Gli Usa intanto, un po’ complici, un po’ impotenti, stanno a guardare. Due considerazioni uguali e contrarie si fanno strada nell’amministrazione americana. La linea neo-imperiale di kissingeriana ispirazione vorrebbe veder prevalere una certa stabilità in Medio Oriente e detta la linea di condotta: contrapporre Peres a Sharon e proseguire nei negoziati di pace; ovviamente cedendo ai Palestinesi il meno possibile. L’altra linea, quella imperialista di Huntington, ma anche di Cheney e di Luttwark, è ben felice dell’instabilità medio-orientale e dell’avanzata dei falchi sionisti.
Lo stesso Presidente Bush sembra oscillare. Dovrebbe avere a cuore la linea neo-imperiale della Trilateral ma il caos in Medio Oriente ha fatto lievitare i prezzi del petrolio e con ciò i suoi dividendi familiari. Inoltre la loggia Wasp di cui fa parte, la Skull & Bones, predica la teoria del dominio nell’instabilità.
Insomma alla Casa Bianca prevale l’atteggiamento di stare a guardare: prima verranno i danni e poi, eventualmente, si penserà a ripararli.
Il mondo, dal canto suo, è alla finestra. I Paesi arabi non amano la Palestina. Spesso la strumentalizzano, come è il caso degli integralisti filo-iraniani. Le comunità ebraiche sono divise. In Usa Sharon è apprezzato limitatamente dai suoi correligionari ed in Francia è addirittura osteggiato.
Tuttavia le comunità ebraiche sono atavicamente oppresse dalle minoranze sioniste e non sono in grado di esprimere pienamente il senso delle loro perplessità.
L’Unione Europea è un ectoplasma: abbozza una linea politica intelligente, prestigiosa, ambiziosa e di notevole caratura ma non è in condizioni di applicarla né di proporla credibilmente.
Palestina a parte, proprio l’Europa rischia di essere vittima della crisi medio-orientale.
Gli Usa, infatti, hanno delineato l’ipotesi di ricorrere al petrolio russo lasciandoci alle prese con quello arabo, rincarato. Intanto, dietro le pieghe della guerra palestinese e dell’operazione afgana, hanno compiuto un vero e proprio giro di valzer.
Gli Israeliani, privati di notevoli interessi illeciti in Afghanistan, saranno indennizzati con l’ingresso negli oleodotti del Caucaso a discapito dei Russi.
La tenaglia energetica che ci inchioderà si accompagnerà al clima di tensione artatamente alimentato grazie alla promozione, diretta ed indiretta, degli integralismi religiosi volti a contrapporsi nel mediterraneo settentrionale e nell’area balcanica.
Il caos, insomma, sembra sotto controllo e destinato a favorire una volta di più l’imperialismo americano e le oligarchie al potere.
Così è se si analizza freddamente, con occhio cinico, distaccato, in un’ottica strategica.
C’è però anche il rovescio della medaglia.
Il sistematico genocidio dei Palestinesi non sembra aver ragione della loro tenacia, la questione medio-orientale è tutt’altro che risolta e non è escluso che Israele sia giunto ad un tornante dal quale partirebbe quel declino che i suoi governanti cercano di evitare disperatamente da oltre trent’anni.
Il modello multiculturale laggiù sta mostrando la sua debolezza intrinseca e la sua improponibilità.
E ciò avviene mentre, dall’altra parte dell’oceano, il Fondo Monetario ha ampiamente dimostrato che conduce alla bancarotta anche le nazioni più floride. Costringendole, prima o poi, a rimboccarsi le maniche e, dunque, a intraprendere strade nuove, o forse antiche ma rinnovate.
Come dobbiamo interpretare tutto ciò ? La stabilità nel caos, come suggerisce la teoria Wasp, o piuttosto il caos e l’instabilità ?