Nelle fila degli aggressori si trovava il giovane tenente Le Pen che aveva rassegnato le dimissioni da deputato per rispondere all’appello della Francia. Paul Sergent in “Je ne regrette rien” ci racconta - in tempi non sospetti - come il tenente Le Pen si facesse apprezzare dai suoi superiori per la conoscenza ed il rispetto dei costumi egiziani i cui morti aveva fatto seppellire alla maniera islamica. “Quel tenente mostrava spiccate doti da capo”. Ma abbandoniamo le digressioni. L’attacco anglo-franco-israeliano s’infranse di fronte alla diga politica dell’Onu e degli Stati Uniti impegnati, all’epoca, nella “decolonizzazione” ovvero nella neocolonizzazione targata multinazionali. Tuttavia la convergenza d’interessi tra gli americani e Nasser terminava lì e il capo egiziano avrebbe rappresentato, negli anni successivi, uno dei principali problemi per gli Usa e per Israele. Proprio il fantasma di Nasser, del suo pan/arabismo e delle varianti ba’as avrebbero determinato la strategia terroristica e culturicida messa in piedi da Washington e Tel Aviv dalla metà degli anni Sessanta ad oggi. Ma andiamo con ordine. Gli egiziani combatterono contro i turchi durante la Grande Guerra avendo ottenuto da parte britannica la promessa dell’indipendenza. Nel 1922 un atto unilaterale inglese conservava però alla Corona il controllo militare, e non, di Suez e del Sudan. La sopraggiunta tensione anglo/egiziana sembrava placarsi nel 1935 a causa dell’invasione italiana dell’Etiopia e della nostra minacciosa presenza vicino all’Egitto (eravamo padroni anche della Libia). Tuttavia quasi tutti i giovani ufficiali facevano la fronda alla politica britannica del governo egiziano sicché, in nome dell’indipendentismo, si misero a collaborare attivamente con l’Asse. Nasser fu inserito nell’Abwehr , i servizi di spionaggio della Wehrmacht ed il suo successore alla presidenza egiziana, Sadat, fu integrato nell’SD, il servizio informazioni delle SS. I rapporti tra l’Asse ed i nazionalisti egiziani furono così stretti che, nei 18 punti di Verona, si fa esplicito riferimento proprio all’Egitto. Tramite Filippo Anfuso, il diplomatico rimasto fedele a Mussolini che fu deputato del primo MSI, l’Egitto strinse rapporti commerciali e diplomatici con l’Italia del dopoguerra usando come canale preferenziale il neonato partito neofascista. Queste premesse vanno tenute in conto per comprendere le motivazioni della politica di Nasser, il giovane ufficiale che faceva parte della giunta rivoluzionaria che il 23 luglio 1952 defenestrò il monarca, Faruk e il 18 giugno dell’anno successivo proclamò la Repubblica. Nasser, divenuto in meno di due anni il leader incontrastato del Paese, fu tra gli ideatori del “movimento dei paesi non allineati” fondato tra il 18 e il 24 aprile 1955: una terza posizione internazionale che faceva il verso al tentativo peronista. Il nazionalismo egiziano si saldava dunque ad una visione internazionale al contempo ideologica e strategica, come dimostrarono i fatti del dopo Suez. Scatenata e risolta positivamente la crisi, infatti, Nasser tentò la carta che lo avrebbe messo in rotta di collisione rispetto a Washington, quella del nazionalismo panarabo. Nel febbraio del 1958 la provvisoria unione con la Siria diede vita alla Repubblica Araba Unita e suscitò nelle masse arabe un entusiastico sentimento di rigenerazione. Per mettere fine alla rivoluzione in corso gli strateghi israelo-americani ricorsero ad un insieme di mosse. Assicurate le spalle economiche e morali al governo di Tel Aviv con la manovra Eichmann, i world keepers scatenarono una crisi internazionale con la “guerra dei sei giorni”. L’invasione del Sinai e la distruzione, a terra, degli aerei militari egiziani attaccati senza preavviso in periodo di pace, crearono non pochi problemi di prestigio al capo egiziano. L’intelligence americana si mise allora ad operare alle estreme di Nasser facilitando l’ascesa di personaggi/fantoccio come Gheddafi ed accendendo gli animi dei Fratelli Musulmani che pure erano stati tra i più ardenti sostenitori di Nasser. Il capolavoro strategico si ebbe il 6 ottobre 1981 quando un commando di Fratelli Mussulmani assassinò il successore di Nasser, Sadat, che era riuscito con abili dote diplomatiche a costringere gli israeliani ad abbandonare il Sinai e a rinegoziare i territori occupati. Nello stesso periodo gli israeliani armavano gli iraniani contro l’Iraq laico e panrabista. Il resto lo conosciamo tutti ed è storia dei giorni nostri. Lo chiamano “scontro di civiltà”.