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Il nome scelto, “Testa di Ferro”, è quello di una rivista fiumana. L’iconografia è fiumana.

A dettare questo nuovo slancio, più che il calcolo, penso sia stata l’intelligenza, o meglio l’intuizione: ossia quel genere specifico d’intelligenza che ci lega alla metafisica.

Possiamo definirla una scintilla, un lampo di genio.

Infatti c’era bisogno di più di un ceffone per risvegliare un ambiente sopito, ondulante fra musei di cere medioevaleggianti, mistiche catacombali e fughe oniriche nel fantasy.

C’era bisogno del riconoscimento – concreto, sensuale, nervoso – del momento in cui viviamo che è, tutt’al più, periodo d’incubazione per la gestazione e la generazione di nuove (eppur eterne) avanguardie.

 

Fiume e la sfida

 

Il futur/arditismo ci riporta a prima della Marcia su Roma, ad una fase prerivoluzionaria e ad una sfida radicale, quale fu quella di Fiume. Del dovere contro l’obbligo, della gioia contro la noia, della spregiudicatezza contro il conformismo, del bello contro il grigio, della poesia contro la grammatica, dell’azione contro la rinuncia, della follia contro la demenza.

Il futur/arditismo ci porta un’aria nuova, fresca, rigeneratrice e detta i tempi di una nuova (ancor oggi) iconografia che ben si allaccia con quelle di fight club e di Capitan Harlock, proponendo una nuova base di partenza, di una vera partenza. 1

Perché come ricordano in una nota canzone e sulle magliette stampate proprio gli Zetazeroalfa: “la bellezza è nell’azione”. Ed ecco che Fiume è riassunta in pieno.

 

Non sarà troppo anarchico?

 

Il futur/arditismo non sarà un po’ troppo anarchico? Già sento riecheggiare questa preoccupazione dalle labbra dei tanti che si credono tradizionalisti ma scambiano il rigor mortis con il rigore, la mummificazione con la stabilità. Ma come: donne in primo piano, rivoluzioni sessuali, gerarchie militari sconvolte, pirateria!

Il futur/arditismo non sarà stato sfruttato e tradito dal fascismo poiché era, invece, un avanguardismo di sinistra? Dall’altro versante, quello di chi cede all’insofferenza nei confronti della destra che, putrida, si espande (un’insofferenza che io stesso riesco a mala pena a tenere a freno in me) sento lievitare questa (pro)vocazione che poi trova terreno anche fertile ad opera di scrittori e ricercatori orientati a sinistra. 2

Ebbene, sì: il futur/arditismo è stato esuberante, eccessivo, traboccante, come un fiume in piena, come un animo leonino, come l’epos e la lussuria, come il colore e il suono: ed è stato, quindi anarchico. O forse anarca, ci direbbe Jünger. Ma il fascismo stesso fu, innanzitutto anarca; non tradì Fiume, la condensò, le diede continuità e solidità: fu il coagula di quel solve. E fu una fortuna che avvenne esattamente così.

 

Fra due presse

 

Questa diatriba sul fascismo (era di sinistra o di destra? Doveva o no scendere a patti con la Chiesa? E con la nobilaglia e Mezzo Feto? E il corporativismo fu conservazione o l’avvio di una rivoluzione?) è una polemica astratta, inutile e, soprattutto, figlia di una sconfitta, di uno s-fascio.

Ce la trasciniamo, irrisolta, da allora e merita quindi una divagazione.

Tale discussione nasce, ed è naturale che sia così, all’indomani del venticinque luglio e si riaccende dopo il venticinque aprile. Specie nei primissimi anni della Repubblica senza sovranità, quella che si concede alle basi Nato, che prende ordini dalla Mafia, dal Vaticano e dall’ambasciata Usa.

Sono, quelli, anni di paralisi politica definita “guerra fredda” in cui tanti reduci fascisti si schierano, subalterni, dalla parte dei traditori di ieri (la destra) contro gli stragisti di ieri (i comunisti).

Ed altri reduci fascisti non ci stanno. Magari, in nome delle idee di Mussolini e del suo stesso Testamento politico, s’iscrivono ingenuamente al Fronte Rosso. Non sono nomi illustri, eppure c’è tra loro l’ammiraglio Ferruccio Ferrini, il Capo di Stato Maggiore della Marina della RSI e primo Presidente della Federazione Combattenti e Reduci, nominatovi da Rodolfo Graziani che se ne frega che l’ammiraglio abbia preso la tessera del Pci!

I più interessanti, i più coerenti, invece cercano davvero una terza via purtroppo improponibile nell’immediato. Sono quelli della sinistra del Msi che, in gran parte, lasceranno il partito quando questo si schiererà con la Nato e i monarchici: Giorgio Pini, Concetto Pettinato, Ernesto Massi, Ezio Daquanno, Massimo Uffreduzzi e lo stesso generale Rodolfo Graziani. 3

 

Asfissia

 

E la lacerazione prosegue, non s’esaurisce lì, non si spegne neppure nel primo periodo degli Anni di Piombo, fin quando la dialettica non sarà definitivamente soffocata dall’eccedere della tensione.

L’Orologio, la Federazione Nazionale dei Combattenti della Repubblica Sociale Italiana, il Fuan, Lotta di Popolo sono state nel tempo le avanguardie di sinistra del mondo neofascista. A queste avanguardie spetta il merito di aver mantenuto una scintilla, che è cosa ben diversa dal fuoco fatuo delle destre col torcicollo. Purtroppo la dialettica nel Msi si è pian piano esaurita perché la struttura sulla quale si fondava quel partito era volutamente burocratica, stantia, amorfa e perché il ducetto dal baffo grigio, saldamente dittatore dal 1970 in poi, soffocò ogni anelito di discussione. L’ultimo rappresentante di un’avanguardia politica dopo gli anni Sessanta, in quel partito, fu Beppe Niccolai. D’altra parte lo spirito da quelle parti era morto, talmente morto che la base si dovette accontentare per anni di sostenere Pino Rauti facendo finta che fosse un rivoluzionario. Lui! Un conservatore, asociale intriso di pensiero debole…

Il che è sintomatico di come l’intera barca sia andata da tempo alla deriva senza sbocchi.

Una sintesi mancata, un fallimento dovuto alle cause oggettive ma anche a molti responsabili.

E una sintesi mancata dettava ben poche scelte: o ti accontentavi di un surrogato, di una caricatura, o te ne andavi. Magari anche con il nemico di ieri, come avvenne sovente.

 

Rivoluzioni tradite o recuperate

 

Ci spieghiamo allora come nasca e s’inveteri la polemica. Come e perché si parli di rivoluzioni tradite, di spinte a sinistra incanalate a destra.

Il “grande inganno” fascista è una bella trovata del Pci secondo il quale le spinte ribelli sarebbero state blandite da Mussolini per poi venire incanalate in schemi conservatori. Si tratta di un falso storico in quanto, semmai, Mussolini dovette fare i conti con la reazione ma spinse e realizzò proprio le istanze più sociali e progressive. È quindi una menzogna, una trovata propagandistica, ma funziona; e i primi ad accoglierla sono i soliti fessi: i neofascisti. Ma questo assioma non lo ripetono solo i neofascisti giustamente furiosi con i loro rappresentanti postbellici, lo pretendono anche in tanti dalla sinistra istituzionale, gente che, innamoratasi di questo o quell’aspetto del fascismo, pretende di recuperarlo ad una tradizione rivoluzionaria rigorosamente antifascista.

Così come la Salaris che nel suo ottimo lavoro su Fiume ci dimostra che l’Impresa è di sinistra, anzi di ultrasinistra, e che il fascismo era, in fondo in fondo contro Fiume.

E noi stessi rischiamo di sostenerla indirettamente questa forzatura quando mettiamo l’accento sulla non collaborazione di Mussolini con D’Annunzio senza pensare che mentre il secondo era un esteta, il Vate, il primo era un capo politico, dotato d’intuito e metodo che fece quel che concretamente doveva essere fatto. Perché le rivoluzioni non possono seguire esclusivamente il cuore. E Mussolini lo seguì anche troppo. Fiume era destinata a termine, così come la Comune di Parigi. Comprenderlo, per un capo politico, non è un’opzione, è un dovere.

Non far morire tutto a Fiume significò far di Fiume la rinascenza dell’Italia.

 

Sono loro i fascisti

 

Ma Fiume fu in qualche modo antifascista? Il fascismo tradì davvero Fiume?

Se Fiume aveva buoni rapporti con la Russia Bolscevica, se Lenin aveva riconosciuto Fiume, se rivoluzionari di sinistra, come il tenente Giulietti erano a Fiume, se Bombacci e Bordiga, futuri fondatori del Pci, riconobbero Fiume, la comunanza fra Fiume e fascismo fu una mistificazione? Erano fenomeni diversi, rivali, magari opposti?

Cogitando e alambiccando da cervellini moderni e ideologizzati quali sono oramai i nostri, verrebbe da dire di sì. Eppure da Fiume il grosso, dopo la caduta della città, affiora naturalmente nelle squadre d’azione. Basta leggere le memorie del tempo per rendersene conto. Marco Piazzesi, un giovane studente iscrittosi al Fascio all’inizio del “biennio rosso” ci documenta come proprio l’arrivo degli Arditi da Fiume coincise con l’avvenuto sopravvento dei fascisti sui socialcomunisti. 4

Sono gli Arditi a prendere in mano le squadre e a condurle, in rapporti di forze del tutto impari, allo scontro e alla vittoria contro le insorgenze bolsceviche. Eppure quegli Arditi sono anarcoidi, innovatori, bestemmiatori, anticonformisti, anticlericali: hanno tutto per essere di sinistra, così come l’intendiamo oggi. Già: ma stanno, saldamente, con i fascisti! Anzi, sono loro i fascisti.

 

E di destra E di sinistra

 

Insomma: questa dialettica fra destra e sinistra è roba tardiva e impropria. Il fascio è, appunto,

f a s c i o di verghe, unità d’intenti, coincidentia oppositorum. Ed è soprattutto sul piano istintivo che quest’unità si realizza, è sul piano dell’intuizione, ossia di quel genere specifico d’intelligenza che ci lega alla metafisica, che si compie il miracolo. Il miracolo moderno: la Polis e Roma nel secolo XX.

Il fascismo non fu di destra o di sinistra, inutile cercare di collocarlo. A ben vedere ci accorgiamo che non è del tutto esatto sostenere che non sia stato di destra né di sinistra, è più corretto dire che fu E di destra E di sinistra. Dal vitalismo della sinistra di fine ottocento (socialista, repubblicana, anarchica, sindacalrivoluzionaria) il fascismo mutuò l’entusiasmo, la fede nel domani, l’idea del progresso, la milizia del lavoro, l’anelito egalitario, l’amore per la giustizia sociale, il dinamismo. E poi, ancora, lo spirito dissacratore, iconoclasta, avanguardista, spregiudicato.

Dal distacco aristocratico della destra antimoderna esso prese invece la filosofia esistenziale e metafisica (ellenica, stoica), il disprezzo per il progressismo (che non è sinonimo di progresso), il disgusto per il buonismo e per la retorica borghese, il senso di (auto)disciplina e di sacrificio, la religione dell’Onore.

Si può notare agevolmente come si tratti di due piani diversi: l’uno più immediato, vitalistico, se vogliamo “biologico”, l’altro più interiore, spirituale, metafisico. Questi due diversi livelli non si contraddicevano necessariamente, anzi convivevano, in perfetta armonia gerarchica, potenziandosi vicendevolmente.

 

Non confondiamo i piani

 

Uno dei più gravi errori in cui è incorso il neofascismo è stato quello di accettare che venissero poste sullo stesso piano, sullo stesso livello, la destra fascista (che è metafisica) e la sinistra fascista (che è politica). Un errore dettato anche dalle circostanze, perché la condizione di subalternità faceva sì che di rivoluzionario – fuor dal piano esistenziale – restava poco o niente. E allora tanto valeva ragionare “da destra”, ovvero sulla base dell’inerzia sterile. Che si può fare del resto in una cella d’isolamento, in un pantano se non chiudersi in se stessi?

Ma oggi che non solo noi siamo palude, oggi che tutto è palude, oggi che siamo tutti nel pantano, oggi che il pantano va smosso e sconvolto, dobbiamo ricordarci che le avanguardie politiche, le dirigenze politiche delle Rivoluzioni Nazionali furono espressione della loro sinistra sociale e politica.

Mussolini era di sinistra, Pavolini fu di sinistra. Ma anche altrove: Goebbels era di sinistra, persino Himmler era di sinistra, così come di sinistra fu Rodolfo Graziani; Ramiro Ledesma Ramos, Jacques Doriot erano di sinistra. Fu la sinistra rivoluzionaria a irrorare di sangue nuovo tutte le esperienze di collaborazione bellica con l’Asse. Questo mentre le destre collaborazioniste remavano, quasi sempre, quasi ovunque, contro.

Culturalmente, spiritualmente, si vada a destra, politicamente, socialmente, a sinistra. Che poi è l’esatto opposto di quel che fa Gianfranco Fini. È così che si passa dal ghetto all’avanguardia. Così è sempre stato e così sarà sempre.

 

Giovinezza e me ne frego

 

E torniamo a noi; ad oggi, a “Testa di Ferro”, all’UdE 2005 che ha scelto il nome di festArdita, a questo nuovo slancio originario e avanguardista al contempo.

In particolare s’intervenga sullo stantio, ci si tolga la polvere di dosso, si scuotano le spalle irrigidite, si rifiutino il conformismo e i lidi felici di qualsiasi nevrosi integralista. Si acquisisca la giovane e scanzonata felicità dell’azione irruenta e spregiudicata.

Giovinezza e Me ne frego!

Si parta dall’inizio, da una nuova, gioiosa, vitalistica affermazione, travolgendo dogmi, pregiudizi, fossilizzazioni. Si cambi iconografia e immaginario, si ringiovanisca, si acquistino dinamismo, energia, volontà e spensieratezza.

Il futur/arditismo ci porta un’aria nuova, fresca, rigeneratrice e detta i tempi di una nuova (ancor oggi) iconografia che ben si allaccia con quelle di fight club e di Capitan Harlock, proponendo una nuova base di partenza, di vera partenza. 1

Come ricordano in una nota canzone e sulle magliette stampate proprio gli Zetazeroalfa: “la bellezza è nell’azione”.

Si sia, infine, belli!

 

Note

 

  • cfr il nostro “Quel domani che ci appartenne”, edizioni Barbraossa, settembre 2005
  • Claudia Salaris,”Aalla festa della rivoluzione”, edizioni Il Mulino, Bologna, 2002
  • Cfr Paolo Buchignani, “Fascisti rossi”, edizioni Mondatori, 1998
  • Mario Piazzesi, “Diario di uno squadrista toscano 1919-1922”, editore Bonacci, 1980