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Dietro la questione cecena

Molte sono le partite che si giocano in Palestina.

Il futuro dello Stato d’Israele, la sopravvivenza fisica del popolo palestinese,  quella di un’area araba nazionalista e laica, la prevalenza di una dottrina internazionale di tipo neo-imperiale o il riaffermarsi di quella di tipo imperialista.

Vi si gioca anche buona parte del futuro europeo e italiano nonché il possibile nascere di una guerra di religioni.

A prescindere, dunque, da quanto avviene concretamente in Palestina, molte centrali strategiche, operative, inquinanti, sono all’opera per la gestione politica della guerra di Sharon.

Ai falchi, e ai loro complici, farebbe tremendamente comodo un diffuso sentimento antisemita.

Questo permetterebbe loro non soltanto la coesione definitiva delle oligarchie americane intorno al progetto forsennato del premier israeliano ma, soprattutto, di far serrare le fila alle comunità ebraiche internazionali, sempre più divise e scettiche.

Sicché da alcuni mesi molto si muove per alimentare l’antisemitismo in Europa.

Parallelamente, ed in molti casi ad opera degli stessi ambienti filo-sionisti, è in atto una nuova tendenza. Favorire si l’antisemitismo, o presunto tale, ma collegandolo con l’antiglobalismo, con l’emarginazione politica e, perché no, con i rigurgiti terroristici.

Ovvero: fare di tutto un minestrone in modo da renderlo strumentalizzabile, strumentalizzato e sterile.

L’estrema sinistra ci sta cadendo con tutte le scarpe.

L’area di estrema destra, o meglio, la nebulosa indecifrabile di destroradical provenienza è, una volta di più fuori dai giochi.

S’indigna, ovviamente, perché i media più teneri verso di essa (ma che con essa nulla hanno da condividere) come Il Giornale o Libero, hanno preso posizioni vergognose di vera e propria apologia del genocidio e inoltre si sentono frustrati perché la difesa dei diritti dei più deboli è ancora una volta appannaggio di RC e dei Centri Sociali, facendo il paio con l’antiglobalizzazione, tema, questo, che viene ritenuto scippato all’elaborazione dell’estrema destra.

Fermo restando che le celebrazioni piazzaiole rivestono, oggi come oggi, un valore che si aggira intorno allo zero, possiamo dire che la nebulosa di provenienza DR ha torto a rammaricarsi.

Una volta tanto, infatti, la sua inconsistenza politica la pone al riparo dal fornire al disegno filo-sionista un’arma formidabile.

Essa è ritenuta antisemita a priori, nemica di Israele non per ragioni umane, sociali, politiche, culturali, ma per preconcetto. Parzialmente vero o completamente falso che sia, questo assioma è, sic et simpliciter, credibile, accettabile ed universalmente accettato. Pertanto le sfilate in difesa del popolo martoriato, in parallelo con le organizzazioni nazionalistiche palestinesi e con le sinistre estreme occidentali, aiuterebbero al contempo la criminalizzazione della Destra Radicale e della causa filo-palestinese.

Il sostegno, che verrebbe sicuramente definito neonazista, ad Arafat o, qualora prevalesse la ben più probabile miopia, ad Hamas e alla Djiad, sarebbe  proprio un bel servizio fornito alla causa palestinese…

Ma poiché l’impegno politico si riduce, oggi, a sfilare come  tifosi con bandiere, keffie o quant’altro, tutto sommato è meglio seguire lo scontro in televisione: almeno non faremo squalificare il campo.

Preso tristemente atto di ciò, questo dovrebbe perlomeno stimolarci a riflettere sulle cause della nostra inconsistenza, sulle metodologie e le meccaniche necessarie per un’azione politica, sul come si può assurgere a soggetto articolato ed incidente liberandoci dai riflessi condizionati che ci imbrigliano e ci paralizzano e ci rendono, tra l’altro, infrequentabili, appestati e conduttori di handicap.

Ma questo è un altro discorso. Lo stiamo facendo da tempo e anche con qualche risultato; ci troviamo però attualmente ancora molto al di qua dallo stadio del soggetto politico.

Limitiamoci, dunque, a tifare Palestina e speriamo che vinca anche per noi.