d’uscita fin tanto che si oscillerà tra questi due opposti effetti di autoneutralizzazione: chiudere gli occhi di fronte alla realtà fingendo che essa non sia o muoversi in preda a un timore reverenziale che rasenta l’angoscia.
Cosa contrapporre allo psicodramma
Alla virtualità si deve contrapporre non una virtualità diversa, come accade spesso allorquando ci si convince di essere quel che ancora non siamo e che spesso neppur conosciamo se non per mezzo delle versioni che gli altri ci hanno fornito. Alla virtualità si deve opporre l’autenticità: è la conditio sine qua non.
Ma cosa contrapporre allo psicodramma ? Basta opporre il proprio essere autentici, quando davvero lo si sia ? Certamente no, perché comporterebbe l’istinto di sottrarsi al gioco, non quello di raccogliere la sfida. Per fare anche questo è necessario che l’autenticità accetti di mettersi in gioco, di andare a confronto; è indispensabile che si proceda alla strumentalizzazione di se stessi.
Accettare la sfida solo allora è davvero possibile, ma tenendo comunque conto dei tempi.
Siamo in epoca buia: non è la prima, abbiamo altri esempi nel passato e sappiamo bene cosa si sia rivelato efficace e cosa no. Sappiamo che quando predomina l’arroganza volgare di un’oligarchia che ha una pretesa teologica, teocratica ed uniformante, qual che essa sia, la risposta attiva e vincente sta, sempre, nell’autonomia sociale. E fin qui non abbiamo detto nulla di speciale.
Buffoni per non essere buffoni
Sul piano esistenziale la risposta valida risiede nella difesa dei tesori minacciati, sia quelli del sapere trasmesso che di quello che agisce in noi: in evo medio essa fu data nell’essere monaci/guerrieri.
La risposta sul fronte dei messaggi sta invece nell’accettare la parte, assumendola con ironia, nell’identificare i meccanismi e nel metterli a nudo, ancora una volta con ironia, ché l’isteria conduce al rogo e rafforza l’immagine del dominatore nella percezione delle folle. Non l’eretico ma il buffone mina la falsa ortodossia. Ridere e non lamentarsi, irridere e non straziarsi. Fare volontariamente il buffone per smettere di essere buffoni involontari: accettare che il confronto sia operato sul terreno che più era sacro a Sparta: il riso. Perché proprio a Sparta ? Perché lì erano uomini veri, che non sentivano il bisogno di prendersi sul serio perché erano seri: solo chi è intimamente il più forte vince sempre, ridendo. Da cui consegue, seppur sia non poco da correggere e migliorare, il significato di noreporter: non tanto come strumento in sé quanto come azione di mutazione relazionale.
A noi
In altre parole: competere con il reality show vuol dire accettare di confrontarsi con lo psicodramma avendone assunto sia coscienza razionale che metafisica. Si agisce allora su ambo i livelli assumendo, come minimo, la consapevolezza stoica che animò Augusto fino all’ultimo istante. Il che non è affatto poco.
Avanti allora con il teatro, con il “tatro dentro il teatro” come diceva Pirandello sotolinenado quest’azione d’impietosa presa di coscienza che consente di tornare ad essere padroni di sé. Con il teatro in cui la spacconeria e la poesia si fanno muse della vita: Provocatori ed evocatori, ironici e lontani: siamo tutti Cyrano !