Vorrei replicare innanzitutto che – come facevo notare nel mio articolo – la Francia a suo tempo negò l’estradizione di Battisti perché ritenne non probatori gli indizi a suo carico. Il che mi par cosa di non poco conto inserendosi la questione Battisti nel contesto di uno scontro per la sovranità giuridica e per le garanzie dell’imputato. Ciò esula completamente da qualsiasi giudizio morale e politico sull’individuo ma ci riguarda tutti. E quando dico tutti intendo tutti noi cittadini dei paesi europei. Ed è in quanto cittadini e non in veste di giurati che ha senso il nostro punto di vista, non essendo stati noi investiti di compiti repressivi e non dovendo, pertanto, dividerci in colpevolisti ed innocentisti perché non ci troviamo alla fiera né alle votazioni del “grande fratello”.
In quanto alla solidarietà che si sarebbe in noi generata per via di una comune esperienza di esilio, permettetemi di ribattere che se questo è vero non si attese però una situazione del genere per maturare una posizione garantista (fondata sulla concezione romana del Diritto e della Cittadinanza). Tant’è che all’indomani del 7 aprile del ‘79 Terza Posizione si schierò ufficialmente e perentoriamente dalla parte dei perseguitati dell’Autonomia. Gente con la quale il nostro dialogo, fino a quel giorno – ed anche per tutto l’anno successivo – si esaurì nello scambio di sprangate. E voglio rammentare che noi, a differenza di altri, mai sposammo la tesi astratta e mirabolante dell’unità delle estreme rivoluzionarie: tutt’altro.
Già allora pensavamo che ogni atto di violenza giuridica non colpisce soltanto la vittima specifica ma l’intera società. E mi stupisco e avvilisco insieme del fatto che a destra e a sinistra oggi si premetta un cannibalismo di fazione alla presa d’atto di quel continuo restringimento delle libertà che sta accompagnando il cammino della dittatura della finanza e della democrazia totalitarista.
Fatte queste premesse mi si consenta di addentrarmi un po’ nello specifico.
Ben più della solidarietà nei confronti dei reduci dell’Autonomia quel che io provo è un profondo disgusto per un insieme di individui che, pretendendosi fascisti, rivoluzionari, magari anche filo-iracheni e chi più ne ha più ne metta, giocano a fare i giudici e i boia essendosi completamente piegati alla logica omicida e liberticida delle destre borghesi e forcaiole.
Già ho avuto modo di provare dei veri e propri conati di vomito allorquando il consigliere Marsilio cercò di far sospendere i benefici di legge alla Baraldini, e nausea provo quando sento parlare di crociate per l’estradizione di Battisti. In molti confondono, evidentemente, lo spirito “fascista” con quello dei rurales centro e sudamericani. Se questo fosse Fascismo ben venisse allora l’epurazione !
Ma per fortuna questo non è Fascismo, è la sua caricatura.
Quando, un quarto di secolo fa, ebbi modo di intraprendere la mia esperienza di latitante ed esule iniziai a pormi domande. Incontrai in giro per l’Europa, e in particolare in Spagna, una gioventù borghese, liberticida, reazionaria e ottusa, tant’è che mi posi il dilemma di aver sbagliato campo. Poi, fortunatamente, iniziai a conoscere Reduci del Fronte dell’Est e della guerra civile spagnola e mi accorsi che essi ragionavano come me. O, per essere più esatti, che io ragionavo come loro. Dunque non avevo sbagliato campo, mi ero sottratto ad un processo mortificante di involuzione al quale, evidentemente, parecchi non han saputo resistere.
Un ricordo in particolare è emblematico. Nella Spagna neosocialista nell’83 e 84 andava in onda ogni settimana una trasmissione, La Clave, che apriva dibattiti a trecentosessanta gradi di sorprendente obiettività. Per averne l’idea si pensi che, per parlare della Shoah, insieme ad un luogotenente di Wiesenthal e a un giudice di Norimberga, fu invitato addirittura Léon Degrelle.
Una puntata di quest’emissione trattò la rivolta nelle Asturie, verificatasi prima della guerra civile. Un Reduce della Falange spiegò chiaramente la posizione assunta dai suoi. Fu controbattuto con protervia e tono dottorale da due professori di storia, tutti e due marxisti. Poi venne il turno di altri due Reduci, un socialista ed un anarchico i quali, entrambi, presero le parti del falangista e dissero chiaramente ai professorucoli pantofolai che si sbagliavano in tutto e per tutto e che non avevano al minima percezione di quello che era stato il sentimento di un’intera generazione che si sarebbe immolata in trincea inseguendo un sogno con il fucile in mano (letterale). Meglio, mille volte meglio, dissero, un falangista che aveva combattuto dall’altra parte piuttosto che lor professorucoli, anche se schierati al loro fianco.
Questo ricordo me lo tengo ben stretto.
Non possiamo qui intraprendere una disquisizione sulla lotta armata e su come la si è presentata in chiave giudiziaria e giornalistica: ci vorrebbe troppo tempo e troppo spazio. Possiamo comunque mettere in rilievo il fatto che non si è mai affrontata la specificità del clima né si sono messi sulla sbarra degli imputati quei partiti, quegli uomini politici, quelle centrali nazionali e internazionali, quella borghesia intellettuale e progressista che ne furono mestatori e complici e quei politici che fecero carriera portando sulle spalle le bare dei ragazzi che non seppero difendere e che non avrebbero esitato a rinnegare, alla Bolognina o a Gerusalemme che sia. Gente che, tirato il sasso nascose la mano lasciando al loro destino tutti coloro che cedettero in qualcosa. Tutto questo merita ben altra attenzione ma so che quel processo – il vero processo – non verrà mai fatto.
Che i nostri professorucoli però tacciano: di tutto quanto non possono avere che una visione astratta e dogmatica. Hanno sete di sangue e di vendetta ? È perché mai han visto scorrere il sangue e sentono allora la necessità di sentirsi in guerra per procura. Non rispettano i combattenti nemici ? È perché mai hanno combattuto ma si sono limitati – l’epoca lo esige – a inscenare i ragazzi della via Paal. Ma chi ha avuto l’immensa fortuna di attraversare tragedie non può essere accondiscendente verso queste farse dal retrogusto trimalcionesco.