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 Abbiamo deciso di non ignorare la ricorrenza così come già rispettammo l’anniversario della Marcia su Roma. Non certo per nostalgia ; ché nostalgici, almeno noi, non possiamo essere definiti ; né per carenze di argomenti o di orizzonti politici che, magari da monocoli fra tanti ciechi, reputiamo di poter vantare. Ci ha indotti a questa scelta una serie di valutazioni, alle quali ovviamente potete aggiungere le sacrosante ragioni del cuore.

Tre motivi per guardare a Piazza S.Sepolcro

1) Reputiamo che il fascismo abbia rappresentato la risposta spiccatamente moderna alla crisi esistenziale, sociale e morale che attanaglia i paesi sviluppati.
Non a caso, d’altra parte, esso rappresenta l’ultima e più recente forma politica e ideologica che sia stata espressa. Tanto che, avendola esorcizzata, esiliata e rifiutata, le classi dirigenti negli ultimi sessant’anni hanno dovuto e tuttora debbono annaspare senza posa, ricorrendo a teoremi e postulati ideologici e programmatici che sono molto più vecchi del fascismo e che continuano a rivelarsi fallimentari oggi come lo furono allora. Né può attribuirsi al caso il fatto che i poteri forti, certo snaturandone, distorcendone e mistificandone il significato, cerchino di mutuare gli insegnamenti decisionistici e la mentalità pragmatica ed organizzativa del fenomeno mussoliniano.
In altre parole se non è inesatto ritenere il fascismo un fenomeno storico compiuto e, dunque, irripetibile, è altrettanto lecito se non doveroso andare ad abbeverarsi a questa fonte, andare ad orizzontarsi con questa bussola, visto che tanto alle sue origini quanto al suo tramonto tragico ed epico, questo eccezionale, dinamico, movimento di azione e pensiero già aveva posto e parzialmente risolto le problematiche a venire.
2) È in atto un’opera di storicizzazione del fascismo che comporta quella che Maurizio Murelli ha definito una bonapartizzazione di Mussolini. Questo determina due conseguenze uguali e contrarie : la prima è una vera e propria normalizzazione dei riferimenti fascisti fino a qualche tempo fa reietti e, dunque, il reintegro dei neo o post o pseudo fascisti tra le schiere dei comuni mortali con la perdita dell’annosa e paralizzante bolla di eretici destinati al rogo. La seconda è che, qualora questa normalizzazione avvenisse senza interferenze da parte dei diretti interessati, di quelli veri intendiamo, la stroricizzazione si tramuterebbe in mummificazione e, quindi, in neutralizzazione delle straordinarie potenzialità attuali e future insite nella tradizione mussoliniana e pavoliniana.
3) Se si consente di traghettare il fascismo nella galleria della normalità, ma privato del suo spirito e con anima stereotipata, si lascia che nel millennio appena iniziato entri un cadavere e non un seme fecondatore.
Se non si rivendicano la memoria, l’essenza e la dinamica del fascismo, va a  finire che a celebrarlo saranno le sue scimmie, i suoi rinnegatori : quelli che lo banalizzano , quelli che lo asserviscono e quelli che ne fanno in un modo o nell’altro una parodia.

Smascherare e rifiutare le parodie

E proprio nella parodia risiede il pericolo maggiore, quel che può inficiare l’azione rigeneratrice del fascismo o, comunque, di ciò che da esso deriva.
Dal 1919 al 1945 – ma noi possiamo affermare che ciò è avvenuto anche dopo – il più grande avversario del fascismo, della sua essenzialità esemplare, della sua rivoluzione continua come la definì Pavolini, è sempre stato chi, pseudo, para o sedicente filo fascista, ha operato in controsenso per banalizzarlo, normalizzarlo, cloroformizzarlo, irrigidirlo in una rappresentazione estetica o morale di se stesso.
Ed oggi che, sospinto dalle memorie vive e dal sentimento popolare, esso al contempo si storicizza e si ripropone come modello, ecco che riaffiorano i suoi principali nemici.
Quelli che lo vorrebbero dissolvere e quelli che vorrebbero pietrificarlo.
La dissoluzione che taluni desideravano operare dileguandosi in un sovversivismo subalterno alle sinistre, dopo aver partorito negli anni ottanta non la rivoluzione ma bislacchi buonismi dai toni laburisti, sembra essersi neutralizzata da sola ; forse perché dettata da un eccesso della funzione solvente non ha fatto altro che dissolversi .
Ma altre maledizioni, coagulanti fino alla paralisi, vanno di moda.
Una, contro cui si dovettero battere gli stessi fascisti durante il Ventennio e financo in Repubblica è quella dell’estetismo e del formalismo ; in altre parole della destra borghese un po’ parvenue alla continua ricerca di un riconoscimento salottiero, specie di stampo inglese. Si tratta di una corrente mistificatrice, che amerebbe poter ridurre il fascismo ad un semplice momento storico di difesa dell’ordine sì da prendersene i meriti senza pagarne il conto ; essa non solo è presente in forze nei partiti postfascisti ma serpeggia anche negli ambienti reducistici.
A questa si aggiunge una seconda tentazione mummificatrice, caratterizzata in particolare dal fondamentalismo religioso e dal clericalismo. Si tratta di culture e di funzioni non solo estranee al fascismo ma storicamente ad esso avverso e da esso avversato.
L’abbraccio mortifero tentato e qua e là riuscito da questi rigurgiti del guelfismo è stato dettato loro da alcune fredde considerazioni. Questi equilibristi alla continua ricerca di psiche da vampirizzare hanno individuato nell’estrema destra postfascista una consistenza sentimentale, una scarsa coscienza storica, politica e filosofica ed un notevole potenziale di crescita numerica e, da paguri bernardi quali sono, si sono avvinghiati sul capo di chi desidera battersi ed hanno così iniziato ad insinuare il dubbio proponendo false certezze. Le quali suonano così : fascismo come restaurazione, come difesa di ciò che decade, come moralismo, come scudo crociato. Cioè fascismo come antifascismo ; fascismo come difesa dell’occidente ; fascismo come abdicazione imperiale e ghibellina ; fascismo come bracciantato delle organizzazioni clericali ; fascismo come sfogo delle frustrazioni dei borghesi piccoli piccoli ; fascismo come guardia bianca che sbarra la strada a chi prega l’Islam, al Cristianesimo ortodosso, alle coppie non sposate, ai divorziati e a chi più ne ha più ne metta. Ossia fascismo senza futuro, fascismo in un vicolo cieco, fascismo stravolto e umiliato, fascismo sterile e immobile, fascismo rivolto contro se stesso.
Ma noi che non amiamo il Ku Klux Klan o le Guardie Svizzere, preferiamo conoscere il fascismo laddove e come esso è nato e si è affermato : imparandolo dagli Squadristi e dalle Brigate Nere.



È dall’origine che ci si orienta

La ricorrenza odierna è quella dell’origine, dell’alba, della prima scintilla. E poiché è dall’origine che ci si orienta, si è deciso che questo numero della rivista, a differenza di quello di ottobre quando tracciamo un bilancio della sua esperienza storica, ponga l’accento su alcuni dati caratterizzanti del fascismo,  come sensibilità, come volontà e come mentalità. Questi aspetti sono : la tipologia eroica, una vocazione sociale particolarmente radicale, il legame con la terra e con gli avi, l’entusiasmo nell’avvenire, la spregiudicatezza ed il disprezzo per ogni formalismo.
Non a torto è stato sostenuto che il fascismo sia stato innanzitutto spirito ed epopea dello squadrismo ; ma lo squadrismo a sua volta è una miscela che si compone così : spirito di ardito, anima di futurista e sensibilità socialrivoluzionaria.
Sicché se Mussolini è indiscutibilmente il fondatore, il sovrano e il legista di questo Mito proiettato nel futuro, non si può negare che i suoi modelli archetipali, insieme ad Ettore Muti, siano Filippo Tommaso Marinetti e Alessandro Pavolini.
Pertanto, saltando da Piazza San Sepolcro a Dongo, da Fiume a Salò, abbiamo prediletto l’alfa e l’omega, ossia i momenti topici, decisivi, tragici,  ma soprattutto essenziali nei quali si attesta una continuità di ethos, di pathos e di visuale a dir poco sorprendente.
Ci sembrava doveroso cogliere questa continuità e sottolinearla. Una continuità che è, innanzitutto, epica, sacrificale, combattente, e che potrebbe essere condensata e risolta, come si diceva un tempo, in un’affermazione esistenziale.
Ma non è propriamente così. O meglio : è così se per esistenziale s’intende non soltanto l’affermazione spirituale e guerriera del giovane leone ma anche un modus vivendi sociale, generoso, frugale, genuino, etico, equo e produttivo.
E si badi bene che non si trattava di far vivere fianco a fianco ma separatamente queste due istanze esistenziali, l’una tragica e l’altra comunitaria, bensì di farle convivere in fusione, indissolubilmente nell’uomo e nella donna dell’Italia fascista.

Esempio essenziale, terrore dei benpensanti

L’aspetto rivoluzionario, deflagrante, sconvolgente, vincente e, per tutti gli altri, terrificante del fascismo squadrista e repubblicano è l’assoluta semplicità con la quale propone e pratica l’essenzialità.
Un’essenzialità fondata sulla profonda e forse irragiungibile filosofia del me ne frego, un’essenzialità che sorride di tutte le umane debolezze perché fa sacrificio della vita, delle condizioni sociali, dei fronzoli e dei pennacchi non in quanto il momento lo impone, cosa questa che è sempre avvenuta nella storia, ma lo fa come condizione normale, come scelta.
È il no irriverente alle costruzioni mentali ed alle alchimie psicotiche di tutti i puritani, di tutti i moralisti, di tutti i borghesi e di tutti i disertori degli oneri e delle prove estreme.
È virilità, e per certi versi femminilità, che si oppone ad un maschilismo eunucoide ed asessuato, ad un mammismo immarcescente, ovvero ad una prolungata ed inveterata tradizione di viltà, di servilismo, di rese e di diserzioni che si giustificano con mistificazioni magnificamente costruite.
Il fascismo, perlomeno quello squadrista e repubblicano, rappresenta dunque la cattiva coscienza di tutti i pupazzi impiumati, perché è quell’esempio costante e tangibile che comprova la falsità delle costruzioni retoriche di un mondo che s’imbelletta per celare la sua nudità avvilente.
Il fascismo di Pavolini, che leva gradi e fronzoli dalle camicie nere, che impone le gerarchie funzionali, che propugna la rivoluzione continua, che va cosciente alla perdizione, che si reca volontario in prima linea e che comanda di fatto il suo plotone d’esecuzione, è esattamente, magnificamente, forse irragiungibilmente, quest’esempio essenziale, questa scossa sismica che spaventa i benpensanti stretti nel calore artificiale delle loro famiglie in rovina che, illusi di vivere in eterno, esiliano mentalmente la morte e di fatto non vivono neanche un minuto. Falene…

Pavolini anticipa la lotta alla globalizzazione

Il fascismo dunque come ricerca continua di essenzialità, di essenzialità esemplare.
Potremmo ribattere che quest’essenzialità si può ritrovare anche al di fuori del fascismo. Non scomodiamo uomini di ecclesia quali San Francesco o Padre Pio che, come lo stesso Pavolini, hanno trovato più avversari presso chi doveva esser loro più vicino proprio perché, con l’esempio, ne mettevano a nudo la mistificazione e la menzogna. Non ci azzarderemo a parlare del comandante Massoud perché le differenze di modello culturale sono tante. Ma come non pensare ad Ernesto Guevara, detto El Che, ribelle argentino, rivoluzionario in Cuba, che abbandonò una poltrona ministeriale per andare a farsi ammazzare in Bolivia da guerrigliero ? « Rivoluzione è trasportare i valori della guerriglia nella vita di tutti i giorni » ebbe a dire. Non così diverso da Pavolini anche se molto meno fortunato per esser divenuto simbolo di merchandising presso i rampolli del consumismo occidentale.
Ma tra Pavolini e Che Guevara vi sono un paio di differenze rilevanti che rendono più interessante il fiorentino.
La prima è che il credo pavoliniano è tutto improntato sull’essenzialità e sull’esempio allorché l’ideologia di riferimento del Che, funzionale, pragmatica ed utilitaria nella metodologia, fa del grande guerrigliero un’eccezione, un’eresia. Ed il fascismo, invece è ortodossia dell’eresia o se vogliamo eresia continua che assurge alla dignità di norma.
La seconda è che Pavolini è politicamente e programmaticamente attuale, avendo già, con sei decenni d’anticipo, risposto alla globalizzazione.
Una globalizzazione che già identificava nelle sue componenti, visto che per lui il fascismo repubblicano intendeva combattere tutte le internazionali del potere.Quelle economiche, finanziarie, religiose e politiche. Ossia le diverse strutture portanti dell’ideologia globale.
Ma Pavolini è andato oltre nella risposta alla minaccia incombente. Lo ha fatto negli orientamenti (il Nuovo Ordine Europeo poliarchico ed etniarchico anticipa le soluzioni imperiali europee a vocazione eurasiatica che rappresentano la prima alternativa al mondialismo, un’alternativa che oggi seppur vagamente e faticosamente sembra prender forma) ; e lo ha realizzato nelle attuazioni pratiche. Le sue scelte sia dal punto di vista organizzativo (territorializzazione, binomio decentramento-coordinamento, assemblearismo) che da quello socioeconomico (superiorità del lavoro sul capitale, valorizzazione della produttività cogestita) vanno nel senso della localizzazione armonica, dell’autonomia e della partecipazione diretta.
Le scelte selettive ed operative fondate sul sacrificio, sull’onere e sulla generosità a tutti i livelli (sacrificio della vita, solidarietà, assistenza ai bisognosi) gettano le basi di un’autentica élite.
In altre parole, nell’attuazione pavoliniana dell’insegnamento di Mussolini troviamo tutte le risposte per il nostro domani. Un domani che non può non coniugare l’idea di Europa, l’economia sociale, la partecipazione e, come garanzia di tutto, un’eutentica élite povera    e dedita al servizio. Un domani, insomma, frugale, spartano, solidale e vincente.
Per questo, o meglio, anche per questo, ci par cosa giusta e fruttuosa andare a vederlo una volta di più questo fascismo sansepolcrista, squadrista, futurista, fiumano, volontario, repubblicano.
Questo fascismo che ha nobilitato l’intero passato italiano, l’impeto risorgimentale, che ha rinnovato e nobilitato il socialismo, che ha scritto le poche ma grandi pagine di storia dell’Italia unita ed ha lasciato dopo di sé non solo uova di drago ma germogli di sempreverde.
Fascismo allora come spunto, esempio e orientamento. Fascismo come ritorno al futuro.