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Simile in apparenza ma assai diverso nell’essenza è il ruolo del cattivo nell’ideologia di potere, un’ideologia che predomina da quasi diciassette secoli.

 

“Bene” è diventato il “non-Male”

 

Alle radici di quell’ideologia dualista sta una profonda inconsistenza. Essa nasce nel deserto, nel tentativo autocratico di dare una coesione a gruppi di nomadi quasi ingovernabili. A questi gruppi, tale ideologia offre due spunti fortissimi: l’alleanza con Dio – che ne fa i figli per antonomasia – e la Legge concepita come regolamento per combattere il Male. Il tutto si manterrà coeso mediante il rito del capro espiatorio che consentirà ai seguaci della Legge di non finire preda della disperazione, come sarebbe naturale – e in fondo giusto – che fosse.

Allorquando un’oligarchia di fanatici, in parte eredi di quel deserto, prende le redini dell’esausto Impero Romano, quest’ideologia dualistica si fa unico elemento di connessione per l’intero consesso sociale. Così il Male fa l’ingresso trionfale in un mondo che, fino ad allora, lo aveva considerato Imperfezione, mai Divinità al negativo. E a lungo andare finisce con l’esistere davvero, producendo persino vere e proprie teofanie 1

Quel che vi è di peggio in quest’innovazione non è però l’irruzione del Male nel sottil mondo del sacro, ché per chi sia centrato poco o nulla cambia, quanto la definizione del Bene che, codificato per Legge ed opposto specularmene al Male, proprio da quest’ultimo dipende. Da cui la valenza del peccato (negazione) che nella regolamentazione dei costumi quotidiani prende il posto del codice d’onore (affermazione). Producendo, inoltre, l’adagiamento di chi “combatte il male” che già solo per questo si considera facente parte del bene e dunque bene egli stesso: il che interrompe la ricerca interiore e l’evoluzione etica e filosofica della società contrassegnando un’involuzione che assume talvolta dei tratti controiniziatici. 2

 

La struttura dualistica attraverso i secoli

 

È noto il ruolo storico di quell’oligarchia che, dopo aver minato l’auctoritas imperiale e aver tentato di soppiantarla si è rivelata, appunto, inconsistente e ha generato una serie ininterrotta di scissioni progressive (protestantesimo, liberismo, comunismo) tutte strutturate sulla medesima logica dualistica e moralistica. Persino le rivoluzioni e le reazioni del XX secolo, da quella russa a quella spagnola, hanno mantenuto la trama dualistica e la funzione del capro espiatorio; tutte meno una, la filosofica per eccellenza (nel senso letterale di amore per la ricerca della verità): il fascismo italiano.

Né diversamente si esprime il modello globale dominante, quello del Nuovo Ordine Mondiale, sia nella versione neocon che in quella progressista.

 

Il “Male” è indispensabile alla regia

 

Poiché il Bene di cui tutti questi oligarchi si riempiono la bocca, altro non è se non l’opposizione al Male ecco che però il Male si rivela indispensabile: è l’elemento di coesione dell’intero impianto. Meglio se si tratta del Male Assoluto, che agisce con il gusto di nuocere, così, per pura cattiveria. Ed ecco allora che, oggi come qualche decennio fa, affiora la manifestazione di questa minaccia onnipresente, il terrorismo. Un fantasma si aggira per le nostre metropolitane: e solo il Bene lo può fermare. Cosicché tutti lo acclamano questo salvatore della pace e visto che, in assenza del pericolo, ciò non si verificherebbe, puntualmente il “Bene” lo alimenta il suo “nemico”.

Come avvenne negli anni di piombo, anche oggi centrali di potere, servizi di controllo, cellule antiterrorisitiche, poste di fronte a coloro che dovrebbero stroncare, esitano a intervenire, lasciano fare; infiltrano, quando non creano di sana pianta, le centrali del terrore che rappresentano il principale – se non l’unico – elemento stabilizzante di un sistema maniacale di gestione del Caos. Un gioco torbido, a lungo collaudato, che si ripete nelle medesime forme, negli stessi meccanismi di allora.

Allora, nella cavia Italia, le manomissioni dei servizi atlantici furono palesi.

Non era facile ma ci fu chi individuò correttamente il ruolo svolto oggettivamente dai terroristi 3

Allora, con la scusa dell’emergenza, s’interruppe un ampio processo di partecipazione popolare alla critica che era in pieno svolgimento e lo si chiuse in uno schema duale senza uscita che avrebbe consentito il pieno compimento della controrivoluzione oligarchica. 4

Insomma, al di là dai coinvolgimenti emotivi e dalle valutazioni morali, il terrorismo (per improprio che sia, questo termine e non un altro s’impose) si rivelò elemento di stabilizzazione del potere e, dunque, fu soggetto ad una manipolazione continua, a prescindere dalla consapevolezza dei protagonisti e persino dall’azione delle centrali occulte. Lo fu “strutturalmente”.

 

Sulla lotta armata

 

Questa valutazione non comporti un giudizio negativo, ingeneroso oltre che fuori posto, verso i protagonisti degli anni di piombo. Anche tenendosi lontani da quel turbine, ben pochi son riusciti a non essere giocati dalla logica inesorabile del potere, ma, a differenza di chi praticò la lotta armata, nessuno di essi ha pagato il prezzo del proprio vagare a vuoto. Nessuno dunque pontifichi; si analizzi senza timor riverenziale ma evitando di sentenziare. E soprattutto, non limitiamoci all’aspetto politico, pratico. Ricordiamoci che si trattò di un periodo di tensione altissima che, come avviene in guerra, funse da cartina di tornasole consentendo di esprimere talvolta il peggio ma spesso il meglio degli ambienti ribelli. Esprimendo, soprattutto, in casi singoli, delle equazioni personali soffertissime e nobilissime, degli uomini dai quali, esistenzialmente parlando, non si può far altro che apprendere.

Se oggi abbiamo di quegli anni e di quel fenomeno delle letture parziali e sminuenti, lo dobbiamo al fatto che, more solito, la storia la scrivono i vincitori e a scriverla li aiutano i perdenti, non gli sconfitti.

Questi ultimi parlano poco, per serietà. Come ebbe a dire uno di loro “la vittoria ha molti padri, la Sconfitta è orfana, io l’ho adottata; è dura da mantenere senza l’ausilio di due sorelle, Pazienza e Dignità”. Altri, invece, han preso le distanze, scritto chilometri di verbali, si sono esternati, hanno fatto “outing” come si dice oggi. Sicché non sono gli uomini emblematici, i Curcio, i Ferrari, i Gallinari, le Mantovani, i Fosso, i Tuti, i Concutelli, i Nistri, i Cavallini, i Belsito, ovvero coloro che hanno interiorizzato ed oggettivato insieme, un’esperienza che non è individualistica, a rappresentare pubblicamente quegli anni. Quelli che con essa hanno un rapporto ombelicale, che li han vissuti e li rimembrano come un’espansione dell’io, quelli che ne ripercorrono le emozioni individuali, i brividi, quelli e non altri si mettono ad “esternare”. Sono cercati dai giornalisti che in essi si riconoscono per affinità elettive, perché vi ritrovano l’alter ego trasgressivo e delinquenziale dell’essenza borghese, che li eccita, e non una pulsione etica differente, che li sgomenta. Ecco perché il palcoscenico appartiene ai Franceschini, ai Morucci, alle Faranda, alle Mambro, ai Fioravanti. E ciò a prescindere dai loro comportamenti politici e processuali che sono a dir poco reprensibili. Il borghese si riconosce in essi – che rappresentano l’eccesso della sua indole – ed essi si riconoscono nel borghese che rappresenta il loro porto quiete.

Fatto sta che parlano sempre i vinti, mai – e noi aggiungiamo purtroppo – gli sconfitti.

 

Chi tifa per il “Male” sostiene il “Bene”

 

Fatta questa digressione che ci pareva doverosa, dobbiamo tener presente che le organizzazioni terroristiche e guerrigliere di mezzo mondo rispondono pienamente ai canoni della strumentalizzazione del potere tal quale Sanguinetti le aveva descritte a fine anni Settanta. Partono per rovesciare il mondo e finiscono per copiarne le logiche. Fungono da piccoli satana e s’invischiano in traffici d’armi (ovviamente) e infine di droga 5

Ci offrono, in ogni caso, un transfer per effetto del quale “tifiamo” per dei duri e puri contro un potere corrotto. Ma tifiamo, dunque non siamo, e inoltre tifiamo male perché, a parte le singole individualità, magari eccezionali, collettivamente parlando queste organizzazioni che sopravvivono miracolosamente a se stesse nell’era dello spionaggio satellitare, sono in realtà un collante del sistema 6

Se poi il transfer lo allarghiamo al Terzo Mondo, accettando di fatto la logica che ci hanno inculcato dello “scontro tra civiltà”, quand’anche rovesciassimo i parametri valoriali (ovvero decidessimo che il Bene si trova di là) non faremmo che rafforzare l’ideologia dominante, impostaci dal Pentagono. E al di là dalla simpatia e dalla stima che dettano i resistenti di Falluja, è demenziale non renderci conto che quella guerra civile e religiosa che sta devastando la regione è stata creata di sana pianta dagli invasori e che non c’è da esser felici, in quanto, quale che sia l’esito finale, si è comunque regrediti assai rispetto al quadro antecedente.

 

La risposta è in noi

 

Purtroppo non è facile rifiutare gli schemi obbligati che ci vengono imposti. Come un intero mondo pretende di posizionarsi su Fini anziché proporre qualcosa di reale, così tutta una gioventù (o molto spesso un’immatura attempiatura) sente il bisogno di ritagliarsi un ruolo virtuale, che si trovi nel palcoscenico, scritto nel copione che tutti recitano e lo identifica, spesso e volentieri, in quello del “lupo cattivo”. 7

Difficile comprendere che, in era di Caos organizzato, dominante e imperante, che non solo fa leva sul “cattivo” di turno ma propone come pendant un diffuso “recupero valoriale”, invero moralista, sovversivo e contraffatto, la risposta è altrove.8 Non la si trova certo nella generale messa in scena che è trappola per tutti.

La risposta è, per così dire, anarchica: nel senso di formazione di anarchie – o meglio di autarchie – centrate su se stesse, la risposta è nella centratura su canoni oggettivi, stabili, interiorizzati ed eterni e, consequenzialmente, nell’acquisizione di spazi d’azione e di potenza da parte delle autonomie.

Autonomie rigeneratrici che crescano e si consolidino rispondendo al modello globale con uno spirito autenticamente imperiale.

La risposta, insomma, è in noi e non nella scelta di un idolo, che, in quanto tale è sempre e soltanto una cariatide del sistema dominante.

 

 

  1. Sull’irruzione effettiva di Satana nel mondo e sul ruolo che nella sua realizzazione ha svolto l’ideologia vaticana, vedi il nostro “Nuovo Ordine Mondiale tra imperialismo e Impero, Società Editrice Barbarossa, Milano 2002
  2. Ibidem. Consulta inoltre il manifesto di Polaris, edito in anteprima all’Epifania 2005 (www.noreporter.org)
  3. Gianfranco Sanguinetti, “Del terrorismo e dello stato” 1979
  4. Sul rapporto tra schema duale, terrorismo e pratica del potere vedi il nostro “Nuovo Ordine Mondiale tra imperialismo e Impero, Società Editrice Barbarossa, Milano 2002
  5. In “Géopolitique des drogues”, edito da PUF, Paris 2004, il sociologo Alain Labrousse riporta i collegamenti acclarati guerriglieri e traffico di droga. I dati riguardano gli anticastristi cubani i Contras nicaraguensi, il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, l’Eta, le Farc colombiane, il PKK curdo, l’Uck bosniaco/albanese, le Tigri dell’Eelam tamil. Più sfumata la posizione dell’Ira. L’unico movimento di liberazione che risulta sicuramente pulito è quello dei Karen di Birmania. Leggendo l’opera, che è scientifica e non persegue alcun teorema preordinato, ci si rende conto di quanto la mafia della droga sia legata a quella del e collegata ai principali servizi segreti occidentali. Fin troppo chiaro appare il ruolo geopolitico destinato alle coltivazioni e alla distribuzione della droga. I gruppi di guerriglia, quale che sia il movente che li anima, di fatto svolgono dei ruoli di controllo di zone di traffico e si rivelano, più o meno tutti, pilastri della Multinazionale globale del crimine, veri e propri fattori di stabilizzazione.
  6. Basta riflettere pochi minuti per rendersi conto dell’evidenza. Se è possibile che un nucleo ristrettissimo compia azioni eclatanti clandestine senza venire sbaragliato, più le azioni si ripetono, più il nucleo offre indizi a chi investighi e diviene così vulnerabile. Se poi il gruppo si consolida e prosegue nel tempo (l’Eta ad esempio è al quarantacinquesimo anno di lotta armata !) non può non arruolare. Ma come arruola ? Per passaparola nei luoghi di ritrovo limitrofi alla cosiddetta eversione; quelli, cioè, infiltrati da tutte le polizie.Se le polizie non sgominano questi gruppi è perché a loro stesse o a qualche potere forte essi servono. È lampante. Lo si può accettare o ci si può rifiutare di accettarlo, coprendosi gli occhi per non vedere. Si resta, in tal caso, prigionieri della messa in scena e si è posseduti dalla Regia.
  7. È stupefacente che, da undici anni in qua, un’intera area parli di un “tradimento” di Fini. Evidentemente si lascia abbagliare dal virtuale e dall’apparente e poco o nulla ha dimestichezza con le categorie del reale. Facciamo un salto indietro e ce ne rendiamo conto. Nel 1967 ci fu uno scossone antinazionale al vertice del Msi che si concretizzò nel sostegno all’aggressione israeliana all’amico Egitto (che tra l’altro finanziava il Msi dai tempi di Filippo Anfuso). Nel 1968 gli stessi promotori di quella svolta (Almirante e Caradonna) si misero in evidenza con l’aggressione al Movimento Studentesco in chiave antimovimentista e antisociale. Nel 1972 Il Msi aprì al partito di Badoglio, ai partigiani bianchi e ai massoni atlantisti. Nel 1975 sostenne una linea liberista. Nel 1976 Almirante chiamò l’intero gruppo parlamentare ad alzarsi in piedi e a battere le mani alla fine del discorso d’investitura di Sandro Pertini, uomo che andava vantandosi di aver dato l’ordine di assassinare Mussolini e che, nell’immediato dopoguerra, era corresponsabile dell’ordine pubblico a Milano dove eccidi e linciaggi furono perpetrati in serie. Agli inizi degli anni Ottanta chiese la doppia (!!) pena di morte contro i camerati. Durante la crisi di Sigonella Almirante fu l’unico leader parlamentare, oltre a Spadolini, a contrastare servilmente       quell’episodio di dignità nazionale che aveva visto come felici protagonisti Andreotti e soprattutto Craxi. Dopo ventisette anni almeno di questa linea come si può imputare a Fini di averla capitalizzata a partire dal 1994 e accusarlo di tradimento ? Di che ? Verso chi ? Chi mai si è reso conto della realtà, chi non ha voluto vedere ? Ma per piacere, un po’ di serietà ! La questione è ben altra. Serve un’opzione sociale, culturale e di politica estera completamente diversa e, in ogni caso, che nasca da sé, non da una costola di un partito fatiscente, qual era il Msi a fine Prima Repubblica. Personalmente ben poco crediamo nell’opzione parlamentaristica oggi e sull’argomento ci siamo soffermati ripetutamente. In ogni caso, per chi la ritenga importante, c’è molto da fare, partendo proprio dall’accantonamento della sindrome del tradimento; altrimenti non si muoverà paglia.
  8. Per un’idea articolata di quello che intendiamo vedere il manifesto di Polaris, edito in anteprima all’Epifania 2005 (www.noreporter.org); in particolare nella versione con commento.

 

 

Riquadri

 

1

Sull’utilità che per il potere oligarchico svolge il Nemico esterno

 

“Per il solo fatto di orientarsi contro l’Altro, l’odio fa apparire lo Stesso come lo Stesso. Più precisamente, la linea di demarcazione fra lo Stesso e l’Altro cessa di correre, come accadeva prima, all’interno della Città (fra i cittadini). Si verifica una doppia identificazione dello Stesso con il concittadino e dell’Altro con lo straniero. Da questa parte della frontiera ci sarà l’amico, dall’altra il nemico. (…) La dualità amico/nemico ricalca quella tra l’interno e l’esterno. Proprio questa riorganizzazione della dualità amico/nemico per doppia assimilazione del concittadino con l’amico da un lato e dello straniero col nemico dall’altro, consente il ritorno della pace civile. Per l’odio che suscita, lo straniero, identificato col nemico, permette alla Città di non esistere più in sé ma per se stessa, aiutandola a sormontare le proprie divisioni interne.”

 

Eric Werner da “La guerre comme remède” in “L’avant-guerre civile”,edizioni L’age d’Homme, Paris 1999. Werner è pubblicato in italiano da Settimo Sigillo.

 

 

2

Sulla funzione della lotta armata

 

“Molto prima dell’avvento dello spettacolo, già la religione, che è sempre stata un prototipo d’ideologia funzionale per i poteri antichi, aveva inventato il diavolo, primo e superiore agente provocatore che doveva assicurare il trionfo completo del regno di Dio (…)

Come lo scandalo è necessario per la più grande gloria di dio – diceva nel 1820, in piena Restaurazione, Paul Courtier – così lo sono le cospirazioni per il mantenimento della polizia speciale. Farle nascere, soffocarle, accendere al miccia, spegnerla è l’arte del ministero, la forte e fine scienza degli uomini di Stato (…)

I corpi separati dello Stato, raggiunto l’attuale livello di potere, non possono che continuare a servirsi della medesima tattica d’ infiltrazione utilizzata con successo nei riguardi delle BR, estendendola a tutte le istituzioni. Per queste ragioni, non soltanto il terrorismo non si fermerà, ma aumenterà quantitativamente e qualitativamente.”

 

Gianfranco Sanguinetti “Del terrorismo e dello Stato”, 1979

 

 

3

Sulla funzione del terrorismo internazionale

 

“La nostra politica di stabilizzazione del mondo è la sola possibilità di stabilizzazione del nostro mondo ed è mediante il travestimento di questi obiettivi che la nostra esposizione farà del nostro mondo l’unico mondo possibile.

La nostra politica, nel più profondo, vuole il contrario di quel che dichiara e diffonde. Ma è proprio così che si diffonde in profondità la nostra politica.

La nostra visione mondiale non aspira a contenere l’onda traboccante dell’islamismo. Tende al contrario a sostenere la sua espansione, perché ben sappiamo che l’integralismo e il senso di sottomissione che questo propaga è il modo più efficace per impedire l’insorgere di movimenti sociali autentici che, essi si, potrebbero contrastare l’espansione del nostro impero.

I legami tra Bin Laden e la Cia che risalgono a molti anni addietro, al contrario della vulgata giornalistica, non si sono rotti nel campo cronologico dell’11 settembre; hanno, all’inverso, acquisito maggior pertinenza a partire da quella data.

Bin Laden non si è affatto rivoltato contro i suoi creatori – ovvero noi – ci ha fornito la creazione più evidente di quell’evento di cui avevamo bisogno per un (contr)attacco spettacolare: dare alla politica strategica del terrore, una strategia politica di alta concezione”

 

Terror “Véridique rapport sur les dernières nécessités de préservation et d’extension de la domination américaine sur le monde”. Samidzat, 2002