Questo sito si serve dei cookie tecnici e di terze parti per fornire servizi. Utilizzando questo sito acconsenti all'utilizzo dei cookie.

 E lo diciamo senza alcun coinvolgimento emotivo perché personalmente  mai abbiamo fumato, ma questa nostra virtù, che risale a tempi non sospetti, non ci sprona a rientrare nella schiera variegata dei salutisti. I quali ultimi non rappresentano che una delle più recenti versioni dei censori morali e civili, di quei vigili urbani in borghese che, sulla falsa riga del puritanesimo svizzero ed americano, controllano con petulanza che vengano rispettati i dettami di una presunta convivenza civile rigidamente regolamentata.
Perché, direte voi, dare tanta importanza a questi soloni antitabacco allorquando sono in gioco ben altre poste, forse la stessa sopravvivenza europea ? Perché le due cose sono strettamente connesse, probabilmente in maniera indissolubile, come andiamo a vedere.

Il caos oggi è moralista

Vietato fumare: pena un’ammenda e, soprattutto, una scomunica. Vietato rivolgere apprezzamenti ad una ragazza: pena una denuncia per molestie. Vietato utilizzare termini ritenuti dispregiativi quali cieco o zoppo (correttamente si dice non vedente o portatore di handicap deambulatorio…). Vietato chiamare negro un africano (lo si deve definire “uomo di colore” come se questa formula, oltretutto errata, non fosse molto più brutta ed offensiva), vecchio un anziano, straniero un extracomunitario. Vietato mettere in discussione qualsiasi dato storico, anche non comprovato, che sancisce la superiorità morale e spirituale della democrazia, dell’americanismo e dell’ebraismo. Vietato citare il termine indoeuropeo se non come attributo di un idioma. Al bando qualsiasi teoria antropologica evolutiva che non faccia procedere questo innominabile ceppo indoeuropeo dal medio oriente o dal continente africano. Non vietato, ma sconsigliato assai, criticare il fondamento giuridico, morale e culturale del predominio americano. Tutto vietato, o comunque irrigimentato, da un soffocante codice comportamentale a fondamento moralistico.
Che scaturisce in cosa ? Il cancro si espande a macchia d’olio come mai in passato, complici le grandi realizzazioni tecnologiche e l’utilizzo cinico delle risorse scientifiche, non solo in campo militare ma anche in quello farmaceutico. Gli stupri sono all’ordine del giorno, così come il disordine sessuale che non solo nulla ha a che fare con l’eros ma neppure  più è in grado di raggiungere il livello già di per sé avvilente e umiliante della pornografia. La pedofilia sembra essere divenuta il passatempo più gettonato per le classi dominanti annoiate. E basta dare una scorsa alla cronaca nera per scoprire che tra questi bastardi spiccano le presenze di miliardari, di politici e di preti. Il marcio è dunque nel sistema, nel suo cuore e nel suo cervello e si manifesta in ogni aspetto della vita quotidiana. Ovunque si guardi c’è soltanto dissoluzione: spirituale e mentale molto prima che morale.
La “civiltà” americanizzata che è il prodotto dell’onda lunga della vittoria della Seconda Guerra Mondiale da parte del Crimine Organizzato, oramai si fonda su due elementi opposti e complementari: è allo stesso tempo amorale e moralista.
Ovvero: si concede ogni licenza perché non ha misura, senso e coscienza, ma, per offrire al caos bruto e cieco, lasciato senza catene, una via di organizzazione e di sopravvivenza, si detta leggi comportamentali fondate sull’aspetto esteriore dell’ethos che, proprio perché dettate da preoccupazioni non interiorizzate, finiscono con l’espandersi e l’accentuarsi in termini parossistici. Da cui la specificità americana della jungla di cemento nella quale si uccide, si rapina, in cui l’economia si basa sulla truffa, il contratto sociale sul conflitto economico e giuridico eppoi si stroncano le carriere pubbliche per amorazzi extraconiugali consumati al di fuori di famiglie che stanno in piedi solo per la facciata ma che vanno difese, nel loro simulacro, in quanto il cemento formale dell’agglomerato d’oltreoceano è nientepopodimenoche “Dio, Patria e Famiglia”. Una mastodontica Mediaset.

Noi non siamo migliori degli americani

Intendiamoci: è giusto e doveroso prendersela con gli americani e con i loro lacchè, ma è del tutto insufficiente. Perché quando gli oligarchi nostrani che hanno originato il proprio potere dall’aver partecipato in qualche misura alla Resistenza, sostengono che gli yankees avrebbero liberato gli italiani dal Regime, non hanno completamente torto. Il Regime Fascista pretendeva dagli italiani che essi fossero integri, coerenti, consequenziali, onesti e disposti al sacrificio; ma esisteva anche un’altra Italia, cresciuta nei secoli in una cultura di servaggio, di furbizia e di interesse individuale, un’Italia disincantata, amorale e moralista. La medesima Italia che aveva provocato la rivolta sdegnata di Martin Lutero, quell’Italia guelfa e furbacchiotta che vendeva le indulgenze e la vita eterna in paradiso a chi fosse così ricco da comprarla e che aveva elevato al Soglio di Pietro un giovane che era stato fatto cardinale all’età di tredici anni e la cui elezione serviva a garantire il prosieguo di una cinica lottizzazione oligarchica. 1
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque: ci siamo già cascati e continueremo a cascarci.

Siamo anche peggio

Sintomatica è stata la recente reazione italiana all’aggressione militare all’Iraq. Vieppiù sintomatica in quanto, a coloro che poco viaggiano forse sembrerà poco credibile, ma è vero, il nostro atteggiamento nazionale è stato il più cinico, servile e vergognoso in assoluto. E, contrariamente a quanto sono andati ripetendo con sicumera Fini e Berlusconi, ci è costato tanto sia in termini politici che in termini di stima. Non si è trattato soltanto di una colpa governativa; perché se è vero, com’è vero, che il governo ha cauzionato il crimine americano in assoluta minoranza di consensi, altrettanto è accaduto in Turchia, in Spagna, in Portogallo e nella stessa Inghilterra. Ma se ci proviamo a sollevare il velo multicolore del pacifismo frocio che presso di noi si è contrapposto al filobellicismo servile, c’è da preoccuparsi.
Moralmente e spiritualmente i due schieramenti si equivalgono: per cinismo, per amoralità, per vigliaccheria. Gli uni e gli altri concordavano candidamente su di una formula, che poi è vera solo parzialmente, quella della “sporca guerra per il petrolio”. Ma poi è difficile stabilire chi fosse peggiore. Se coloro i quali, consapevoli che gli Stati Uniti stavano compiendo un’aggressione militare giuridicamente infondata, allo scopo esclusivo della rapina, ammiccavano e scodinzolavano caldamente compiaciuti di trovarsi nella scia e nelle grazie del prepotente, o quelli che, a differenza degli inglesi e dei turchi, tanto per dirne una,  non si opponevano al delitto americano per fierezza nazionale e per logica politica né lo facevano per il sincero sdegno degli uomini liberi ma per il timore delle possibili conseguenze che ne avrebbero potuto turbare la piatta quiete. Quella stessa dalla quale cercano di fuggire facendo uso di stupefacenti o abuso di fanciulli.

È l’ultimo uomo che detta legge

“Guardate ! Io vi mostro l’ ultimo uomo. ‘Che cos’è l’amore ? e la creazione ? e il desiderio ? Che cosa è una stella ?’ così chiede l’ultimo uomo, e ammicca.
La terra sarà allora divenuta piccina, e su di essa saltellerà l’ultimo uomo che rimpicciolisce ogni cosa. La sua razza è indistruttibile come quella della pulce; l’ultimo uomo vive più a lungo di tutti.
‘Noi abbiamo inventato la felicità’ – dicono gli ultimi uomini, e ammiccano.
Essi hanno abbandonato le contrade dove duro era vivere giacché si ha bisogno di calore. Si ama ancora il vicino e ci si stropiccia a lui: giacché si ha bisogno di calore. (…)
Si lavora ancora poiché il lavoro è uno svago. Ma si ha cura che lo svago non affatichi troppo.
Non si diviene più poveri o ricchi: entrambe queste cose sono troppo opprimenti. Chi vuole ancora regnare ? Chi ancora obbedire ? Entrambe queste cose sono troppo opprimenti.
Nessun pastore e un solo gregge ! Tutti vogliono la stessa cosa, tutti sono uguali: chi sente altrimenti va da sé al manicomio.
‘Una volta tutti erano pazzi’ dicono i più astuti, e ammiccano. (…)
‘Noi abbiamo inventato la felicità’, dicono, e ammiccano gli ultimi uomini”. 2
Nietzsche, che è sempre più attuale, lo aveva compreso pienamente. La nostra civiltà, ed in modo più accentuato quella delle società più decomposte (come l’americana) o pervase dalla cultura della crassa furbizia (come l’italiana) è la civiltà della “pulce che vive in gregge”.
Una pulce saltellante, ammiccante e longeva che ha a cuore unicamente il suo godimento (ma che non gode mai perché il desiderio stesso è l’impedimento del suo soddisfacimento). Una pulce che predilige vivere in gregge, ossia nel pieno livellamento collettivo, laddove sempre si vieta qualcosa ma soprattutto s’impone il comportamento da tenere. Nessuno deve recitare al di fuori del coro, o come cantava Gaber “ognuno canta come gli pare, ma tutti cantano come vuole la libertà”: ed eccoci così giunti al più raffinato dei comunismi.

L’alternativa è troppo fragile

Dunque ? Abbiamo ripetutamente sostenuto che le condizioni oggettive sono buone per un potenziale rivolgimento. Ci siamo soffermati negli ultimi due mesi sugli effetti della strategia liberticida dei nuovi potenti americani, i quali sono messianici, parvenus e millenaristi. In particolare sulla composizione, per una reazione quasi obbligata, di una potenza eurasiatica che si staglia tra le possibili varianti all’orizzonte. Ed abbiamo anche ravvisato quali sono, a nostro avviso, i grossi limiti di questa potenza potenziale: limiti che si riscontrano innanzitutto nella fragilità della sua base di massa.
Perché qui sta l’ironia della sorte: ci troviamo a un passo da uno scontro decisivo, epocale, forse addirittura da una terza guerra mondiale, ma il soggetto chiamato in causa è fragile, inconsistente. È quell’ultimo uomo, saltellante ed ammiccante come una pulce, che ci ha descritto con lungimiranza il grande poeta.
Il quale ultimo uomo, dovendo scegliere tra la strada gravosa dell’autodeterminazione e quella avvilente ma comoda della schiavitù, sceglie sicuramente quest’ultima. Egli, stupido individualmente quanto si voglia ma in possesso di quell’intelligenza collettiva di cui sono provvisti gli insetti, quella stessa intelligenza che garantisce la sopravvivenza preventiva delle specie non evolute, esige soprattutto la schiavitù per gli altri: il manicomio, la scomunica, la galera, la morte, per chi potrebbe scegliere l’altra strada ed obbligarlo così ad un confronto che non vuole assolutamente subire.
E così, in una società che è andata evolvendo verso il non sociale, e dunque il non politico, si fa sempre più strada la tendenza alla dittatura, alla liquidazione di ogni libertà e di ogni differenza, in nome, come sempre è accaduto laddove le élites erano false e corrotte (è il caso di farisei, guelfi, puritani) di una morale, che è l’idolo vuoto di se stessa. Una morale che si preoccupa innanzitutto e sempre di schiacciare la voce dell’uomo libero ed autocentrato, dell’uomo cioè indipendente e spiritualmente esemplare, che va sconfessato e inviato al rogo a qualunque costo perché, con il suo semplice  esistere, smaschera la cialtroneria di coloro che di morale e di sacro si riempiono la bocca. Di coloro che sono fantocci, burattini, che recitano una farsa, una parodia
Nel desio d’annientamento, nell’orrore dell’uomo in piedi, tutti i sacerdoti della mediocrità si assomigliano e si rivelano spietati.

Un passo indietro per non fallire la Nuova Sintesi

Se quanto abbiamo descritto è esatto, se quanto prevediamo è plausibile, da tutto ciò si evince che, politicamente, ci dobbiamo attendere due effetti uguali e contrari: lo sviluppo, almeno potenziale, di un’alternativa al predominio americano, se non altro grazie alle necessità di sopravvivenza degli interessi delle potenze minori, da una parte e l’aumento ovunque di misure liberticide, dall’altra.
Ai quali effetti se ne devono aggiungere altri collaterali e promettenti, quali: l’incremento della tendenza alla trasversalità ed il rimescolamento delle carte politiche ed ideologiche. Ovverosia le condizioni per il preambolo ad una Nuova Sintesi, ovvero all’emergere di quella che si potrebbe definire come una variante rivoluzionaria.
Ma qui subentra la necessità di approcciare la questione ad un altro livello.
Come non ci stanchiamo di ripetere da almeno tre anni, la conditio sine qua non per la fuoriuscita dal labirinto del delirio nel quale ci hanno costretti tutti quanti è la qualifica delle élites.
Una qualifica che, ci siamo sempre affannati a ripeterlo, deve essere onnicomprensiva: economica, finanziaria, comunicativa, e che deve volgere innanzitutto all’incidenza culturale nel senso più ampio del termine, al fine di imporre esempi esistenziali e sociali del tutto diversi da quelli centrifuganti oggi un auge.
Tutto questo, che è essenziale, e che è ben lungi non solo dall’essere realizzato ma anche dall’aver raggiunto premesse soddisfacenti (benché si debbano registrare notevoli progressi a macchia di leopardo) non basta affatto.
Perché si realizzi quella magia alchemica che ci piace definire Nuova Sintesi è necessario che una nazione possa contare, provenienti da più ambiti, di almeno diecimila unità d’élite. Tremila delle quali, perlomeno, devono emergere dalla nebulosa che si definisce Destra Radicale.
E qui ci troviamo alle prese con un nodo mai sciolto né reciso.

La Destra Radicale e i suoi simulacri valoriali

La nebulosa DR subisce infatti le medesime sollecitazioni, le stesse seduzioni, gli identici disorientamenti e gli eguali indotti della società nel suo insieme.
Sicché essa pure si trova ad essere, nel suo complesso, relativista ed amorale ma, poiché si pretende portatrice di un’alternativa etica e metafisica, sopperisce a questo vuoto con dei sostegni esterni (dal che si comprende il successo dell’integralismo religioso). Tutto è frattanto divenuto relativo: dalla lealtà alla schiettezza, dall’onore al tradimento. Si pretende che ogni mancanza seria, ogni espressione di viltà imperdonabile, sia analizzata di volta in volta, “presa nel contesto” come si suol dire. Chi, come noi, si è formato in tempi contrassegnati dalla tensione più alta ed intensa, nei quali ha appreso a distinguere tra l’accessorio, il formale (per il quale  è elastico) e l’essenziale (per il quale è intransigente e risoluto), ha perso la voglia di discutere e perfino quella di confrontarsi, avendo capito che le discriminanti non sono più oggettive o assolute, etiche o politiche, ma dipendono dagli affetti personali, dalle simpatie fra le persone. Tant’è che due individui che si amano perdutamente il martedì si odiano intensamente il mercoledì; chi è oggi il migliore di tutti, domani è peggior il nemico che si possa immaginare. Insomma, un’area che non ha ancora appreso a fare politica in aggiunta ha perso la bussola, sia nel senso dell’orientamento morale che in quello della padronanza dei nervi.
E quanto più le persone sono intimamente deboli e fragili, tanto più si riempiono la bocca di valori e di riferimenti morali e religiosi, che vengono ripetutamente invocati quasi a esorcizzare un vuoto.

Gli sbandieravalori

Come ci mostra ampiamente, e con eccezioni davvero rarissime, l’esperienza storica, sono proprio coloro che nominano i valori e che si aggrappano alla loro stereotipizzazione formale, i primi a non sentirli, gli ultimi in grado di viverli.
Quando ad esempio Corrado Guzzanti fa il verso a Berlusconi dicendo “Cavaliere, va bene il valore della famiglia: ma una, non quattro !” dice meno di quel che va detto. Perché il premier, che probabilmente nei valori retorici che sbandiera ci crede pure, è anche il principale vettore della cultura macinafamiglie delle soap operas e dei grandi spettacoli televisivi. Perché il “difensore della famiglia” è divorziato come lo era il paladino del “No al divorzio” quel Giorgio Almirante che scelse di modificare il lessico e l’immaginario del neofascismo traghettandolo dalla protesta sociale alla difesa moralistica.
Perché quando il MSI-AN si lanciò nella competizione elettorale sbandierando la moralizzazione della società, Repubblica replicò che aveva in lista il maggior numero di pregiudicati dell’intero arco partitico, condannati per truffe e assegni a vuoto.
Perché è sempre così. I Farisei che volevano la testa del Cristo parlavano in nome di valori morali e di modelli precostituiti e condannavano Colui che metteva in subbuglio ed in forse i loro equilibri mefitici ed il loro potere immorale. Così si comportò il Vaticano all’epoca del mercimonio delle indulgenze: e a ben guardare non ha mai del tutto abbandonato questo vizio.
Quegli Stati Uniti che regnano sulla truffa bancaria e borsistica, sulla violenza militare, sul cinismo più eloquente e conclamato, che si mantengono grazie al mercato della droga e degli schiavi, non a caso hanno alla loro testa dei fanatici religiosi e moralistici.
Quando la realtà è troppo brutta e violenta per sopportarla e sembra impossibile modificarla, l’uomo ha la tendenza a rifugiarsi nel virtuale, creandosi isole psichiche astratte nelle quali s’illude di vivere. Non è un’alternativa è una patologia.
Perché così facendo, evocando simulacri valoriali, ci s’illuderà pure di essere diversi e controcorrente ma si è, né più né meno, che ultimi uomini, pulci saltellanti come tutti gli altri, che come unica differenza rispetto ai comuni mortali si danno una parvenza di buona coscienza.

Unità imperiali

Ed è qui che va accolta la sfida o, se preferite, che va lanciata una provocazione.
“Datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo” disse Archimede. Allegoricamente questo concetto può essere esteso all’avvenire dell’uomo purché il fulcro sia individuato in una solidezza, in un’imperturbabile assialità interiore. Raddrizzando, cioè, i concetti capovolti; facendo prevalere il valore – che si percepisce, si sente e si esprime – sulla definizione valoriale, l’essenza sull’etichetta, la natura sulla teorizzazione. Perché se la denominazione del valore, come la tradizione farisaica e gesuitica insegnano, lascia sempre una via d’uscita al sofista, la legge interiore è invece sempre imperativa perché è “prima” e “più in profondo” dei concetti e delle parole, sicché non ammette interpretazioni e, dunque, diserzioni, flessioni o vie di salvezza. Pavolini docet.
Così, per intenderci, se si accetta di contrapporre al relativismo il trittico tornato in auge nella propaganda di destra “Dio-Patria-Famiglia”, ci si ritrova immediatamente in compagnia proprio con i principali promotori del relativismo e del caos (liberisti, conservatori, neoconservatori, Casa Bianca e Cosa Nostra), scoprendosi, nel migliore dei casi, impegnati con essi in una dialettica semantica e filosofica. Allorché invece, spogliandosi, disciplinandosi, uccidendosi per rinascere, si recupera la relazione diretta con se stessi, con il gene da cui e-ducare se stessi, si mettono in pratica, dunque in essere nel quotidiano  – e senza alcun bisogno di retorica – quei valori che, sia detto per inciso, non sono neppur sufficienti in sé, in quanto ad essi debbono aggiungersi quelli di tribu, di clan, di nazione e di persona se si vuole uscire dalla trappola individualistica e relativistica.
Un recupero per via dell’umiltà, dell’uccisione dell’ego borghese e dell’orgoglio individuale, dell’abbandono di ogni riflesso individualistico e relativistico, è la prima ed insopprimibile tappa verso un’ascesa, una rettifica. Verso la costituzione di un’élite che, com’è stato felicemente definito, deve essere composta di unità imperiali.

Le api e i fiori

Che altro dire ? Semplicemente che è necessario che alcuni siano disposti a riscriversi daccapo: nel modo d’intendere prima ancora che in quello di agire e di esprimersi.
A tre anni di distanza, torniamo a quello che per noi è l’insopprimibile punto di partenza: la necessità di ribaltare tutte le nostre finte certezze e di liberarci di tutti i riflessi condizionati, così come sostenevamo ne “Le api e i fiori”. 3  Sia chiaro: in quest’ottica servono volontà, disponibilità e coraggio e, sicuramente, diversi mesi di tempo per centrare il risultato minimo, quello della costituzione di un soggetto. Una parola, questa, che sottende la capacità di essere attivi e di compiere un atto. Qualcuno sa, o almeno ricorda, quello di cui stiamo parlando ?  Difficile sostenerlo all’indomani delle grandi opportunità offerte dalla crisi irachena e dal contrasto tra Europa ed Usa; opportunità davvero miracolose per la Destra Radicale che se le è però lasciate completamente sfuggire, dando mostra di un’indolenza, di una pigrizia e di un’inconsistenza così palesi dal rendere improponibile l’alibi della scarsezza di mezzi.
Ripartire dalle fondamenta: noi siamo disposti a cimentarci in quest’impresa, ce ne sono altri ? Chissà, il nostro è un sasso nello stagno. È una sfida, dicevamo, è una provocazione.


1    Si tratta di Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, orgogliosamente definito dagli omosessuali come “papa gay”
2    Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra,ed. Mursia, Milano, VI edizione, 1974, Cap. Il prologo di Zarathustra, pagg. 23 e 24
3    “Le api e i fiori”, marzo 2000, edizione “Documenti politici”, serie “Voltare pagina” è esaurito. Si trova ristampato all’interno de “Il pensiero armato”, luglio 2000, edizioni Quattrocinqueuno o si può scaricare in internet dal sito www.gabrieleadinolfi.it