Quel che ha di innovativo Casa Pound è l’assoluta rispondenza della pratica con la teoria: è un’aderenza al sociale che non è più supposta, teorizzata, proclamata e declamata, ma reale. I centri sociali di vario colore sono stati fino ad oggi degli spazi autogestiti dove delle tribù urbane si ritrovavano ascoltando la propria musica, realizzando i propri eventi e reclutando nuove leve. In molti dei centri sociali doc va poi documentata un’altra attività indefessa: lo spaccio di stupefacenti. Macchie di colore, isole nel tessuto urbano. Un pugno alla noia, un grido di rivolta al chiuso di quattro mura. Talvolta un luogo di degenerazione o un limbo d’oblio. Casa Pound – a metà strada tra un centro sociale ed un’occupazione stile anni ’70 – rappresenta invece una sfida. Si tratta di dare il tetto a diverse famiglie che sono state sfrattate dalle case popolari “privatizzate” e che vivevano in un quartiere dove gli immobili pubblici sono lasciati sfitti al fine di deprezzarli prima della loro “privatizzazione” (cessioni pilotate alle banche) e poi sfitti ancora, in attesa che le speculazioni immobiliari permettano di alzarne i profitti di rivendita. Le famiglie sfrattate sono decine e decine, gli immobili vuoti innumerevoli. A questo si aggiunge la beffa dell’accoglienza gratuita degli extracomunitari operata dal comune. Che di per sé potrebbe rappresentare un atto caritatevole se un razzismo ideologico e politico non escludesse categoricamente da questa misura gli italiani che si vedono costretti al vagabondaggio e al rovesciamento dei ruoli: quasi che fossero venuti loro in cerca di fortuna al seguito dei negrieri. L’operazione ha dunque un valore in sé che va ben al di là del compiacimento. A questo si aggiunga l’istituzione programmata di un centro giuridico che vuol aiutare i poveri contro l’usura, la speculazione, l’esproprio delle case da parte dei pescicani (dal che la scelta di Pound per il nome della Casa occupata). La sfida assume allora un valore importante. Da un punto di vista ideologico perché si fonda sulla rivendicazione pavoliniana del diritto alla proprietà della casa e sul rilancio della legislazione mussoliniana che obbligava lo stato a investire i fondi di pensione nell’immobiliare affinché rimanessero stabili e non si vaporizzassero (come si è puntualmente verificato nell’italietta neoliberista) e si desse contemporaneamente un tetto a buon mercato ai meno abbienti. Da un punto di vista politico e propagandistico perché mette f a t t i v a m e n t e un’area che si vorrebbe sociale e rivoluzionaria in pieno nel confronto popolo/capitale anonimo e certamente dalla parte del popolo. Da un punto di vista futuribile perché, magari inconsciamente, questo fenomeno già s’iscrive nel probabile conflitto post/capitalista che dovrebbe aver luogo tra proprietà sociale e proprietà oligarchica. Da un punto di vista comportamentale perché indica come la politica sia altra cosa dagli slogan e dagli accordi/liti fra capi ghetto e perché contribuisce a segnalare a tutti coloro che sono armati di buona volontà cosa significhi incidere, strutturarsi, essere esempio, fare base, agire, costruire. Superando di slancio tutte le diatribe astratte e dando il giusto valore al quotidiano, ridimensionando perciò il fenomeno elettorale che non dovrebbe rappresentare altro che un momento di verifica e di bilancio. Insomma, non è così difficile mettere in pratica idee e principi, azioni e progetti. È impegnativo sicuramente e necessita una maturazione profonda ed un superamento dell’individualismo ancora assai diffuso. Casa Pound in ogni caso dimostra che si può. www.casapound.org