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 Si tratta, ovviamente, di mera illusione, perché – messo a parte il valore intrinseco della percezione ciclica del ritorno – quest’ulteriore “avvio” non si discosta minimamente dal recente passato tranne che per il pacifico iato intercorso in località lacustri, alpine o balneari.
Ma, una volta rinvigorito fisicamente e mentalmente, al suo rientro ogni individuo sente la necessità di ripartire da zero, certo che, se non proprio il mondo, conquisterà almeno il suo posto al sole.
A chi abbia una vocazione politica (che per la verità è spesso soltanto un puro e semplice riflesso condizionato), questa stagione apporta puntualmente nuove speranze di cambiamenti positivi.
Cambiamenti positivi ?
Purtroppo chi si limita a concepire la politica nei modi consuetudinari, ovvero come manifestazione piazzaiola,  ma anche chi anela a sismi sociali che liberino la vita pubblica dal più totale appiattimento restituendo alla comunità nazionale la forza creatrice e civilizzatrice delle idee, da quest’autunno altro non può attendersi che lo spettacolo delle foglie ingiallite.
In era globale il mondo si è come appiattito in superficie, ragion per cui non è più possibile agirvi superficialmente né è lecito sperare che il quadro muti improvvisamente, per fiammate come negli anni Trenta o Sessanta. Dal che il comprensibile disagio delle aree che si vorrebbero antagoniste, tanto a destra quanto a sinistra, che hanno come caratteristica principale, direi quasi come marchio di fabbrica, proprio la superficialità.

Un immediato futuro così poco promettente.

A prima vista, di positivo non c’è gran che di buono da attendersi dall’immediato futuro.
Sul piano internazionale si prospetta l’intervento militare americano nella regione petrolifera irachena, collateralmente scandito con tutta probabilità da un ulteriore episodio del genocidio palestinese.
Su quello della libertà d’espressione è prevedibile un ulteriore giro di vite.
La messa fuori legge in Ispagna di Erri Batasuna, tanto per fare un esempio, sebbene, a differenza di altri, personalmente non ci ispiri alcun gemito ed anzi da un punto di vista di logica assoluta ci paia sensata, pure ci lascia perplessi riguardo gli effetti che, in piena corrispondenza con il nuovo verbo oligarchico, ci sembrano quelli del “severamente vietato rompere le scatole”.
Il fatto poi che quest’operazione sia avvenuta in assoluta concomitanza con l’accordo italo-francese che ha messo bruscamente fine al plurisecolare costume di rifugio politico transalpino ci dà ulteriormente da pensare.
Se aggiungiamo che l’attuale équipe governativa si è messa allegramente a demonizzare qualsiasi tipo d’opposizione, tanto che diviene almeno verbalmente un “terrorista” chiunque critica l’abolizione dell’articolo 18 o il regime duro nelle carceri, dobbiamo convenire che la tendenza non è certo quella del dibattito delle idee, della libertà d’espressione e, meno che meno, d’azione.
Ai nostri lettori forse questo interesserà meno, ma neppure la situazione economica sembra godere di ottima salute.
Le privatizzazioni in corso (di cui non dobbiamo far carico al governo attuale ma a tutta la classe politica degli ultimi 11 anni) inoltre ci promettono disagi, sperperi e persino disastri incalcolabili, almeno nei settori dei trasporti e della sanità.
E che dire della politica migratoria ? È stato compiuto il capolavoro di far firmare da Bossi e Fini, ovvero dagli esponenti duri, quasi reale l’uno, completamente fittizio l’altro, della coalizione al governo, una sanatoria così larga e così invitante che parrebbe concepita dal partito socialista belga.
Non c’è allora niente da fare, niente da attendersi ? Dobbiamo dedicarci alle letture ?
Magari, se si sapessero scegliere le letture adeguate e, soprattutto metterle a frutto successivamente.

Nulla da fare. Superficialmente.

In superficie, oggi come oggi, non c’è in ogni caso niente di fattibile, tranne il recitare pietosamente e stancamente il personaggio consunto di noi stessi o un po’ più sensatamente concedere ai giovani di fare qualche passerella dignitosa per le strade del Bel Paese.
Attenzione comunque a non eccedere in superficialità ed in masochismo dando ulteriore prova di quell’epidemia di meningite che sembra essersi diffusa nelle residuali sacche estreme e che tanto inquietante e manifesta emerge nei forum di discussione specializzati di internet. Chi abbia avuto la sventura di visitarli sa bene di cosa parliamo e non può non rendersi conto del senso di vergogna che provoca la semplice idea di essere in qualche modo confusi con quei logorroici, deliranti, incolti ed arroganti che animano le discussioni on line. I quali sarebbero soggetti perfetti per qualsiasi tipo di provocazione demenziale se avessero quel minimo di vitalità e di capacità operativa che, grazie al cielo, manca del tutto alle larve. Ma che le rende comunque potenzialmente pericolose dandoci al contempo la sensazione collettiva di essere tutti in pericolo. Senza avere, come contraltare, alcuna prospettiva di progressione politica.
Insomma il quadro dà i brividi e ci conferma non c’è nulla da fare. Superficialmente.
In profondità, nella concretezza, nella solidità, c’è invece molto che si può realizzare ed anche le prospettive generali, se viste con uno sguardo clinico, penetrante e costruttivo, diventano interessanti, tanto che possiamo sostenere che oggi ci offrono un potenziale notevole.
A patto, però, di effettuare una vera e propria mutazione antropologica, nel modo di guardare, nel comportamento e nella concezione stessa delle cose.

Un altro sguardo, stavolta fiducioso.

Cominciamo dal modo di guardare.
In questa pubblicazione ci siamo dilungati per oltre un anno sugli scenari potenziali che si stagliano all’orizzonte identificando larghi spazi d’azione. Il punto centrale della nostra tesi è stata però la constatazione che, come effetto della sopravvenuta rivoluzione oligarchica, da un quarto di secolo a questa parte la storia marcia a due velocità.
Chi non ne sia protagonista la vive ai piani inferiori, la subisce, ed ha l’impressione fallace dell’immutabilità stagnante del presente non rendendosi conto di quei mutamenti radicali e bruschi che puntualmente intervengono.
Se si ragiona, e si finisce quindi con l’operare, da protagonisti e non come spettatori inaciditi che si cullano all’idea, assolutamente soggettiva ed irreale, di essere degli antagonisti irriducibili, si può allora trovare la propria collocazione nella realtà quotidiana ed insieme ad essa anche una reale capacità d’incidenza.
Su queste basi ed in quest’ottica abbiamo anche  elencato le rivoluzioni succedutesi in circa tre decenni sul piano sociale, economico, culturale e geo-politico ed abbiamo altresì provato ad identificare le forze conflittuali, le linee di crisi o di frattura che emergono oggi nello scenario internazionale e che possono aprire la via ad una nuova Europa, imperiale e sociale. Possono, sia chiaro, non debbono.
Abbiamo insistito sul fatto che la politica odierna sia un fatto di pochi, compiuto tra pochi e che, per poter in qualche modo intervenire nei destini futuri è necessario:
a)    esprimere un’élite che sia in grado di cogliere in anticipo, in profondità e soprattutto nelle sfumature, le dinamiche in atto e quelle in potenza
b)    formare un’avanguardia onnicomprensiva capace di interagire con le avanguardie trans-nazionali non necessariamente affini ma comunque convergenti sul tema centrale di risorgenza europea.
Abbiamo quindi definito che la priorità assoluta sta nella qualificazione dell’élite o dell’avanguardia chiarendo come e perché quest’ultima non possa assolutamente esimersi dalla connessione continua, spontanea, reale e piena, con il tessuto sociale in quanto non deve diventare un’oligarchia supplementare bensì l’alternativa valida e rettificatrice alla cultura ed alla gestione oligarchica, la quale è fondata obbligatoriamente sul disprezzo e sullo sfruttamento dell’uomo.
E va rilevato che proprio nei mesi estivi sullo scacchiere internazionale è infuriata la battaglia tra oligarchie fatta di omicidi, attentati, mastodontiche manovre finanziarie, accordi trans-nazionali. Le opportunità europee sono così improvvisamente cresciute aprendo, quindi, più di una strada che si può percorrere.
Guardando altrimenti c’è dunque di che essere ottimisti già da questo autunno.

Costituiamo un sistema di comunicazione.

Il problema sta appunto nel riuscire a guardare altrimenti.
È proprio in questa prospettiva e su questa filosofia che abbiamo impostato l’università estiva 2002 tenutasi in agosto a Rieti, su cui ci dilunghiamo nell’apposito servizio.
Strutturare era la parola d’ordine della manifestazione, un concetto ampiamente qualificato dalla frase nietzscheana. “non è intorno a chi fa grande strepito ma a chi crea nuovi valori che silenziosamente gira il mondo”.
Sicché, sulla base delle esperienze compiute nel precedente anno solare, si è posto l’accento sulle strutture economiche, di volontariato, di militia memoriale, di metapolitica e di comunicazione che ci hanno concesso di interagire con la società, i media e le istituzioni senza piegarci a regole altrui e senza incasellarci in quadri sterili e preconfezionati, il che ci avrebbe resi succubi delle logiche di asservimento che immancabilmente conseguono ad ogni inquadramento forzato.
Abbiamo sviscerato il valore, il significato e la finalità di questo sistema metapolitico e parapolitico sottolineando l’importanza che esso assume in una concezione a rete, dinamica ed attualizzata.
Abbiamo così posto l’accento sulle prospettive che si aprono ma, soprattutto, sulla necessità di porre rimedio a quella che tuttora è una delle principali carenze che ci contraddistingue:  l’incapacità cronica di utilizzo della comunicazione.
E come priorità tra le priorità, abbiamo identificato proprio la necessità di istituire un sistema comunicativo, abbandonando quel difetto duplice e complementare che contraddistingue il nostro modo di dialogare che, quando non annovera esclusivamente degli utenti passivi che si limitano ad abbeverarsi delle sentenze emesse da qualche autorità riconosciuta, si manifesta distorcendosi scompostamente sugli effetti del libero sfogo dato alle improvvisazioni degli imbecilli privi di senso critico e di buon gusto (e qui torniamo ai forum che di sfoghi beceri e obbrobriosi si nutrono in sovrabbondanza quando non addirittura nella loro totalità).
Per cominciare abbiamo dunque invitato tutti ad una collaborazione reale, la quale si manifesta in formulazione delle idee (ovvero articoli, tesi e proposte), ma anche nell’attivazione di una rete di distribuzione (nel senso che ognuno – ANCHE TU - deve smetterla di considerarsi come un terminale per concepirsi invece come uno snodo attivo, come un distributore vero e proprio, fosse anche soltanto nei confronti di poche unità) e nell’individuazione nel più vasto raggio del proprio entourage di ulteriori collaboratori e distributori.
Un invito, questo, che è stato recepito a Rieti e che allarghiamo a tutti i lettori che non erano presenti.

Il senso dell’università d’estate.

L’idea che abbiamo sviluppato è stata dunque quella di strutturarsi, di comunicare, di approfondire, di agire nel concreto, avendo come mira l’istituzione progressiva di un’avanguardia qualificata.
Obiettivo: il passaggio concettuale e fattuale dai margini alla centralità.
A Rieti perciò non si è battuto sulla grancassa, non si è parlato di Palestina, di Iraq o di valori ideali, di passato epico, di futuro fulgido, di gloria, di pericolo, di lotta; e non sono state avanzate nemmeno proposte politiche tout court.
E qui diviene opportuno sgombrare il campo da equivoci o confusioni prevedibili.
Non si è contrapposto un modo di agire ad un altro, né si è detto che l’azione politica consueta, fatta di sedi, manifesti e manifestazioni, debba essere completamente cestinata per cedere il posto ad un impegno più gravoso e più opaco fatto di sacrifici silenti e di scarse emozioni primarie.
Si è affermato - si badi bene, non sulla base della teoria pura ma su quella del bilancio attivo di quanto si era compiuto nei mesi precedenti – che è necessario, prioritario, primordiale, puntare alla sostanza ed alla profondità. Che è indispensabile identificare il sistema di relazioni, di forze, di reazioni psicologiche e comportamentali attraverso il quale è possibile far circolare messaggi e valori e, soprattutto, trasformarli in fatti ed in atti. Che è fondamentale riconoscere gli snodi strategici della politica e della comunicazione nel mondo globalizzato, sì da potervi intervenire politicamente, cosa che, a certi livelli, è tutt’altro che impossibile. Che è tempo di risolvere gli equivoci, di rendersi conto che vettori classici, come i partiti, specie quelli istituzionali, non hanno la medesima funzione e gli stessi spazi politici di qualche tempo addietro.
Che l’unico soggetto politico efficace è solo e soltanto la minoranza organizzata, autonoma, libera ed autosufficiente che può interagire con i filtri mediatici e politici solo se si trova in condizioni di  piena libertà ed al riparo di qualsiasi subordinazione e di ogni possibilità di corruzione (per estrazione morale ma anche perché abbastanza ricca da non poter essere comprata o resa socialmente ed economicamente dipendente).
Si è, pertanto, insistito sulla concezione politica che deve essere necessariamente dinamica, prospettica e solidamente autocentrata.
Rispetto alla politica consuetudinaria si è quindi esposta una rete di alternative integrative e di potenziamento. Non si è posto un aut aut, semmai un et et. D’altronde all’università estiva non erano presenti solamente dei circoli intellettuali o metapolitici ma soprattutto dei militanti e non solo di gruppi locali indipendenti ed isolati ma di realtà nazionali, che vanno dalla base sociale e giovanile di AN, a Rivolta Ideale a Forza Nuova fino a qualche unità sporadica della sempre più inerte e destrutturata Fiamma Tricolore.

Qualche conferma dalla Francia.

Soprattutto costoro mordono giustamente il freno e si attendono qualcosa al più presto.
Già, ma cosa ?
Il prossimo autunno sarà probabilmente contrassegnato dall’opposizione velenosa e ridicola di una sinistra davvero sinistra ad un governo che non governa ma si limita ad applicare qualche direttiva obbligata.
In seguito le attenzioni di tutti saranno completamente catturate dalla tragica farsa americano-irachena e dalla consueta tragedia palestinese.
Essere coinvolti in tutto ciò non è motivante: al di là dei legittimi sentimenti è quantomeno sterile, roba da foglie morte.
Sull’altro piano, laddove la storia marcia ad un’altra velocità, non possiamo essere attivi perché non siamo ancora – ammesso che lo saremo mai – in grado di contare, fosse anche il peso di una piuma.
Eppure a quel livello, laddove si fa la storia reale, c’è più di una felice prospettiva. In Francia, che è Paese assai particolare per storia, cultura, tradizione, politica e posizione, alcuni dei temi che andiamo dibattendo vengono approfonditi con particolare calore. È per questa ragione che abbiamo scelto di pubblicare due interventi di un certo peso specifico perché provenienti da uno dei rappresentanti della destra radical-nazionale, Eddy Marsan, e da uno degli scrittori specializzati in geopolitica e nell’analisi della politica estera gollista, Jean Parvulescu. Essi portano ulteriore acqua al nostro principale mulino: l’ottimismo nazionalrivoluzionario europeo.
E ci lasciano guardare fiduciosamente all’avvenire immediato. Confermandoci però nella convinzione che soltanto intervenendo, interagendo, svolgeremo un ruolo effettivo durante l’arco di quest’altra grande scommessa.

La sintesi socialnazionale del futuro.

Il che, francamente, benché sia quasi proibitivo non basta ad accontentare il nostro palato.
L’Europa nazione, neutrale, capitalista, sazia e decadente, ci interessa ben poco, soltanto come uno stato di passaggio eventuale: non può dunque farci vibrare sul serio.
Ma c’è una prospettiva integrativa. Da tempo andiamo ripetendo che non esiste novità creatrice e di portata rivoluzionaria se non vi è Sintesi tra opposti. Gli opposti chiamati a sintesi dalla dinamica globalizzatrice sono l’effetto di espansione (Europa o Mondialismo diviene perciò davvero la questione centrale del prossimo futuro) e quello di localizzazione.
La localizzazione se letta e realizzata in connessione ad una vocazione imperiale con l’idea di Europa, diviene a sua volta l’elemento rettificatore e garante dell’unità europea.
Ma c’è di più: a nostro avviso il medesimo duplice effetto compensatorio di espansione e di frammentazione si applica ai destini immediati dello stesso capitalismo.
Il che da un lato comporta: concentrazione delle ricchezze, bolla economica, speculazione, usurpazione dei diritti e delle istituzioni, vampirizzazione globale con conseguente crisi sempre più acuta della media industria e dell’iniziativa imprenditoriale.
Dall’altro lato significa però: riqualificazione del lavoro, specie di quello manuale e riconoscimento obbligato della necessità e dell’utilità della cooperazione solidale.
Alla super-ricchezza, in buona parte astratta, del Supercapitale privo di sede e di frontiere si contrapporrà per compensazione una ricchezza sociale e spartana che emergerà dal matrimonio luogo-lavoro.
Localizzazione può così significare non soltanto folclore ed angusta autonomia amministrativa ma anche emancipazione economica e sociale in un nuovo contesto culturale, libero ed autonomo, fondato sulla sintesi tra i concetti cooperativo, corporativo, etnoculturale e microtradizionale.
È, questa, una via di sviluppo sicuramente possibile che va, ovviamente, in una direzione che non può non apparirci gradita e promettente. Per la quale non soltanto ci pare opportuno attrezzarci ma che dobbiamo addirittura precorrere, realizzare in anticipo sapendo non soltanto che lo possiamo fare davvero ma che forse siamo gli unici naturalmente predisposti a farlo.

Morale della favola.

Questa è perciò la morale, sia del nostro articolo che dell’UdE reatina. Frementi di collera per le ingiustizie continue, per l’ipocrisia, la prevaricazione, la diffamazione di cui di volta in volta sono vittime neofascisti e demonizzati vari, popolazioni latinoamericane, palestinesi o bimbi iracheni, è giusto sfogare la propria indignazione, replicare al predominio della menzogna puntando il proprio indice accusatore e sventolando le proprie bandiere.
Va però detto che se fino a qualche tempo fa ci saremmo limitatati ad incollerirci per l’Argentina prostrata dall’Fmi, stavolta la nostra ira ha dato luogo all’invio di containers di pasta e di latte in polvere.
Sicuramente è poco ma la differenza, sostanziale, sta nel fatto che si è partecipato realmente al dramma transatlantico  e non più virtualmente come da nostro inveterato difetto.
Si è trattato di qualcosa di più di un semplice passetto in avanti; quel che è stato compiuto è indice di trasformazione verso la concretezza, anche a discapito della visibilità.
Dal virtuale al reale deve infatti essere il nostro imperativo di mutazione.
Perché in un mondo illusorio, fantasmagorico, volatile ed effimero, chi sia reale, chi possieda le immagini ed interpreti i simboli, chi sia sveglio nel sonnambulismo, costui finalmente può.
Ogni tempo ha le sue leggi, chi le conosce e le applica è un uomo libero, chi le subisce è schiavo.
E cosa dicono queste leggi ? Che l’apparenza in questo frangente appartiene al mondo dell’illusione, della precarietà, della non continuità. Per chi voglia davvero agire, oggi l’opaco prevale obbligatoriamente sul brillante, il sostanziale sul formale.
E, soprattutto, è più tempo di sudore che non di sangue. C’è poco romanticismo in tutto ciò ma c’è comunque una certa dose di eroismo.
Per il sudore, come per il sangue, servono umiltà, disciplina, misura, rispetto e capacità di comportarsi; cose che per molti sarebbero vere e proprie conquiste perché, figli di una cultura stolida e presuntuosa, i più sono sciatti e stupidini, o più probabilmente  fanno di tutto per sembrarlo per corrispondere alle consuetudini dell’epoca.
Trasformarsi dunque così, in milites disciplinati, umili, concreti, intransigenti si, ma solo con se stessi, deve essere inteso come impegno primario.
Essere e non apparire non è solamente un imperativo etico ed esistenziale, un obiettivo comunque difficile da raggiungere, ma è l’unica possibilità per confrontarsi con la realtà oltre le falene, i bagliori effimeri, le fate morgane e per tracciare il solco di una rifondazione con tutti i crismi.