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 Era di conio recente, ispirato da un’avanguardia, Jeune Europe di quel Jean Thiriart che in netto anticipo sui tempi aveva visto giusto sui problemi e sui destini della nostra civiltà.
Ma questa triplice parola d’ordine aveva soprattutto un radicamento nel sangue versato, spesso gioiosamente, sui fronti dell’est e dell’ovest.
Nato nei ranghi della Hitlerjugend e cresciuto negli sguardi ardenti e nelle aspirazioni sognanti di tutti i nazionalisti rivoluzionari non tedeschi, quell’ideale si era condensato nel rituale eroico e fanciullo delle Waffen SS europee ed anche nel verbo e nel piglio di Alessandro Pavolini e delle Brigate Nere sorte d’incanto.
Fascismo, Europa, Rivoluzione era stato, insomma, non solo un motto ma una realtà completa, articolata, che era nata di slancio, prodotta dalla volontà, fiorita e subito tranciata in primavera, come un fiore di ciliegio.

Fascismo

La nostra contestazione fu invece un pallido autunno. Un autunno che produsse tragedie allegre e meno allegre e che conobbe non pochi sacrifici netti, puliti, esemplari,  ma nulla a confronto degli anni Quaranta.
Cadute le foglie s’ibernò anche il cervello. Sicchè mentre gli eventi internazionali si susseguirono in modo parzialmente simile a quello che certi anticipatori di allora – Thiriart, Adriano Romualdi ed altri – avevano previsto, chi avrebbe in qualche modo dovuto capitalizzarne gli insegnamenti li dimenticò.
Nel frattempo, pian piano, lo scenario politico si è trasformato, portando le classi dirigenti tutte – russe o americane, “democratiche” o reazionarie – ad affermare la necessità di un superamento della democrazia.
Il che – si badi – non significa un ritorno al fascismo o una riedizione del fascismo.
Significa però dirigismo, elitismo. Che, nella cultura e nella prassi turbocapitalista – così come in quella delle nomenclature di stampo comunista – vuole dire oligarchia, sfruttamento delle masse e degli individui, imbarbarimento. Si tratta di un dirigismo speculare – dunque inverso – rispetto a quello fascista, così come la tirannide, dicevano gli elleni,  è l’inversione della monarchia.
La storia delle dottrine politiche, dei movimenti politici, degli stessi stati, è caratterizzata dalle interpretazioni e dalle soluzioni offerte alle tendenze in atto in quel momento.
La tendenza di oggi – in senso lato – è assai chiara e la scelta, l’unica esistente, è tra la schiavitù della tirannide oligarchica e la libertà del fascismo popolare.
Laddove per fascismo s’intenda quella forza centripeta, dinamica, generosa e mutevole che non s’irrigidisce in forme preconfezionate. Che s’innova nel fluire storico e si ripropone attualizzandosi.

Europa

Europa. Per venti anni non se n’è più sentito parlare proprio laddove era imperativo che si levasse una voce. La quale, in sospetta ma sicuramente innocente simmetria con certi interessi d’oltre atlantico, si è invece messa a porre l’accento sulle perversioni dell’edificio comunitario. Contrapponendovi però non tanto la forza emergente della potenza francotedesca e del nazionalismo imperiale russo quanto un ritorno all’isolazionismo e al particolarismo del patriottismo tardo/ottocentesco. Per un certo mondo si è trattato addirittura del passaggio dal ruolo di avanguardia che svolgeva a fine anni sessanta a quello di zavorra assunto agli inizi dei novanta e che fa fatica ad abbandonare.
Intanto gli eventi economici e geopolitici sono andati tutti a convergere verso un altro cardine. O l’immenso blob Wasp conquista l’Asia Centrale, liquida le civiltà, frantuma ed inginocchia l’Europa, oppure tutti gli equilibri internazionali mutano con l’affermazione di un nuovo soggetto geopolitico: appunto l’Europa a vocazione asiatica, calamita e perno di un mondo nuovo.
A prescindere dalle ideologie e dalle carature dei singoli soggetti, un po’ ovunque nel Continente (e anche in America) lo spartiacque delle prese di posizione s’individua proprio nell’idea che ci si fa dell’avvenire europeo. L’Europa, dunque, si profila all’orizzonte come qulacosa che forse verrà ma che, in ogni caso, è potenzialmente imminente. Dunque come qualcosa di attuale e futuribile.
E, soprattutto, rappresenta la sola soluzione per la salvaguardia delle civiltà e delle libertà internazionali. Esattamente come fu detto negli anni settanta: non c’è alcuna possibilità per il Terzo Mondo e per la causa guerrigliera dei popoli feriti senza la protezione europea.
E proprio l’Europa è la partita in gioco nella guerra mondiale strisciante oggi in corso. Dunque, Europa, è molto più di un concetto e, soprattutto, cosa molto diversa dalla UE, debole compromesso frenante: è la forza che può – e in qualche caso sembra voglia - stringersi sull’asse trino Parigi/Mosca/Berlino.

Rivoluzione

Non avremo alcun’Europa libera, indipendente e potente fino a che le sue classi dirigenti, i suoi filtri informativi e le sue genti tutte saranno preda delle pochezze borghesi e delle costruzioni ideologiche prodotte dal pensiero debole e dalla globale e incondizionata intolleranza “politically correct”. Escamotages psicologici e concettuali che consentono a uomini flaccidi e indecenti di darsi una parvenza di solidità e di civismo evitando accuratamente di  verificare che il sistema in cui vivono è una miscela di vampirismo e di cannibalismo.
Uomini inconsistenti, corrotti nel midollo, incapaci di rinunciare, di sacrificarsi, di mettersi a rischio, in altre parole privi di amore e di onore, non potranno competere con uomini identici, in sella a New York o altrove, che hanno materialmente più frecce al loro arco: non possono perchè ne hanno troppa paura.
Tutta la questione epocale che si cristallizza sull’Europa e sull’alternativa dirigista non avrà allora soluzione se prima non se ne risolve un’altra. C’è la necessità imprescindibile di una rivoluzione. Non tanto di un cambiamento sociopolitico quanto di una mutazione antropologica.
Che è materialmente e materialisticamente possibile. Lo è dal punto di vista sociologico perchè crediamo che gli sviluppi del capitalismo conducano ad una polarizzazione ed alla nascita, al di sotto di una potentissima quanto sparuta oligarchia apolide, di una serie di economie sociali tendenzialmente autonome ed autocentrate. Lo è dal punto di vista energetico se ha ragione Blondet quando prevede un cambio epocale proprio riguardo l’energia del futuro 1 .  Una rivoluzione è dunque plausibile ragionando secondo canoni marxiani, sia in campo economico, sia in campo energetico. Ma a noi serve di più: a noi urge una rivoluzione operata dalla volontà che produca quella che Evola definiva un’idiovariazione, ovvero una mutazione decisa e intrapresa con la massima pertinacia.
Una rivoluzione che si fondi sullo spirito di sacrificio, sulla virilità spirituale, sulla gioia della rinuncia e del “me ne frego”, sull’autenticità, sul rifiuto della recitazione e della virtualità, dell’apparenza e dell’approssimazione, sull’aderenza costante e sofferta alle cose, alle imprese. Sull’incorruttibilità dei nobili nicciani, coloro che amano la povertà e schivano gli onori.

Fascismo, Europa, Rivoluzione

Sono passati quasi quarant’anni eppure quel motto di allora racchiude, e oggi in modo particolare, l’intero senso del futuro.
Fascismo: in quanto unione, pragmatismo, rapidità, generosità, partecipazione, rappresenta il modello ispiratore dell’alternativa alla tirannide oligarchica.
Europa: una potenzialità che prende forma e che esprime la sola alternativa geopolitica e culturale alla globalizzazione e che s’incentra su di un’impresa pluralistica che si orienta sul polo franco/tedesco/russo.
Rivoluzione: la chiave di tutto.
Nessuno dei tre elementi avrà un senso e un futuro in mancanza anche di uno solo degli altri. Nè ci sarà senso o futuro senza di essi.
Iniziamo allora a metterli in pratica perchè la vita non aspetta i ritardatari. E poichè ogni popolo ha della sacralità del destino una sua percezione, lasciamo ad altri aspettare la manna, noi abbiamo la tradizione di fondare città immortali. Che si basano, anche, sulla memoria e sulla riconoscenza, che dobbiamo certamente ai giovani leoni di sessant’anni fa che abbiamo l’orgoglio di non aver dimenticato, ma anche ai lucidi mentori del dopoguerra, a Jeune Europe e alla Giovane Italia che seppero anticipare i tempi e tuttora rimangono avanguardie. Grazie e proseguiamo.

1 Maurizio Blondet, Osama Bin Mossad, edizioni effedieffe, Milano, dicembre 2003