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In mezzo a mele marce

La Sperling & Kupfer va al sodo: volume rilegato male per risparmio di spesa con fogli che si sfilacciano immediatamente, collana diretta dal rampante Telese e, ciliegina sulla torta, nel retrocopertina quest’agghiacciante descrizione del libro: “tutto quello che è successo nella galassia della destra italiana da Il sangue dei vinti a Cuori Neri”. Come dire che le due operazioni commerciali in salsa democrista rappresenterebbero i suggelli narrativamente corretti di un mondo che certa gente vorrebbe far sparire e dimenticare.
E che il piano stia riuscendo fino ad attecchire in un’area che non ha più dirigenze adeguate lo comprovano tutte le piroette ideologiche e identitarie che vanno in scena ripetutamente. Non ci riferiamo solo ad AN ma soprattutto a chi si situa al suo fianco destro dove è vittima della progressiva avanzata di tesi controrivoluzionarie. A furia di abbassare la guardia di fronte agli ammiccamenti che da una ventina d’anni provengono da alcune confraternite, sempre più spesso qualcuno pressappochista o dalle idee confuse, pur ostentando paradossalmente una simbologia fascista, si propone invece come un’Azione Cattolica degli anni Cinquanta.
Che si sia in presenza di una  libido di s-fascistizzazione è talmente chiaro che, come in genere avviene per tutto quel che è palese, solo in pochi se ne avvedono e ancor meno sono quelli che ne capiscono la portata.
Invece non solo bisognerebbe saper leggere gli slogan e capire il lessico politico (e quindi pretendere la correzione di ogni espressione d’estrema destra che vada nel senso della s-fascistizzazione) ma anche saper distinguere le letture, comprendere cosa muove gli autori,  quali vanno sostenuti e quali no.
Se Telese e Pansa sono indiscutibilmente uomini che operano, oltre che per interesse personale, anche e soprattutto in una strategia democristiana, senza porsi minimamente il problema della mistificazione, Tassinari e Rao, pur provenendo da due percorsi diversi, sono invece spinti da attrazione reale per qualcosa che intendono esprimere com’era (e come in parte ancora è) e non invece per neutralizzarlo.

Il funerale del Comandante

La vita è buffa. Il libro di Rao inizia con il capitolo più toccante, travolgente, trascinante: quello dedicato al funerale di Peppe Dimitri. Ora, guarda caso, proprio il commento di quella vicenda fornì l’occasione per la peggior espressione di bassezza d’animo del curatore della collana, Telese.
Ma Rao non è sulla lunghezza d’onda del suo curatore, non è un borghese qualunque attratto dal piacere della mollezza e non scrive per esporre una tesi: entra nell’opera. In modo intero, assoluto, lo fa in quel capitolo che s’intitola “Un funerale per il neofascismo” ma che sarebbe stato più corretto denominare “Un funerale per una generazione guerriera” perché è quella generazione – la mia – che è stata sepolta in quel giorno con un rito vichingo.
Non aggiungerò altro su quel capitolo che è riuscito a farmi commuovere di nuovo: dico che,  fosse anche solo per quelle pagine, il libro merita di essere letto.
Ma non è solo per questo che vale. Come in “Neofascisti” Rao ci ripropone sessant’anni di storie e di pulsioni. Lo fa ricorrendo a testimonianze dirette il che, ovviamente, non è esente da rischi, perché le memorie raccolte a posteriori sono spesso oggetto di possibili rivisitazioni soggettive anche inconsce.
Diverso è quando si riesce a fornire un documento d’epoca: è il caso, che si trova in appendice al capitolo dedicato all’ “autonomia nera”, del diario di Emanuela da cui scaturiscono con esattezza dei sentimenti che allora erano veramente condivisi fra cui anche l’esatta valutazione della lotta armata che la penna di una sedicenne riuscì a rendere semplice pur conservandone l’enorme complessità.

Oltre le soggettività

Rischi di soggettività? Ad esempio per  la parte su Terza Posizione Rao si concentra su  una vecchia testimonianza di Marcello De Angelis che però, qualche imprecisione a parte (ad esempio l’affermazione che vedessimo bene Gheddafi non è vera) e malgrado qualche interpretazione soggettiva (“non ci sentivamo più fascisti” non è di certo esatto) rende bene l’idea anche se indugia un po’ troppo su tratti d’amarcord intimistico.
Sempre riguardo TP Rao riporta estratti di articoli e di documenti politici che rendono in buona parte l’idea del Movimento. Anche se a mio avviso l’accento posto sul fattore internazionale ha fatto passare un po’ troppo in secondo piano l’altro pregio di TP: l’essere riuscita ad essere protagonista della rivolta generazionale e fortemente ancorata, in modo concreto, nel sociale. E non avrebbe guastato anche uno studio su quello che TP rappresentò poi nella maturazione ideologica della destra radicale.
Ma tutto sommato il capitolo va bene così e se tanto mi dà tanto è probabile che anche per i brani che riguardano il passato i percorsi a volo d’uccello siano globalmente riusciti.

Sessant’anni di storie parallele

Dal 1946 al 2006 si snoda la matassa di tante storie parallele: quella trasformista, quella reazionaria, quella intransigente, quella tradizionalista, quella social/rivoluzionaria. E si dipana il filo della vitalità fascista in neofascismo, feconda in particolare con il terzaforzismo e il Mito dell’Europa da Anfuso a Jeune Europe passando per il monumentale Adriano Romualdi fino ad esplorare gli avamposti più irrequieti: frediani e appunto terzaposizionisti.
Una storia sessantennale fatta di convivenze fra diverse istanze ma nella quale storia il gene più fertile non cessò di generare. Ed ora proprio quel gene si vorrebbe estirpare riducendo l’eredità di quel sessantennio soltanto al trasformismo e alla reazione. Persino del tradizionalismo viene proposta dai più esclusivamente la sua scimmia conformista moralista e in molti casi confessionale. Insomma il terreno sembra fertile e i tempi appaiono maturi perché quel che non riuscì neppure alla destra badogliana avvenga oggi per l’operato di individui tanto esterni che interni all’area che godono di un prestigio gonfiato e di notevoli appoggi proprio per l’operazione che stanno consumando
Ci troviamo insomma in presenza di una vera e propria mistificazione generalizzata.

L’Omega e l’Alfa

Questa compressione mortifera non è però l’intento di Rao e anzi, non sappiamo se consapevole o spinto da un’ispirazione irrazionale, egli si rifiuta di fare del suo libro un de profundis.
Tant’è che se “la fiamma e la celtica” inizia con un Omega (appunto “Il funerale del neofascismo”) si chiude inaspettatamente con un’Alfa  (“I centri sociali di destra. Casa Pound e lo squadrismo mediatico”). Un capitolo nel quale Nicola Rao sottolinea come sia proprio il fascismo delle origini ad animare le componenti più dinamiche, innovatrici e d’impatto dei nostri giorni. Il gene, quindi, è vivo.
Anche per questa conclusione implicita vale la pena di leggere “La fiamma e la celtica” che, alla faccia di più d’uno,  non rappresenta la storia di due simboli che stanno per essere inghiottiti, sia verso il centro che verso la destra, da scudi crociati di diverso stile. Sono simboli che vivono e che generano ancora dopo aver sventato per decenni sia il tentativo di mistificarli che quello di estirparli.
Il tentativo oggi si fa più serrato e viene da tutte le direzioni, ma noi, come ha potuto notare Nicola, siamo maledettamente testardi.