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A scanso di equivoci ho sempre avuto un debole per le cause perse: dunque per i vandeani, per gli chouans, per i nobili senza fortuna che andavano fieramente alla ghigliottina (uno, prima di salirvi ripose il segnalibro nel volume alla pagina che stava leggendo con un panache ed una dimensione metafisica di prim’ordine). Non posso non amare i borbonici, in particolare gli strenui, disperati difensori di Gaeta. Di più: amo i Borboni che furono regnanti magnanimi, illuminati, progressivi ed intelligenti contrariamente a quanto traspare dall’iconografia liberale e inglese. Tanta e tale fu la diffamazione nei loro confronti e tante e tali le mistificazioni per tratteggiarne un ritratto orrendo e disumano, da farne degli Adolf Hitler ante litteram e, dunque, degli uomini la cui memoria deve essere difesa, non fosse altro che per buona educazione.

 

Conscio e felice delle contraddizioni

 

Ho amato anche le camicie rosse e l’esercito napoleonico che nutriva il sogno pre-hitleriano di spingere i confini dell’Europa oltre il ghiaccio e il freddo, di far trionfare il cosmos – sia pur in un’accezione titanica – sulla morsa del caos.

Sono in contraddizione, ne sono conscio. Conscio e felice. Se capiti in un momento preciso non puoi stare da due parti contemporaneamente ma da una sola; anche se, in entrambi i casi come ogniqualvolta la borghesia liberale e l’alta finanza hanno avuto mano libera, il vero nemico si è dimostrato un altro.

Il liberismo sia allora, contro la reazione legittimista e le innovazioni rivoluzionarie bonapartiste, sia poi, contro la resistenza borbonica e il sogno garibaldino, e ancora negli anni Settanta. Ma questa è storia più recente e meno epocale.

Se però hai la fortuna di trovarti al di fuori dalla contingenza puoi essere benevolo con ambo i sognatori disperati, anche se si odiano tra loro e se si sparano addosso.

E non puoi che indignarti e provar disprezzo per coloro che s’ingrassano sul loro sangue e sulle frustrazioni di popoli interi.

 

Compariamo le mele con le mele, per favore

 

L’errore di Evola sta, a mio parere ovviamente, nell’aver ecceduto nell’ottica di distacco con cui ha valutato il fenomeno. Le critiche che apporta al bonapartismo (e poi al fascismo e al nazionalsocialismo) sono di tipo concettuale: troppo ctonio, totemico, di massa, “impuro” perché prende la sua autorità “dal basso”. Posto che questa chiave di lettura sia corretta, va però detto che i modelli rispetto ai quali questo neocesarismo viene criticato dall’Evola sono anteriori e non contemporanei ad esso, né è stato il nuovo modello a spazzarli via. Tutt’altro, sia il bonapartismo che il fascismo che il nazionalsocialismo si sono trovati a nascere in un momento di dualismo sterile e irrisolvibile fra una pulsione sovversiva frenetica e sterile da un lato ed una reazione inerte ed impotente dall’altro. E vi hanno apportato una sintesi facendosi restauratori/rivoluzionari e irrompendo nel mondo con un fragore e con una pienezza strabilianti.

Ovunque ciò non sia accaduto le nazioni sono andate in decadenza e le oligarchie si sono arricchite: sia che a prevalere siano stati estremismi sovvertitori (come il comunismo), che progressismi moderati (socialdemocratici o nazional/liberali) sia che abbia vinto la reazione, perché il più grande impulso al liberismo e al classismo è stato dato in Francia proprio dalla Restaurazione che dell’ Ancien Régime aveva mutuato forme e cosmetici ma che della Rivoluzione Francese fu la continuazione di classe, invertendo, quindi, il ruolo storico che fu del Trono prima del 1789.

 

Contro l’Empereur tutti i piccoli e qualcuno troppo grande

 

Grande fu Napoleone, grandissimo. E come tutti gli uomini grandi e visionari, discusso e pieno di lati oscuri. I piccoli però sono sempre in agguato; poiché non perdonano la grandezza eccoli pronti a diffamare, insozzare, e ad enfatizzare ogni aspetto cruento del loro passaggio. Così, in un’epoca in cui si fucilava come si bevesse e in cui ci furono orge di sangue e un vero e proprio abbozzo di genocidio in Vandea, in un’epoca in cui si mercanteggiava quotidianamente in schiavi, si cerca di mettere in evidenza le, peraltro rare, azioni repressive dell’Empereur, la fucilazione della famiglia Hofer e del Duca d’Enghien.

A parte i piccoli – che oggi dominano per conto di altri più discreti e, quindi, hanno piena libertà di bava – ci sono quelli che, come l’Evola, contestano a Napoleone l’essersi messo nel senso della storia e non in contromarcia.

È un’opinione rispettabilissima, purtuttavia ci sembra opportuno far notare che Napoleone non aveva prodotto quell’onda; non solo: la portò su altri lidi, in altri modi, con altri risultati contribuendo a tracciare qualcosa che l’Oligarchia (ovvero l’eterna nemica dei popoli e dei re, della giustizia e dei costumi) ha avuto gran difficoltà a scompaginare tant’è che ancor oggi vi si prova.

Il valore del neocesarismo

 

Non ci rimetteremo qui a rifar la storia, ma questo bicentenario dell’Incoronazione, ci dà lo spunto proprio per rammentare quanto segue: che la via bonapartista non ha esportato la Rivoluzione Francese, così come si dice comunemente, in quanto quella Rivoluzione era già in tutte le corti d’Europa da almeno mezzo secolo, ma al contrario ha imposto un nuovo modello partecipativo che, senza minare le classi dominanti, faceva comunque unità di popolo e innovazione di diritto. Contro quell’unità di popolo e contro il diritto si muove oggi la macina al contempo sovversiva e controrivoluzionaria di stampo oligarchico in tutte, dicasi tutte, le accezioni e varianti.

Non solo: il neocesarismo, in tutte le sue forme del XIX e XX secolo, ha frantumato lo schema dualistico che è quello su cui si fonda ogni tentativo di neutralizzazione degli uomini liberi e delle partecipazioni popolari ed ha offerto una sintesi che è al contempo figlia dell’uno e dell’altro campo ma, soprattutto, ne produce un terzo, unitario, etico, coinvolgente e superiore.

Ed è questo, oltre ovviamente alla grandezza, oltre allo stile di vita, oltre alla filo/sofia nell’accezione esistenziale e viva dell’Antica Grecia, che non si è perdonato al fascismo.

Ed è per questo che il post/neo/para/fascismo subisce un continuo attacco ideologico, fatto di contraffazioni storiche e filosofiche, da parte della reazione guelfa e del trasformismo neolibersita cui fanno da pendant delle fughe “a sinistra” di stampo neolaburista, intrise di pensiero debole.

 

Codici prefabbricati

 

Lo schema duale dei cattivi (sempre manovrati dal Male) contro i buoni (sempre quelli e sotto etichetta doc) non solo è grezzo e grossolano, ma serve ad un preciso scopo: ad uccidere il neocesarismo, dunque l’impulso vitale a farsi signori di sé e uomini creativi, positivi, attivi.

Ma a nessun’oligarchia – quale ne sia il colore, la religione, il simbolismo – sta bene che l’uomo possa essere giudice, che possa mettersi a giudizio, che possa lottare per la giustizia. Per ogni oligarchia, egli deve applicare un codice prefabbricato e operare per la maggior grandezza di una setta, quali ne siano le dimensioni poco importa.

E a quel punto, quando ci si fa rinchiudere in questi steccati angusti, quanto conta la scelta di campo ? Certo, tutte le forze oligarchiche, tutte le produzioni guelfe, protestanti e quanto ne è storicamente e sociologicamente conseguito non si equivalgono tra loro. Alcune sono migliori di altre, anzi meno peggio. Si, e allora ? Il nocciolo della questione è ben altro: è tornare alle radici, alla Rivoluzione Fiolosofica che disegnò l’Europa duemilacinquecento anni fa e che ne fece, rispetto all’Asia, centro di civiltà titanico/eroica e non luogo di sottomissione.

 

A volte son meglio i “peggiori”…

 

Non tanto tempo fa mi trovavo a Siena, cittadina emblematica della storia italiana, dalle gloriose radici ghibelline e con alcuni burrascosi, ma anche artisticamente proficui, trascorsi classisti guelfi. Qui sorse il Monte dei Paschi, banca guelfa (ma le banche sono sempre guelfe, di genia o di gene). Davanti alla sua sede troneggia una statua di un prelato dall’aspetto sinistro. La dicitura è “a Sallustio Bandini che la libertà economica per primo affermò per la prosperità dei popoli. Nel centoventesimo anniversario della morte”. La statua è del 1880. Il Bandini fu un pioniere del liberoscambio già negli anni Trenta del ‘700. Dunque non solo i protestanti, non solo gli ebrei. E i massoni ? Passati pochi metri c’è una lapide: “di qui Garibaldi arringò il popolo: o Roma viene all’Italia o l’Italia andrà a Roma”. E con chi stai se passi per Siena ?

Ma la logica dualista è velenosa. Essa pone l’accento sui mali dell’altra faccia dello specchio e tu, per repulsione, ti tappi il naso e t’irrigidisci in questa e sbagli comunque: perché lo specchio va frantumato se non vuoi esser schiavo. Proprio il neocesarismo ha indotto centinaia di migliaia di uomini a liberarsi da sé, ad essere centri autonomi di civiltà, liberi dalle convenzioni soffocanti del conformismo pietrificatore. E tra tutti i neocesarismi il fascismo in particolare.

 

Etica o Morale

 

Cogliamo quindi lo spunto da Napoleone per dirci che la nuova tendenza di contrapporre al Nihil Global un codice scritto di riferimenti e di comportamenti è priva di potenza , che la tentazione a delegare l’Etica (ovvero la legge interna che regola il comportamento) alla Morale (ovvero la legge esterna che obbliga l’atteggiamento) non solo è politicamente priva di sbocchi ma è sterile, sterilizzatrice e fragile. Quando si sostiene che la famiglia è il perno della società, ad esempio, non si fa che scoprire l’acqua calda. Senza addentrarci nell’argomento, che presupporrebbe la necessità di rammentare il ruolo del Clan senza il quale la famiglia è scombussolata se non proprio alla deriva, non dobbiamo dimenticare che la famiglia è fatta da uomini e da donne che sono uomini e donne di adesso. E che sono preda delle loro frustrazioni e nevrosi, in balia a valori e a ideologie di stampo individualistico, e fin tanto che non avran mutato il loro stesso orientarsi, non potranno che fingere di aderire ad un modello alternativo (tradizionale se proprio vogliamo: benché anche su questo si dovrebbe disquisire).

 

Quello scandalo di nome fascismo

 

Siamo soli nel deserto e dobbiamo tracciarci la via seguendo le stelle. Partiamo di qui e, allora, evitiamo di oscurarle queste stelle e di accomodarle ai nostri singoli livelli interpretativi e comportamentali. Quando Padre Tam, ad esempio, sostiene – in buonissima fede ovviamente – che Mussolini è stato ucciso perché credeva nella famiglia ci dà la misura di come sia possibile ridurre, comprimere, affievolire la portata di una rivoluzione dalla portata immensa. Perché Mussolini credeva sicuramente nella famiglia, ma non solo nella famiglia e ci credeva eticamente e non moralmente, tant’è che venne assassinato con la sua coraggiosissima amante. Se noi sostenessimo, con alcuni integristi, che la rivoluzione di Mussolini fu una reazione moralistica incentrata sul valore/famiglia, commetteremmo dapprima un grave errore offrendo il fianco ai lazzi degli anti/fascisti che già risero abbastanza quando il divorziato Almirante scese in campo contro il divorzio. Quindi un enorme errore di valutazione sul fascismo che fu anche eretico, anticonvenzionale, scandaloso oltre che ortodosso e tradizionale: e proprio in quest’ anche e nella capacità di assumere e di inquadrare gerarchicamente gli aspetti contraddittori insiti sia nella natura che nella cultura sta la magnificenza del fascismo.

Infine, ed è la cosa più grave, ci rinchiuderemmo in un atteggiamento sterile, dualista, insolubile, cessando di essere un’alternativa, sia pur potenziale, all’oligarchia e a tutto quanto odora di essa.

Ecco perché questo bicentenario va ricordato: per aiutarci a riflettere. E, di conseguenza, a tornare ad agire. Al di fuori degli schemi, contro di essi.