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Quanto stupidi e pericolosi siano i primi non val neppure la pena di riaffermarlo. In quanto ai secondi, a quelli che sostengono incondizionatamente la guerra degli oppressi, ho vari appunti da muovere loro. Innanzitutto mi ricordano i marxisti di qualche decennio fa, quelli per i quali i proletari avevano sempre ragione e i borghesi sempre torto. Il che può anche essere parzialmente vero e rispondere ad una realtà strutturale, ma non è “sistematicamente” vero. Se è lecito non mettere sullo stesso piano le atrocità dei forti (in questo caso gli atlantici) con quelle dei deboli (nella fattispecie gli iracheni) neppure è lecito non vedere ogni atto ANCHE nel suo contesto specifico.

Inoltre, preda di questo sentimento di tifo accecante, essi non riescono a discernere tra i ribelli quelli che sono funzionali proprio al terrore atlantico e li sostengono sempre, indiscriminatamente. Da cui scaturisce l’idealizzazione di ogni sorta di lotta armata e di gruppo terroristico che poi è esattamente quello che la dialettica del terrore/spettacolo vuole.

In questa morsa speculare (occidentalisti da una parte e tifosi di ogni distruzione all’estremo opposto) la realtà, la verità nuda, il buon senso stesso finiscono con l’essere sacrificati recando seco l’equilibrio mentale, valoriale ed affettivo di chi accetta questo schema duale.

Prova ne è proprio la tragedia di Quattrocchi. Per alcuni essa è la prova della barbarie di banditi senza scrupoli, la comprova di un ineluttabile “scontro di civiltà”. Per altri  invece l’esecuzione sarebbe giustificata perché gli uccisori hanno prima subito da noi ogni sorta di vessazione, e poi perché Quattrocchi era in missione (servizi segreti mormorano alcuni) e pertanto rappresentava l’Occidente invasore, affamatore ed assassino.

Siamo di fronte a distorsioni quando non a veri e propri deliri.

Che l’Iraq sia stato aggredito, mutilato, violentato, non ci piove. Che gli atlantici, dunque gli occidentali, abbiano torto, lo negano solo i diretti interessati o chi è in palese mala fede.

Va aggiunto che la situazione si è incancrenita ed è sprofondata in un clima di guerra civile, di guerra religiosa, d’inasprimento delle tensioni, che fa il gioco israeliano prima ancora di quello americano. E proprio in questo quadro torbido, sovraeccitato e insidiosissimo si è consumata la tragedia di Fabrizio Quattrocchi.

Una tragedia che non può essere letta solo in chiave “oggettiva”, “strutturale” e “ideologica” perché è anche e soprattutto una tragedia individuale ed esistenziale: quella di chi, accettando il rischio di una missione a pagamento è andato a mettere in gioco la propria vita. Mercenari li si chiamava un tempo e noi ne cantavamo le gesta: “son morto nel Katanga…”

Li cantavamo e non ci chiedevamo se avessero politicamente ragione; ma allora eravamo più sani e soprattutto vivevamo in una società più sana.

Oggi costoro sono individui a contratto a tempo determinato al servizio di organizzazioni paramilitari private. È la logica iperliberista e antinazionale che lo vuole: e ciò accadrà sempre più di frequente, specie dopo che avremo sciolto l’esercito di leva popolare, antico e glorioso retaggio giacobino.

Vincenzo Quattrocchi aveva politicamente torto. D’accordo: ciò non toglie che chiunque abbia una certa idea del mondo, della vita e della guerra, non può non sentirsi umanamente solidale con chi è prigioniero e non certo con chi lo tiene sotto mira. E men che meno può gioire del supplizio di un inerme.

Il fatto che l’aguzzino sia stato, prima, vittima e che tornerà molto probabilmente ad esserlo poi, non toglie che in quel momento egli sia un aguzzino e che, dunque, non può non ispirarci rabbia. Le giustificazioni “collettive” non lo innalzano così come le colpe collettive non abbassano la vittima. In quel momento il dramma è totale, atemporale e altamente significativo. Ognuno svolge quel ruolo e conta solo come lo svolge. La questione non è più politica ma esistenziale.

Si dice che Vincenzo Quattrocchi sia morto coraggiosamente: auguriamoglielo, se davvero è così: sarà morto da guerriero e da uomo libero.

Guerriero di una causa sbagliata, dite voi ? “È la buona guerra che santifica ogni causa” avrebbe risposto Zarathustra.

Un tempo molti di noi sapevano discernere perfettamente tra gli eventi e gli uomini.

Costoro mai avrebbero condannato gli hidalgos solo perché la Spagna spogliava le Americhe, ma non avrebbero esitato a difendere gli Incas e gli Aztechi dai conquistadores.

Che ne è stato di quelli così ? Dove li abbiamo smarriti ? Siamo diventati tutti prigionieri degli schemi abbrutenti del Grande Fratello ? O siamo ancora in grado di riconoscere i valori a prescindere dalle scelte di campo ?