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Soros Style

 

Il governo Prodi va velocemente verso il modello di sviluppo Soros-Style.
Dallo “ius soli” alle liberalizzazioni selvagge, dai divieti delle più basilari manifestazioni politiche al servilismo “illuminato” nei confronti del capitalismo occidentale e dei gendarmi del mondo, dall’uso e l’abuso delle macchine repressive all’occupazione golpistica di ogni luogo di potere, esso avanza a rullo compressore.
Non è “l’altra faccia” del liberismo berlusconiano, è “la” faccia del potere globale, oligarchico e uniformante. Il che è importante capire e sottolineare.
La “ristrutturazione” europea ebbe come cavia il nostro paese fin dagli inizi degli anni settanta. Dalla caduta del Muro in poi, il nostro paese inteso come laboratorio d’avanguardia fu offerto a tecnocrati e oligarchi cosmopoliti con il sostegno dell’apparato militare comunista.
Chi garantisce il governo Prodi, lo foraggia e gli dà le direttive sa bene quello che fa. Che la nostra nazione sia destinata a subire disastri sociali, economici, culturali, etnici, ideali, di ampia portata, se non è addirittura certo, è sicuramente molto probabile. Non si vede cosa e chi potrebbe effettivamente porre freno al rullo compressore.
Non esiste un’opposizione, nemmeno moderata e formale, quindi non si può sperare in un cambio di rotta o in una frenata efficace.
Nemmeno è immaginabile una forte opposizione popolare contro il governo. Le logiche della comunicazione, l’attuale quadro sociologico non aiutano affatto. Né si va da nessuna parte se chi dovrebbe avere delle “idee forti” si trova all’estrema sinistra (ovvero tra gli emarginati e gli epurati del rigurgito leninista filogovernativo) o all’estrema destra. Né i programmi, né i simboli, né il linguaggio, né la conoscenza del terreno permettono ad alcuna di queste persistenze residuali di idee forti del passato di tramutarsi in avanguardie con un colpo di bacchetta magica.

L’asino che casca


Bisognerebbe approdare ad una consapevolezza, che non dovrebbe restare teorica ma farsi a sua volta motrice di innovazioni antropologiche e politiche. La consapevolezza che, di fronte alla macina che oggi procede con targa Prodi non è possibile difendersi (ovvero rispondere da reazionari) ma non è nemmeno possibile offendere (ovvero opporre una soluzione di gestione politica nazionale credibile).
Si deve compiere un’azione di difesa, opposizione, lotta e rifondazione insieme, una vera e propria alchimia che si basi, soprattutto, sulla conquista, la salvaguardia e l’allargamento del concetto delle autonomie (locali, sociali, categoriali ecc) fino a giungere a costituirne un armonico sistema. Ma per far questo si devono innanzitutto recuperare le categorie del politico e poi si deve costituire una dirigenza frutto di selezione quotidiana e lontana anni luce dai paradigmi pigri e desueti che conosciamo.

E qui casca l’asino. Casca a sinistra dove solo il lucido Scalzone è vox clamans in deserto e l’abbrutimento teologico/ideologico sta contrassegnando la regressione psichica e politica dell’estrema a ruoli di marginalità ghettizzata.

Casca alla D.R. dove, dopo aver dimostrato tutta l’incapacità, l’inconsistenza e l’incoerenza politica possibile nella scorsa tornata elettorale, i partiti sono alla disperata ricerca di un’identità e di una linea. Cosa che, di per sé sarebbe buona e giusta se la si smettesse di uscire dal virtuale e ci si dedicasse una buona volta alle categorie del reale. Purtroppo questo lo fanno davvero in pochi e sono subissati dal peso delle vetrine in cui si rinchiudono tutti i diversi manichini tricolori.

 

Sull’orlo della schizofrenia

 

Questa smania d’identità porta a stilare programmi spesso distanti tra loro anni luce e praticamente inconciliabili. Come è certamente il caso del manifesto di Forza Nuova 2006 rispetto a quello di Polaris 2004 che in molti si sono affrettati a metter a confronto.

C’è un abisso ma questo non sembra sconcertare molte persone.
C’è parecchia gente che riesce a seguire entrambi i programmi (e ad adeguarsi ad essi) come se nulla fosse!
E qui troviamo il nodo cruciale. Il baratro si percepisce quando ci si riferisce all’immaginario, al teorico e al programmatico. Poiché, però, tutte le realtà d’area sono virtuali dal punto di vista politico e sono soltanto realtà antropologiche, vi è tra i più una differenza notevole fra quello che ritengono di pensare e quello che fanno. Inoltre è l’irrazionale a muoverli. Sicché se tra il mondo di Franco e quello di Pavolini vi è una distanza astrale, il coagulo emotivo, la voce dei simboli (che sono quasi sempre gli stessi) producono insieme un’unità che la ragione e il gusto non potrebbero assolutamente accettare.
Certo, se si passasse infine alla politica, questa sconosciuta, è ben difficile ritenere che queste distanze potrebbero continuare ad essere ignorate e non scaturire in realtà davvero diverse che come minimo sono destinate ad ignorarsi reciprocamente. Ma non è un problema di oggi: di qui a passare alla politica ce ne corre.

Non siamo realtà politiche ma tribu antropologiche che s'immaginano politiche. Talvolta alcune lo sono ma, quando lo sono, generalmente neanche se ne accorgono. Pensano di essere politiche, invece, quando si mettono in scena; il che è ben altra cosa.
Dunque, allo stadio attuale, è possibile questa gran confusione.
È possibile che ci sia gente che aderisce a FN senza condividerne il programma ma perché FN è vivace, vitale e spumeggiante.
È possibile che gente che non condivide l'impostazione di Polaris segua la tendenza Polaris perché la ritiene pragmatica e produttiva.
Il crinale che a prima vista è immenso non si riscontra sempre perché, come già facevo notare in "le api e i fiori" la gente non si divide in gruppi o partiti per motivazioni ideali o per qualità umane ma, spesso, per la contingenza locale, per la persona che stimano o per la persona che conoscono.
Questo accade perché da secoli luce non esiste un progetto (che nulla ha a che vedere con una bozza ideologica o programmatica) e siamo lontani dalle categorie del politico.

 

Non esiste un progetto

 

Non esiste un progetto (che, in italiano, è una cosa ben precisa). Se io dico: voglio diventare miliardario, non sto facendo un progetto. Se mi attrezzo a ottenere un prestito per un investimento calcolato seguo un progetto. Se ammazzo mio zio miliardario per ereditare, seguo un progetto, criminoso e pericoloso, ma pur sempre un progetto. Se compro un biglietto della lotteria abbozzo un progetto velleitario...
Se decido cosa farò oggi che sono libero, stilo un programma, che, pur con qualche impedimento normale, porterò a termine a meno che non abbia un incidente o non sopravvenga qualcosa di straordinario.
Se decido cosa farò quando sarò miliardario, tecnicamente sto stilando un programma ma va da sé che è un sogno, non un programma se non ho progettato come divenire miliardario.
Se poi penso che diventerò miliardario perché vincerò la lotteria ma non so che la lotteria non c'è faccio un sogno puerile.
E proprio quest’ultima è la situazione in cui versa l'area dal punto di vista "politico": pensa cosà farà quando avrà vinto la lotteria ma non si preoccupa neppure di comprare il biglietto…
Poi, però, capita che avvengano creazioni davvero "politiche". Non voglio tediarvi con quelle che ritengo le principali (Osa, Mutuo Sociale). Ricordo che Forza Nuova qualcosa di politico lo ha fatto e forse torna a farlo (Compra italiano, le colonie). Ma un'architettura politica, un progetto politico, sono cose da delineare per intero.

 

Fascio di forze

 

Ora di progetti, benché non ve ne siano più dal golpe Borghese ad oggi, se ne possono comunque fare tanti. Bisogna vedere se si tratta di:

  1. un progetto realista
  2. un progetto fascista.

Perché se ritengo di dovermi opporre alla sovversione appoggiandomi agli istituti conservatori per poi giungere con essi a creare la “vera destra”, posto che ci sia una briciola di realismo in quest’ipotesi, non sto sicuramente stilando un progetto fascista.

Se intendo fare la rivoluzione squadristica sto delineando un progetto fascista ma probabilmente non realistico…
Se mi volessi chiudere a riccio in un ghetto, quand’anche lo facessi con simbologia fascista, non solo non starei stilando un progetto ma starei compiendo un atto irrealistico e non fascista al tempo stesso.

Bisogna, allora, rivedere tutto, prendere le misure di ogni cosa. Ma – ripeto - per far questo si devono innanzitutto recuperare le categorie del politico e poi si deve costituire una dirigenza frutto di selezione quotidiana e lontana anni luce dai paradigmi pigri e desueti che conosciamo.

E questo, che sembrerebbe un punto di arrivo, non è altro che un punto di partenza.
Difatti solo una volta definita una minoranza consapevole, capace e riselezionata, sarà possibile agire di fatto e non limitarsi ad autocelebrazioni della propria eccezionale e sparutissima diversità. Una minoranza cha abbia la padronanza dei segni, dei segnali, del linguaggio e sia capace di veicolarli e al contempo di sentire, prevedere e modificare l’andamento delle cose, potrà trovare un effettivo ruolo in futuro, anche in un futuro non lontano.
Ma dovrà cessare di essere auto/incensatrice, trionfalistica, dogmatica, e teologica. Dovrà essere in grado di agire a pendolo fra le diverse sezioni della geografia politica del nostro deserto. Riconoscere le isole che culturalmente, spiritualmente, socialmente, economicamente, sono restie al livellamento e animate da vitalità e da sana indignazione. Isole che si trovano un po’ ovunque, a macchia di leopardo, a prescindere dalle matrici che sono di ogni genere (nazionaliste o regionaliste, cattoliche o materialiste, reazionarie o comuniste libertarie).
E queste isole nei prossimi anni si moltiplicheranno, così come si acuirà la disponibilità d’ascolto, a prescindere dalle forti pregiudiziali, anche nei confronti dei “dannati” purché costoro sappiano essere se stessi e non la messa in scena della propria caricatura e sappiano muoversi con una spontaneità lampante fuoriuscendo dal bozzolo del pensiero psicorigido.
Per tutto questo servono una fortissima capacità di dominio di sé e una intelligenza notevole che non sono, però, nulla di utopico. Ma non si uscirà mai da quest’impasse se non si approderà a una nuova Sintesi, che sia un fascio di verghe (e di forze) anche ben differenziate tra loro e partorite da humus tra loro irriducibili.
Questo paragone vi suggerisce niente?