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Anche Bruno Berardi sta facendo lo sciopero della fame e della sete. Non perché si facilitino le pratiche che possono permettere a Ciampi di graziare Sofri aggirando il  parere contrario del Guardasigilli, ma per l’esatto contrario.

Non per spirito di vendetta, però. Niente affatto, Berardi chiede, sorprendentemente “un colpo di spugna su tutti i detenuti degli anni di piombo”.

Non ha fiducia nelle istituzioni Bruno Berardi, come confessa al Corriere della Sera “Quando morì papà ci fu un via vai ininterrotto di gente: poliziotti, politici, carabinieri, vescovi. Quante condoglianze. Quante parole. Quante strette di mano. Quante rassicurazioni. Quante promesse. Quante bugie: nessuno ci diede il minimo aiuto”.

L’esistenza di Berardi, di sua madre e dei suoi quattro fratelli fu, da allora, una vita di stenti e di miseria. Ce n’era abbastanza per spingere all’odio, al rancore, all’istinto forcaiolo. Eppure Bruno Berardi non ha perso la bussola, è stato capace di soppesare. Se non ha giustificato né certamente compreso gli assassini di suo padre, abbattuto non per colpe precise ma perché indossava una divisa, si è evidentemente reso conto che dall’altra parte della barricata, da quella politica ed istituzionale, non si trovava gente che meritasse una considerazione tanto più alta.

Bruno Berardi prova orrore per le ingiustizie. “Non ce l’ho con Sofri personalmente, il problema sono i provvedimenti personali che non voglio”.

Bruno Berardi è orfano di un padre che aveva passato la vita a servire la giustizia: una giustizia che, si diceva e si scriveva, era “uguale per tutti”.

Uguale ? Quando il Presidente Cossiga volle graziare Renato Curcio – che a differenza del prode Adriano mai fu condannato per delitti di sangue – il Guardasigilli si oppose e nessuno levò la minima voce a sostegno dei diritti del Quirinale. Questa vicenda non intenerì Marco Pannella. Da sempre sensibile alle cause del partito atlantico e israeliano, egli è sordo  ad ogni richiamo che non porti al contempo acqua a quei mulini e vantaggi cospicui alla sua azienda politica.

Adriano Sofri ha le spalle ben coperte: da gran parte della buona borghesia, dalla lobby rampicante di Lotta Continua e dal partito atlantico stesso, al quale è integrato da tempo non meno di alcuni suoi notori dirimpettai che hanno goduto e godono di favoritismi.

Cosa importa perciò se la condanna che deve scontare è per un omicidio ? Egli può uscire; si possono fare e disfare leggi e cavilli per tirarlo fuori. Renato Curcio  invece non aveva  padrini: che conta se non uccise nessuno ? Dovette restare rinchiuso per l’intera pena.

Perché la legge, si sa, è uguale per tutti…

In nome di cosa, per difendere che – si domanderà allora Bruno Berardi - sacrificò la vita suo padre Rosario ?