Ecco un motivo sufficiente per sostenerlo: è un caso raro, uno degli ultimi uomini “normali”, ovvero degli esseri che rispondono alla Norma. Da non confondersi con la Regola che, nel migliore dei casi, è quanto la gente cerca oggi… Ma che serve solo a “regolare” chi non sarà mai padrone di sé, dunque libero, dunque nobile. Come invece è Luigi.
Un tipo d’uomo
Difendere Luigi perciò significa sostenere allo stesso tempo un uomo e un tipo d’uomo; e già questo sarebbe sufficiente. Significa però anche perorare la causa, a prescindere da quel che fecero o che fanno oggi, di persone di tutt’altro genere che per quella strage furono condannate ingiustamente. Va fatto. Non si può chiedere la giustizia per i giusti e l’ingiustizia per gli ingiusti. È lo stesso discorso che abbiamo fatto a proposito dell’onore: vincola noi, a prescindere. E quel “noi” nasce storicamente e rinasce incessantemente ogni giorno, proprio dalla sete di giustizia, dalla volontà di vendicare i torti contro i deboli. Così nacque lo squadrismo e così continua a rinascere.
Il nostro passato
La causa di Luigi è infine la causa del nostro passato; e quando dico nostro lo intendo in senso lato, perché riguarda tutti coloro che sono partecipi di un mondo ideale e politico, dunque della sua storia: e lo sono a prescindere da quando siano nati e da cosa abbiano fatto.
È una causa d’importanza assoluta visto che il dogma della strage fascista di Bologna è una pietra miliare della storia sacra antifascista; una storia sacra scritta sulla menzogna e che, in perfetta sintonia con l’inversione spirituale alla quale corrisponde, fa della menzogna la “Verità”. Una verità che riescono a presentarci come dogmatica e rivelata al tempo stesso.
I colpevoli non finiranno alla sbarra
Qui mi fermerei. Posto che la Cassazione sbaragli una palese ingiustizia, ovvero compia un atto di giustizia puramente compensatorio, in pratica un risarcimento morale, tenderei ad escludere che i colpevoli di Bologna finiscano alla sbarra.
Mi pare di un’evidenza addirittura offensiva il fatto che lo stragismo sia stato – e permanga – una pratica del potere. Che i poteri reali lo abbiano generato, coltivato e protetto. Su di essi non si ha la minima intenzione d’indagare da parte di chicchessia. Anzi, si fa bene attenzione a non imboccare alcuna pista che si avvicini anche solo alla periferia di un apparato mostruoso. Né può illudere altri se non gli sprovveduti il fatto che è cambiato sistema politico in Italia, è trascorso tanto tempo e da noi non è più in voga lo stragismo. Le coperture permangono inossidabili. Vieppiù perché lo stragismo si è trasformato in asse portante del sistema economico e politico oligarchico mondiale, il quale si fonda proprio sul terrore. E poi, a voler essere pignoli, ritroviamo nel cuore della gestione del post-terrore vecchie conoscenze già attive in Italia allora…
La verità?
Per queste ragioni forse è impropria la scelta del nome del comitato per Luigi. L’ora della verità? Ma proprio la verità non passerà mai: al massimo verrà sbaragliata una menzogna.
Per queste ragioni è inopportuno insistere su questa o quella pista, indicando – nei vari casi con elementi e chiavi di lettura di livello ben diverso – questo o quel colpevole.
La lettura politica dello stragismo è presto fatta. E sinceramente dubitiamo che possa discostarsi molto da quella nostra – chiara anche su questo numero di Orion – a meno di voler ignorare una serie di dati o di ostinarsi a leggerli malissimo.
L’identificazione del colpevole (assoldato, asservito, fanatico, ipnotizzato, demente) è invece impresa assai ardua. Qualora s’imboccasse la pista giusta ci svierebbero immediatamente come hanno sempre fatto. Sono obbligati a deviare. Non ne va soltanto della loro credibilità e dell’omertà sulla quale si cementano; c’è addirittura una ragione metafisica alla base di ciò perché quell’oligarchia si fonda proprio sulla falsità e sulla devianza. Sono inversori.
Basta con i capri espiatori!
Mentre nel cuore del sistema la menzogna, il terrore e la mistificazione la fanno da padroni, ai piani più bassi c’è al massimo uno scontro per decidere chi sia il capro espiatorio.
A lungo siamo stati noi; lo siamo ancora in gran parte, ma le condizioni storico/politiche ne fanno affiorare altri possibili: arabi, anarchici e – chissà – ultracomunisti.
A questo punto avviene qualcosa che io capisco ma che non condivido affatto. Alcuni cercano di scaricare su altri capri espiatori il peso con il quale si mantiene in piedi un sistema criminale.
In molti si chiedono: “se nessuno ci ha fatto sconti, se in molti hanno danzato sul nostro cadavere o hanno fatto festa intorno al nostro giaciglio perché oggi non dovremmo render pan per focaccia?”
Per la stessa ragione di cui parlavo sopra: perché l’onore impegna soltanto noi e non è variabile, accomodabile a piacimento.
Poveri rossi!
Quel che è triste nella vicenda di Luigi è che nessuno crede alla sua colpevolezza, ma solo chi fa parte della sua tribù politica lo sostiene. Certo, c’è qualche individualità coraggiosa, come Semprini; ma non si registra alcuna mobilitazione in ambiti non fascisti in difesa di un innocente.
Innocente sì, ma pur sempre marcato da un peccato originale: è fascista.
È sorprendente il livello di mancanza di coraggio morale in ambienti che pure hanno subito ingiustizie. Noi prendemmo posizione già il 7 aprile del 1979 in difesa di Autonomia Operaia, ma non ci fu mai rinviato l’ascensore. Abbiamo fatto una modesta campagna a favore di Paolo Dorigo, il compagno veneto che ha trascorso undici anni di carcere per una molotov contro una base Nato, ed è già tanto che non sia stata scambiata per una provocazione.
Il caso di Luigi dovrebbe essere ripreso a sua volta da uomini assetati di giustizia, di qualsiasi estrazione storica o politica facciano parte, eppure non è così. Sia chiaro: non lo dico con delusione, me lo aspettavo. Ma mi rammarico per loro, per come hanno deciso d’inchiodarsi aridamente alla piccolezza.
Poveri noi?
Né dovremmo noi fare come gli altri. La giustizia è un valore in sé, non è lecito farne un elastico.
Non è accettabile difendere solo i propri e non preoccuparsi degli altri. Nemmeno di coloro che sono nostri nemici dichiarati; il nemico va rispettato. Chi non lo rispetta non rispetta se stesso.
C’è purtroppo, ogni tanto, la tendenza a dimenticarlo, c’è poca attenzione a quello che si fa e si dice, alle conseguenze di asserzioni un po’ troppo disinvolte.
Tra le varie piste evocate per Bologna è tornata ultimamente in auge quella su Carlos e Fplp. Non mi metterò a commentarla. Chi la voglia conoscere la può trovare fra le varie ipotesi che abbiamo riepilogato in altra parte di questo giornale o se la può procurare su Area. Ebbene, in quel teorema si parla anche di due autonomi arresati nel 1979 perché trasportavano armi. Nessuno ha sostenuto, neppure fra i promotori di quella pista, che i due fossero stragisti; ma nessuno si è nemmeno reso conto che ciò lasciava adito a sospetti, ad illazioni in tal senso. Il più autorevole e più famoso dei due, Daniele Pifano, si è risentito parecchio. Al di là delle sue affermazioni acide “tutti i fascisti sono come Izzo!”, non si può dare torto a Pifano. Il quale è un antifascista primitivo, un marxista paleolitico, un personaggio di nessun interesse politico, ma è pur sempre un combattente coraggioso e leale. Non è lecito sfiorarlo con il sospetto di un coinvolgimento in qualcosa di così ignobile come lo stragismo.
Se lo si fa, anche involontariamente, si finisce con il ragionare come gli altri; si cancella dignità al nemico e si avalla ogni menzogna contro di lui. Si è replicanti di un rituale infame e complici di un ignobile sistema di cose.
Una battaglia universale
Morale della favola: se la battaglia per Luigi non ha prodotto, almeno per ora, alcuna seria espressione di solidarietà al di fuori di un mondo ristretto, non snaturiamola.
Il caso-Luigi è frutto di una serie di logiche fondate sui rapporti di forza, sull’egoismo di parte, sulla mediocrità, sulla meschinità. Luigi spicca sullo sfondo di questa vicenda per il coraggio e per l’onestà che ha dimostrato, tanto dall’essersi disposto per essa al sacrificio estremo.
Non a caso onestà e onore hanno la stessa radice.
In nome dell’onestà battiamoci allora per tutti gli uomini onesti e rifiutiamo qualsiasi logica di etichettamento a priori. Non dobbiamo dimostrare che la strage è anarchica, araba, comunista, ebraica o americana: la strage è una schifezza. Tanto ignobile dal cancellare, di per sé, la stessa identità originaria del suo autore. Una schifezza che corrisponde ad una cultura del potere e ad una dis/sacralità specifica. Una schifezza che solidifica un sistema criminale organizzato. Una schifezza alla quale non è lecito inchiodare a priori un ambiente politico, nessun ambiente politico, né per prevenzione né per convenienza.
Facciamo della battaglia per Luigi una battaglia universale. Allora avremo davvero capito tutto. Allora saremo davvero meglio degli altri; di tutti quelli che non sono disposti a crescere così.
Allora avremo combattuto nello spirito originario e non in quello dei tanti Urukai che pullulano