La finanziaria ci spoglia e molti non arrivano a fine mese senza stringere la cinghia e contrarre debiti cui non potranno far fronte mai. Il lavoro è precario e siamo impossibilitati a progettare un domani. Il sistema mondiale, pur di garantire i suoi politraffici criminali (armi, petrolio, droga e schiavi) non esita a portare disastro, guerre tribali e religiose in ogni angolo del mondo. La società è disarticolata; le sue sacche meno fortunate sono minacciate dallo sfratto, dalla fame e dalla guerra fra poveri nata dall'immigrazione, effetto compensatorio in casa nostra del sistema di sfruttamento multinazionale in casa altrui. I beni comuni vengono espropriati arbitrariamente da piccoli gruppi di affaristi mediante le cosiddette privatizzazioni. Ragion per cui paghiamo a dei ladri che sembrano credersi sostituti di dei, l'acqua, l'aria, il nostro spazio abitativo. Non vi è ragione per farlo, ma lo pretendono e lo facciamo.
Nulla sembra avere senso e tutto, proprio tutto, ci minaccia seriamente.
E noi oggi di che ci preoccupiamo? Di decidere dell'agonia dei malati terminali e di batterci pro o contro i pacs!
La teologia delle inezie
Certo, si può comprendere. In assenza di un'alternativa culturale e sociale anche minima ci si rifugia nei fondamentalismi ideologici, nelle psico-rigidità, e ci si scanna “teologicamente” per le inezie visto che non si sa proprio cosa fare per affrontare le faccende importanti. E allora ecco che rispondiamo a comando alla scatola magica e ci posizioniamo con toni accesi per cose che ci riguardano, se ci riguardano, in misura irrisoria e marginale.
Eppure se fermassimo il tempo, se ci elevassimo dal mondo, se ci astraessimo un istante e riuscissimo a guardarci dall'alto, se ragionassimo un istante a mente fredda, non potremmo che ridere di noi.
Siamo nei guai, andiamo verso il baratro, non abbiamo uno straccio di soluzione e, anziché concentrarci sull'essenziale ci distraiamo e, distraendoci, starnazziamo come oche.
Come ci si può smarrire in un derby idologico fra fondamentalisti che si occupano solo di stabilire cosa imporre e cosa vietare al prossimo? Come si può mobilitare quel minimo di forze residue che dovrebbero servirci per rispondere alle minacce concrete e quotidiane, solo per gioire delle agonie o per parlare di chiappe? Dov'è l'avanguardia? Dov'è finito il buon senso? Dove sono andate le cellule grige?
Come si può pretendere che una società decrepita, marcia, sbandata, priva di entusiasmo, nichilisticamente passiva, sia “minacciata” dai pacs? Suvvia, un po' di serietà! O come si può, all'inverso, sostenere che le libertà individuali (quali poi, quelle di essere sempre più conformi anche nelle eccezioni?) siano la risposta per costruire il domani? Suvvia, andate a sentire cosa ha da dirvi Paolo Poli!
Come si può, insomma, accettare di giocare agli opposti estremismi degli emarginati invece di concentrarsi per portare la sfida ovunque al fine di riconquistare la sovranità popolare nelle cose che riguardano tutti?
Una presa di posizione ha senso
Intendiamoci, anche le questioni dell'eutanasia, della ricerca biologica, dei pacs, meritano una presa di posizione. Magari non così categorica come lo pretendono gli accecati da indottrinamento, ma sensata, calibrata. È giusto che vi sia dibattito. Il problema è che oggi non c'è alcun dibattito ma una pura e semplice contrapposizione fanatica tra clero laico del Solve e clero ecclesiale del Coagula. E, nella contrapposizione accesa fra questi signori, gli uni e gli altri improntati alla psico-rigidità, non solo si smarrisce il buon senso ma passa in secondo piano tutto il resto: le questioni essenziali che ci toccano tutti, seriamente, da vicino, e di cui non si sente parlare più.
Da oltre un anno assistiamo alla crociata incrociata fra teologi che si occupano di dettagli e intanto non si parla più di guerra o di pace, di lavoro o di casa, di partecipazione o di privatizzazione, di clima o di finanza, di immigrazione (eppure è passata una legge che comporterà disastri sociali imminenti di ampia portata). Si parla di Welby e di pacs.
Se ne parla con toni eccessivi e senza cognizione di causa. Inoltre, trattando questi argomenti, si finge di parlare di questioni di fondo, che ci riguardano tutti, quando, invece, sono fenomeni che toccano direttamente strettissime minoranze il cui destino, per carità, è cosa che in una certa misura interessa anche noi. Ma del destino di tutti non si occupa più nessuno.
I pacs
Si può, in subordine gerarchico rispetto alle questioni nodali che sono ben altre, avere un parere sui pacs. Personalmente sono più contrario che favorevole. Non per le ragioni abitualmente addotte ché il tema, anche questo, è completamente distorto e falsato. Tant'è che i pacs vengono spacciati per matrimoni omosessuali mentre in paesi che li hanno adottati, come la Francia, le coppie eterosessuali che vi fanno ricorso sono innumerevoli.
Sono contrario perché aumentano la de-responsabilizzazione (è per questo che vengono preferiti ai matrimoni civili). Meglio sarebbe se i divorzi venissero pronunciati con celerità.
Sono contrario anche perché rappresentano l'escamotage per permettere ai musulmani che ne abbiano le risorse economiche di regolarizzare in maniera surrettizia la poligamia. Non che io sia avverso per partito preso alla poligamia ma sono nemico dell'ipocrisia: si decida per legge se la si accetta o se la si rifiuta, non la si recuperi di sguincio!
Sono infine contrario perché i pacs nascono sotto il segno del compromesso fra l'individualismo liberal e il moralismo reazionario e tendono a far conformismo banalizzando - e matriarcalizzando - ogni trasgressione.
L'altra opposizione
L'altra opposizione ai pacs, quella dettata dal fanatismo conservatore e confessionale, è priva di fondamento. Lo è per tante ragioni. Innanzitutto perché i pacs non minacciano affatto la famiglia. Un tema terroristico analogo fu già adottato ai tempi del divorzio, ma fu giustamente replicato ai Tartufe di turno che a divorziare erano le famiglie già sfasciate non quelle salde; oggi i pacs non sostituiscono il matrimonio, riguardano persone che non lo contraggono, è un'altra cosa.
Poi “difesa della famiglia” cosa vuol dire? La famiglia nei secoli è cambiata decine di volte (anche nel bimillennio cristiano), sia come composizione che come cultura, che come rapporto con la terra e la società. La famiglia di oggi poi è abbastanza minata, come lo è tutto l'occidente del resto. In Italia hanno luogo più assassinii tra le mura domestiche che ad opera dei malviventi, e questo la dice lunga. Quale famiglia dovremmo difendere? E da chi?
Si finge, quando ci si schiera in questo genere di retroguardie, di ignorare che quel che si vuol difendere altro non è che il rudere di una costruzione crollata sulle proprie fondamenta. Se ne può chiamare responsabile il terremoto, la bufera o le termiti (che è quel che fa da sempre il pensiero controrivoluzionario) ma quel che conta è che si deve sgombrare l'area e ricostruire daccapo, qualcosa di nuovo; con leggi geometriche e architetturali, ma ex novo.
Chi fa quadrato su sabbie mobili anziché dedicarsi a indirizzare le forze per realizzare cose concrete (liberazione di spazi, occupazioni di case, creazione di proprietà sociali, rivoluzioni culturali) di fatto diserta la lotta e chiama gli altri a disertare nell'inerzia e nella sovraeccitazione.
I temi apocalitici tipici dell'immaginario da setta danno poi l'illusione, a chi se ne nutre, di combattere uno scontro di civiltà o di fare politica, cosa che nella realtà non avviene affatto.
La facessero finita!
La piantassero con questo clima da scontro di civiltà! La facessero finita con questa lettura sclerotica e “teologica” del mondo! Se ne andassero a quel paese clericali e radicali e lasciassero che le cose vengano viste con occhi innocenti, senza pregiudizi fuorvianti! Sarebbe il primo passo necessario per recuperare al reale, al creativo, al vivificante quelli che sono insofferenti di questo sistema social-culturale ma che, indottrinati jehowianamente, passano il tempo a urlare al vento senza più guardarsi attorno se non allo scopo di trovare nevroticamente conforto alle singole patologie.
Li liberassero delle loro predicazioni e delle loro indicazioni fuorvianti e stupidificanti: se ne andassero una buona volta accettando la sentenza dl bilancio fallimentare che li accomuna, gli uni e gli altri.
Allora, forse, si potrà tornare a parlare, seriamente, di natura, finanza, lavoro, casa, pace, guerra, schiavitù, nazione, libertà. Allora, forse, si potrà tornare a pensare al domani.
Oggi non ci resta che piangere; o che ridere se ne abbiamo la forza.