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L’opera del Martinelli è meritevole assai. Raccogliendo una serie di dati che devono essere il frutto di un lavoro d’équipe, il regista ci dimostra (è la parola esatta) che le BR durante il sequestro Moro furono manovrate, fiancheggiate e sostenute dai servizi segreti tramite il comun denominatore della P2.
Ci comprova che Mario Moretti fu un “capo anomalo” legatissimo ai servizi. Ci ribadisce che la sua ascesa fu provocata da un blitz che decapitò le Br dai suoi capi idealisti e spontanei (Curcio e Franceschini). Non ci parla dell’esecuzione dell’altro capo spontaneo, Mara Cagol, ma va bene comunque anche così.
Va oltre: si spinge a Parigi intorno alla famigerata scuola di lingue Hypérion che ci afferma essere stata la più importante antenna della Cia specializzata nel sostenere il terrorismo nei paesi occidentali. (Ma ignora evidentemente la presenza di almeno altre due centrali  operative site in Svizzera e a Praga). Nemmeno lì, ancora, si arena la ricostruzione scabrosa. A Parigi il Procuratore Capo incontra un super/agente definito “Entità” che gli svela che il terrorismo loro lo hanno addirittura messo al mondo.
Qui però manca il salto di qualità al Martinelli. La sua trovata scenica di rappresentarci la verità in modo diverso a seconda del livello dal quale lo si guarda (ragion per cui dal primo piano si ha una visione limitata rispetto a quelli superiori) si blocca al penultimo piano se non addirittura al terzultimo.
Quel che ignora il Martinelli (eppure emerge chiaro da molti atti processuali) è non solo che questa “Entità” non è un individuo ma un supergruppo (definito dai brigatisti come “superclan”) ma che questo “buco nero del terrorismo” (parole, mi pare, di Franceschini) non risponde alla Cia ma ad un organismo che potremmo definire suo cugino. Ma qui il Martinelli non vede la soluzione e si avvolge di nuovo su se stesso abboccando all’ultimo depistaggio: Moro sarebbe stato ucciso per la logica di Yalta e per impedire ai comunisti di andare al governo. Questo luogo comune è difficile da scalfire ma è del tutto falso. Abbiamo una serie di documenti ufficiali, di testimonianze e di confessioni da parte dei protagonisti che attestano l’esatto contrario. La Cia, in particolare ha sempre visto di buon occhio la partecipazione del PCI al governo, giungendo persino a proporla già nel lontano 1964. C’è di più: i pidduisti che Martinelli indica come i depistatori che impedirono un esito felice dei tentativi di liberare Moro erano stati nominati dall’esperto comunista del tempo Ugo Pecchioli.
Si noti, in particolare, la presenza alla testa del comitato di crisi del Sismi del generale Santovito (uno dei Pecchioli’s men) il quale si farà luce in seguito per i depistaggi sulla strage di Bologna. Imboccato (o comunque benedetto) dai massimi rappresentanti continentali dei falchi sionisti, in collaborazione con il colonnello Belmonte. Un depistaggio (sui Nar e Terza Posizione) confezionato già tre settimane prima della strage e ordito, evidentemente, in preparazione della medesima. La quale ebbe almeno tre motivi scatenanti:
-          mascherare Ustica e i rischi di coinvolgimento penale dell’aviazione israeliana per l’abbattimento per errore del DC9 dell’Itavia sui cieli siciliani.
-          Innescare una serie di attentati (seguiranno Monaco e Parigi) che spianeranno la strada ai sostenitori dell’invasione israeliana del Libano
-          Concludere l’operazione di disarticolazione della politica sovrana italiana in Medio Oriente facendo fuori en passant l’ultimo residuo garante di una politica sovranistica presente nei servizi militari (il colonnello Giovannone) e permettendo, grazie al duo Spadolini – Pertini la realizzazione di una vera e propria dittatura massonica e pro-israeliana.
Ma qui stiamo andando avanti nel tempo. Soffermandoci a Moro e alla notevole ricostruzione del Martinelli dobbiamo dire che a quest’ultimo è mancata l’interpretazione cui era invece giunto il senatore Pellegrino nel suo operato alla testa della Commissione Stragi. Il senatore si è invece reso conto che la logica est-ovest (quella di Yalta) era oramai desueta e che tutta la (de)stabilizzazione internazionale si svolgeva su di un altro asse (già nord-sud) avendo come perno, posta e attore principale lo Stato d’Israele. Questo a partire dalla Guerra dei Sei Giorni (giugno 1967). Se s’ignora questa realtà fondamentale non è possibile risalire con chiarezza alla strategia della tensione e ai misteri che hanno sconvolto l’Italia – e non solo l’Italia – proprio a partire da quella data.
È così che si spiega, allora, la mancanza di attenzione alla relazione strettissima che intercorse a lungo fra Mario Moretti e il Mossad (servizio segreto israeliano) nonché il passaggio mancante nella ricostruzione dell’esecuzione di Moro. “È stato ucciso a pochi passi da via Castani” ci dice il giudice Saracini/Sutherland. Già: ma dove? Qualcuno ha risposto, qualcuno che ha puntato i riflettori su di un “direttore d’orchestra”; un “grande vecchio” che rispondeva a logiche incomprensibili secondo gli schemi di Yalta. Elementari nell’altra chiave di lettura. Su tutto questo mi dilungo nel mio “Quel domani che ci appartenne” di prossima pubblicazione con la Società Editrice Brabarossa.
Sarei felice se da qui si partisse per fare il punto sulle manipolazioni, le distorsioni, le infiltrazioni, le tragedie che hanno coinvolto la mia generazione di combattenti e se la si smettesse, a destra e a sinistra, di menare il can per l’aia ricostruendo farraginosamente la realtà di allora in una lettura sempre e solo pro domo Sauronia.