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 Se i “pacsisti” sono completamente fuori strada perché in nome di presunti “diritti” individualistici, relativisti, atomizzati, disorganici, pretendono di ottenere vantaggi dalla società (ovvero dall’unità dei “socii”, gli alleati…) alla quale non danno nulla, le tesi per le quali i clerical/conservatori s’oppongono ai contratti civili di matrimonio sono altrettanto discutibili.
Essi ci dicono che la classe politica vuol disintegrare la famiglia e che la difesa della famiglia è fondamentale.
Nulla di più giusto, in apparenza. Ma nulla di più sbagliato, individualistico, disorganico nella realtà.
La famiglia non è un “valore” in sé quando sia disgiunta dal senso di appartenenza, di missione, di comunitas; quando non abbia il senso dei Lari, dei discendenti, dell’organicità. Né lo acquista minimamente nel trittico – monco assai – con Dio e Patria. Se mancano l’idea di Clan, di Tribu, di Nazione e di Persona, sempre nel relativismo disorganico si permane e sempre nell’individualismo mammistico - il cui inno non a caso  recita “tengo famiglia” - ci s’impantana.
Da quando la famiglia è diventata un luogo di protezione antropologica (ovvero dai tempi della democristiana “famiglia cristiana”) nella quale e per la quale si diserta dalla lotta, dall’impegno, dall’eroismo, dal sacrificio di sé, ogni famiglia è un pacs. Così come ogni rapporto politico (anche quelli tra le dirigenze delle formazioni radicali) sono contratti basati sulla medesima filosofia che sotende i pacs.
L’iconografia della famiglia, che si vorrebbe preservare dall’idea delle unioni civili atipiche oggi è più che mai quella delle Erica, delle mamme di Cogne e di chi più ne ha più ne metta. Su “questa” famiglia non si può fare quadrato, è come farlo sulle sabbie mobili.
A queste condizioni in  questo spirito, seguendo coloro che hanno disintegrato la nostra Nazione (e la componente “cattolica” è, in questo, almeno altrettanto colpevole di quella comunista) non ci si può opporre ai pacs. Tutto è pacs!
Ci si può e ci si deve contrapporre invece compiendo una rivoluzione culturale ed esistenziale, totale e rigettando indietro le ipocrisie dei moralisti.
Tra fronte progressista e reazione serve la Terza Posizione. Altrimenti l’uno o l’altro pari sono. E allora a che vale accapigliarsi perché prevalga questa o quella schifezza? In ogni caso, come insegna l’esperienza, non si fa che accelerare la disintegrazione: in particolare quando ci s’illude di opporvisi sulla base della difesa di valori concettuali che non sono reinvestanti e attualizzati, fattivamente, alla luce dei Principi.