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 Abbiamo deciso di affrontare queste questioni nodali da tre diverse angolazioni.
Cercheremo di chiarire:
-    perché a quasi tutti esse sfuggano
-    quali prospettive positive comportino
-    quali rischi esse adducano.
Per facilitare la lettura abbiamo preferito suddividere le esposizioni in tre parti.




1. Il re è nudo.




Una sorta di irrealtà onirica ci dà oggi l’illusione di vivere in una dimensione solida ed immutabile.
E’ però di un’illusione che si tratta, perché la realtà muta invece giorno per giorno e tutto è precario: dai sentimenti ai metri valoriali, dagli equilibri sociali alla salute, dall’ambiente all’alimentazione.
Ma l’uomo dell’occidente sovrasviluppato, chiuso in una comoda cella dalle pareti eteree, consuma una sorta di overdose di pseudo-immortalità, celebrando un’autoaffermazione effimera e virtuale.
Benché sia preda di ipertensione (oggi la chiamano stress) come mai era avvenuto in precedenza, malgrado abbia ben poco da difendere – anche la sfera affettiva e quella famigliare sono per lo più vissute con un misto di superficialità e di nevrosi – l’individuo contemporaneo rifiuta di fronteggiare le e rinuncia anche a formulare sogni e persino ad esprimere il pensiero.
Probabilmente mai prima d’ora una civiltà aveva messo al bando l’idea della morte, relegandola in un dimenticatoio. Questo atteggiamento la dice lunga sul senso profondo della psiche collettiva che vuole esorcizzare due fantasmi: il vuoto ed il terrore.
Fragile, nevrotico, informe perché non formato, frantumato in una massa senza volto, ridotto al rango di individuo, sperduto, privo di orizzonti e di modelli reali, l’uomo di oggi tutto vuole meno che affrontare prove, chiede di sottrarsi alla cruda realtà e pretende, come ammoniva Pirandello, di rivestire gli ignudi perché la nudità lo spaventa.
Infelice, egli vive la felicità per procura attraverso la sua rappresentazione.
Psicolabile, egli vive la serenità per procura attraverso la rassicurazione che tutto andrà bene.
Che il cancro, l’aids, la rinata tubercolosi, le mutazioni climatiche, l’avvelenamento alimentare, la follia omicida, l’imbarbarimento, l’assenza di Auctoritas, la delinquenziale ignoranza e mancanza di scrupoli e di criteri delle classi dirigenti sempre più avventuristiche ed incompetenti e la vacanza di Idee forti non avranno ragione del suo paradiso artificiale tramutandolo, anche fisicamente, in un inferno.

Questa premessa non va a compiacimento degli scenari apocalittici né a sottolineare la demenza collettiva. La quale ultima sembra piuttosto una comune misura di autodifesa che viene presa per fronteggiare l’ampiezza di un disastro esistenziale altrimenti impossibile da sopportare senza una profonda mutazione interiore che solo una particolare tensione ideale potrebbe provocare.
Ci siamo soffermati su quest’inquadratura perché fosse più chiara la ragione per cui quel di cui andiamo a trattare, ovvero le profonde mutazioni politiche in atto – con tutte le loro implicazioni, anche devastanti – non vengono dai più percepite.

E’ comune convinzione che la civiltà sia giunta ad una sorta di punto di arrivo, che un Sistema mastodontico e tentacolare si sia eretto sulle rovine della storia (della quale il politologo Fukuyama qualche tempo fa era giunto addirittura a teorizzare la fine) e che ci sia poco o nulla da cambiare, ma solo da apportare alcuni ritocchi, qualche mano di vernice.
Quest’impressione ci viene quotidianamente suffragata dai toni della battaglia politica istituzionale che si basa sulla sfida scenografica tra personaggi di celluloide o tutt’al più sulla contrapposizione di immagini valoriali (ovverosia di rappresentazioni estetiche di valori) ma non comporta più progettualità economiche, trasformazioni sociali, mobilitazioni passionali o alternative esistenziali.
Una specie di inerzia sociopolitica trionfa in tutto l’Occidente.
Ma quest’inerzia è fittizia come tutte le rappresentazioni dell’uomo contemporaneo perché in realtà molte dinamiche sono in atto, viviamo epoche di rivoluzionamenti e di trasformazioni profonde ma l’individuo, socialmente scollato e politicamente subalterno nei confronti di altre realtà, quali le oligarchie o le lobbies, non vuole saperne. E’ soprattutto per questo che non si sente parlare delle grandi questioni che sono sul tavolo, per un pavore collettivo erede di un’incorreggibile prudenza contadina, e non per un Complotto di malvagi onnipotenti…

Abbiamo vissuto delle rivoluzioni

Nell’ultimo mezzo secolo siamo stati protagonisti, spettatori  e vittime di una serie di trasformazioni politiche, sociali e comportamentali come mai in precedenza si erano registrate.
Gli anni ’50 furono contrassegnati dalla Guerra Fredda, dalle crociate ideologiche e dal moralismo; tutto questo però durò poco. I Sessanta registrarono infatti un impulso di rinnovamento, la comune vocazione di riprendersi in mano il destino in un risorto antropocentrismo; politicamente, quel decennio fu scandito dall’idea della conquista dello Stato tanto da parte delle destre che delle sinistre le quali ultime vinsero poi il confronto e diedero così la loro interpretazione ideologica alle spinte generazionali colorandole di individualismo e varando addirittura una religione dei diritti che demonizzava l’idea del dovere. Socialmente si passò da un modello familiare classico, di tipo patriarcale o patriarcale, ad uno individualistico e contrattuale, economicamente ci spostammo dalla società del risparmio a quella del consumo e dell’inflazione. Il debito divenne indice di ricchezza reale: una vera e propria rivoluzione.
Il decennio successivo conobbe il rischio del tracollo finanziario di tutto l’occidente e contrassegnò una rifondazione capitalista che fu al contempo transnazionale, tecnocratica, culturale e finanziaria. Le assi portanti di questa trasformazione furono due: innanzitutto l’alleanza strutturale tra capitalismo occidentale e partiti comunisti e, più importante ancora, il varo del narcodollaro come unità di ricchezza ed ancora di salvezza dell’economia occidentale.
Dal punto di vista sociologico registrammo una spinta velocissima  verso l’atomizzazione in un contesto di recessione economica. Gli ultimi fuochi della partecipazione popolare e giovanile si ebbero così in un quadro repentinamente allucinato. Il cinismo, la mancanza di etica, la logica di banda dei corpi operativi, provocatori e repressivi ai quali fu delegato il compito di smobilitare e di sgominare le estreme, grazie all’impunità di cui godettero produssero il terrorismo (di Stato, di Loggia o di Lobby) per cui l’opposizione fu incanalata a fortiori nel vicolo cieco della disperazione armata o della reazione armata o dell’affermazione assoluta armi alla mano, a seconda dei protagonisti. E fu il tramonto delle partecipazioni popolari alla politica.
Gli anni Ottanta furono difatti quelli dell’opulenza ovattata, del trimalchionismo tangentista, dell’edonismo distratto ed insaziabile, del conformismo qualunquista.
Il decennio successivo fu a sua volta contrassegnato da una congerie di eventi rilevanti: la nascita sia pur embrionale dell’Europa, la fine del bi-polarismo mondiale, il fallimento del comunismo, la trasformazione delle strategie militari americane, le tensioni tra Usa ed Israele, lo smantellamento delle classi politiche occidentali, e specificatamente italiane, la guerra violenta alla Mafia, la nascita del bi-polarismo italiano con tutte le modifiche politiche e  metapolitiche che ne conseguirono.
Perché ci sfuggono gli eventi e non
capiamo le possibilità che ci si presentano

Indubbiamente una serie di trasformazioni profonde, con le quali però si è adusi convivere senza prenderne coscienza per via di una patologia collettiva che è l’effetto della scissione dell’uomo individualizzato e cloroformizzato.
Come in una sorta di orwellismo raffinato – nel quale egli stesso è in realtà il suo proprio Grande Fratello – l’uomo dei nostri giorni ama che la storia sia continuamente azzerata, sicché insieme a quella memoria che lo imbarazzerebbe finisce col perdere di converso anche ogni prospettiva e, dunque, l’idea del domani.
Tutto dunque è percepito come un eterno presente e ci dà un’artificiale e fasulla impressione d’immutabilità.
Chi non sa, non è capace, non ha i mezzi, non ha le predisposizioni o non ha le condizioni per incidere sulla società, vive in una dimensione lillipuziana, rigorosamente sottovetro, come i minuscoli abitanti di Krypto nei fumetti di Superman, o meglio di Nembo Kid come lo chiamavamo noi.
La memoria sfuma e da essa viene così cancellata, volontariamente, ogni cosa; tutto quanto è avvenuto anche solo un attimo prima viene così riposto in un cassetto adibito alle fotografie ingiallite. Quanto parevano lontani solo nel 1985 i momenti della lotta armata che pure si era conclusa da appena due anni, quanto distanti parvero agli Italiani Craxi e Formica solo pochi mesi dopo la loro eliminazione politica… E chi ricorda Segni o Leoluca Orlando ? O Felipe Gonzalez o lo stesso Gorbaciov ?
Chi ricorda più l’imperialismo comunista ed il blocco sovietico ? Chi ha davvero ritenuto nel cuore e nella testa la caduta del Muro di Berlino e l’unificazione della Germania, due eventi mitici che per le generazioni precedenti avevano rappresentato un sogno che sembrava destinato ad essere utopia ?
Tutto scivola nel dimenticatoio, sicché l’uomo si autoipnotizza e rifiuta di prendere atto dell’assoluta normalità con la quale sopporta qualsiasi scenario: dagli attentati sanguinosi che si tenevano alla cadenza di cinque al giorno, alla corruzione quotidiana, dall’apocalisse alimentare agli omicidi seriali, dai parricidi agli infanticidi.
Un cinismo rassegnato epperò condito da un sensazionalismo da falsa indignazione aleggia come una calotta plumbea sulla società attuale. La quale finge di farsi carico di tutte le piaghe e di trionfarne rimuovendole in una specie di subconscio collettivo.
Il sentimento pubblico e la realtà virtuale – che si fa però reale perché agisce sulle coscienze e sui neuroni – sono contrassegnati, dunque, da una pacifica aspirazione alla staticità, alla cloroformizzazione, all’immobilità che, contrabbandate come un punto di arrivo raggiunto ed impossibile da alterare, ingannano di converso tutti gli aspiranti oppositori i quali credono che tutto sia inutile e predefinito. Che si sia in qualche modo alla fine della storia o perlomeno in un momento di lunga stasi.
Invece, come avviene nelle coscienze scisse e malate, la società moderna agisce, o meglio si lascia agire, sub-consciamente e metabolizza con sorprendente rapidità le trasformazioni anche notevoli che accompagna in una specie di dormiveglia.

La politica è divenuta un fatto
di oligarchie e di élites.

Quel che si è interrotto non è, difatti, la storia e neppure la politica ma è la partecipazione popolare alla politica che fu greca, romana, ghibellina, socialista e fascista.
La democratizzazione ha di fatto accompagnato un accentramento del potere decisionale nelle mani di oligarchie di vario tipo. La partecipazione collettiva ha subito una devianza ai limiti dello stupro, passando dalla sfera della politica a quella del consumo. Nelle zone privilegiate del sistema capitalista si assiste ad una compartecipazione al benessere effimero che si accompagna ad un imbarbarimento dei valori, dei costumi e persino del linguaggio.
La pulzella violentata ci ha preso indiscutibilmente gusto e procede nel suo costante degrado facendo però finta di essere virtuosa. Sicché il cittadino dei nostri giorni, educato o meglio ancora addestrato alla mistica dei diritti individuali, si pretende importante e centrale quando è, e soprattutto sa di essere, del tutto periferico rispetto ai luoghi decisionali che determinano la qualità della sua esistenza.
Nel ritenersi importante il cittadino, che non vuole ammettere di essere ridivenuto suddito, recita e mente.

Non dobbiamo allora farci condizionare dalle apparenze. L’azione politica si sviluppa, oggi, su vettori diversi e distinti: il potere reale, il sottopotere, la cultura e l’opinione pubblica: per ognuno di essi esistono linguaggi, forme e metodi diversi.
Quel che viene veicolato a livello di massa non corrisponde necessariamente alla realtà conosciuta dagli iniziati e dagli addetti ai lavori ma è dettato dalle necessità scenografiche che devono coniugare la tranquillità sociale e la legge dell’audiomat. Sicché non è soltanto la forma di rappresentazione ma è spesso lo stesso argomento che viene rappresentato a non avere un’importanza centrale. Le motivazioni che dettano l’informazione pubblica, così come gli stessi temi degli scontri politici quotidiani, rispondono infatti ad uno scopo preciso: fare spettacolo senza turbare la finta tranquillità della gente.
I messaggi non sono perciò che frammentari e superficiali, gli scenari politici vengono toccati di sfuggita e non se ne ha uno spaccato reale; nei fatti essi sono molto diversi da quelli che comunemente si immagina ed i principali protagonisti sono immensamente diversi dalla rappresentazione che ce ne si fa,  ivi compresi da quei gruppi occulti che taluni  dipingono con una miscela di sensazionalismo  e di fantasia primitiva.
Fatto tesoro di queste premesse bisogna convenire che è oggi impossibile un’azione politica che prescinda dalla presa d’atto di una realtà pluridimensionale e dall’acquisizione di una capacità operativa di grande spessore e di alta qualità se si vuole far fronte alle oligarchie avverse in epoca di decisionismo e di post-democrazia.
Sono, oggi, soltanto le minoranze qualificate – e dotate di metodologia più ancora che di mezzi – ad intervenire in politica; tutti gli altri fanno da spettatori, da comparse o da capri espiatori.
L’errore che più comunemente compiono gli oppositori è quello di confondere, sic et simpliciter, l’aspetto mediatico  con la realtà totale, ricavandone l’impressione di un grigiore melmoso.
La conseguente tentazione in cui incorrono quasi tutti i microsoggetti radicali di risvegliare e di mobilitare l’opinione pubblica per mezzo di richiami valoriali è per forza di cosa velleitaria e dà risultati nulli o modesti perché si fonda su di un duplice errore: non si riconoscono i reali terreni di scontro (e quindi non vi si partecipa concretamente) e si attribuisce alla gente tanto una capacità decisionale invece smarrita quanto una volontà di determinare il proprio destino che essa oggi non ha.
Il tutto può subire modifiche solo se se ne  ha piena coscienza e se l’azione si fa onnicomprensiva, pluridimensionale e oculata.