Il sabato del villaggio, in un miscuglio di affermazioni valide e di grottesco, probabilmente non avrà fatto altro che fornire ai deputati cattolici, ai quali in teoria si rivolgeva, l'occasione di saltare sul treno della Cirinnà per accettare di fatto i matrimoni gay. Cosa, questa, che non mi tange, visto che ho il cuore e lo sguardo ben più su delle natiche e non mi sento così coinvolto nella preoccupazione dei costumi di una società che non ha più senso né destino, ma che la dice lunga sull'inutilità dei cerimoniali reazionari che sono controproducenti per i propri obiettivi.
Il treno che non si dovrebbe perdere
L'obiezione più gettonata è che oggi, di fronte alla pialla globalizzatrice, esistono solo delle reazioni emotive e che bisogna pur far qualcosa, in esse o con esse.
D'altronde si sostiene che queste, sia pur confusamente, si avvicinino a quanto noi affermiamo da tempo. Fingiamo pure che sia così e che non si sia, invece, più noi ad aver assorbito tesi altrui nella confusione che non viceversa. Mettiamo, in tal caso le reazioni possono davvero consentirci di far presa per un risveglio popolare da indirizzare altrimenti?
Gli esiti elettorali francesi, ungheresi, polacchi suggeriscono di sì. Ammettiamo, ma come? In cosa si qualifica e s'indirizza una reazione affinché la si sottragga al suo vivere e morire da inutile falena? Lo scopo nel parteciparvi qual è? Se è di prendere voti ed essere eletti, auguri a chi ci riuscirà. Ognuno ha il suo, per me – in questo sono materialista – l'uno vale l'altro, perché non è questione di uomini ma di funzioni oggettive, e sarebbe lo stesso qualora io fossi deputato o giù di lì, cosa che ho definitivamente escluso quando ero adolescente.
Se invece l'obiettivo è un altro, deve definirsi chiaramente sia da un punto di vista materiale che da uno qualitativo. In ogni ambito e in ogni Paese, la partecipazione a fenomeni reazionari deve non soltanto assumere dei tratti che caratterizzano inequivocabilmente le sue avanguardie (e non il loro contenitore politico che ha dei limiti intrinsechi), ma deve fissarsi degli obiettivi precisi, definirli, realizzarli e andare sempre a bilancio, con le conseguenze necessarie in caso di fallimento. Non basta definirsi per slogan o per sigle se in una dinamica non s'interviene fattivamente e non come contorno. Ovvero organizzando subito azioni di lotta (non selfie di piazza) quali, ad esempio, nello specifico, il boicottaggio massiccio delle scuole e la costruzione di roccaforti di contropotere sociale in cui abbia anche luogo una rivoluzione culturale per la quale, diciamocelo francamente, siamo ancora impreparati.
Qualunque intervento in dinamiche reazionarie avrebbe senso solo se condotto così e se, inoltre, si abbandonasse ogni tentazione di narcisismo e di ostentazione nella iattanza. Perché, altrimenti, ci accontenteremo sempre di essere presenti e di agire come meglio possiamo, invece di rivoluzionare tutto e tutti, in primis noi, per tutto migliorare e per raggiungere obiettivi che ci trascendono fino ad annullarci.
Godere nel sentirsi fichi o, peggio, nel sentirselo dire, è cosa triste di quest'epoca patetica ed è anche una pesante pietra al collo, un demone di gravità. Chi abbia avuto la gioia d'incontrare combattenti veri, sa che essi si donano, sono schivi, odiano le lodi e non vogliono mai mettere la firma o il marchio sui propri successi. Essi sono impersonalmente strumenti anche quando guidano e ancor più quando si trovano in prima linea. In particolare ciò è stato sempre vero per il meglio del meglio tra i combattenti politici di ogni tempo: le SS.
Il resto consegue
Tornando al tema, quel che intendevo comunicare non era tanto l'importanza di non immischiarsi in oscenità trinariciute che fanno torto anche a quel buon senso che pretenderebbero d'incarnare, quanto quella di assumere una mentalità veramente diversa. Radicale e radicata in alto, nello stile, nell'impersonalità e capace di mantenere sempre uno sguardo distaccato sul reale, al fine di parteciparvi con metodologia, strategia e finalità, nella più assoluta umiltà impersonale. A questo punto si potrà anche prendere in considerazione la reazione né più né meno di come si prenderebbe in considerazione qualsiasi dinamica progressista non ancora definita e altrettanto cavalcabile.
Ma prima c'è molto da lavorare su di sé, perché se con la consueta disinvoltura si prendono le scorciatoie e si partecipa agli eventi così come si è, allora si finirà con l'essere immancabilmente masticati e digeriti dalla dinamica delle cose: la legge dei rapporti di forza lo impone qualsiasi sia l'illusione che si possa nutrire.
Se non partiamo dalla nostra costante messa in discussione, e se, quando si agisce o comunque si fa quel che oggi viene scambiato per azione, ovvero si sfila tra i social, non ci s'interroga freddamente sul come e il perché lo si faccia, non riusciremo ad offrire alternative rivoluzionarie reali e non sloganistiche. E finché sarà questo il caso, allora la reazione varrà quanto il progressismo con l'aggravante di essere sciocca e imbarazzante, ragion per cui andrà tenuta ben lontana da chi sia provvisto perlomeno di buon gusto.
Ma possiamo fare al contempo un passo indietro e un salto in avanti: mettendoci appunto in discussione e acquisendo impersonalità. Allora e solo allora potremo ragionare anche con pragmatismo. Per il quale, poi, bisognerà attrezzarsi scientificamente, altrimenti resterà improvvisazione cialtronesca od opportunismo invertebrato.
Possiamo fare il dovuto salto di qualità? Solo a una condizione.
Ebbe a dire Nietzsche: “Io li ho visti tutti e due nudi, l'uomo più grande e il più meschino Sono ancora troppo simili l'uno all'altro. In verità anche il più grande l'ho trovato troppo umano!” Da questa considerazione nessuno può sentirsi esente, a partire dal sottoscritto.
Il resto consegue.