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Berlusconi

Per Berlusconi si possono provare emozioni diverse: dall’ammirazione sconfinata all’invidia sociale, ma quali che siano i sentimenti che si nutrono verso di lui nessuno può metterne in dubbio le straordinarie capacità.
A quest’uomo riescono cose che ai comuni mortali sembrano impossibili, come lo sfatare il luogo comune per il quale la destra non scenderebbe in piazza. Ce l’ha portata imponente almeno quanto le folle di una gigantesca manifestazione sindacale ma con una differenza non di poco conto: si trattava di gente qualunque che non deve rispondere a nessuno della propria assenza, come non accade invece nelle strutture clientelari di sindacato. Lì si va e basta, anche se non si è d’accordo.
 Il Cavaliere ha quindi impartito un’ulteriore lezione ai suoi mediocri e rissosi compagni di cordata che gli stanno, tutti, svariate spanne sotto.

Un fine-peronismo

Lo straordinario successo del Berlusca non è proprio un canto del cigno ma dovrebbe segnare la chiusura di un ciclo.
Ciclo che iniziò quando l’imprenditore di Arcore decise di interpretare quella tentazione peronista che in Italia serpeggia da un buon quarto di secolo e che solo goffamente avevano  provato a cogliere Craxi e Cossiga, mentre in una scimmiottatura si erano sperticati Orlando, Segni e Di Pietro.
La kermesse del 2 dicembre, al di là dei contenuti sbandierati, quali il liberalismo a piè sospinto, è stata infatti sostanzialmente un bagno di folla populista dietro un acclamato conducador. Anche un’arlecchinata se vogliamo, visto che si mescolavano simboli e segni alquanto diversi. Vedere un Tricolore della Rsi confondersi con bandiere della Padania o di stati invasori, come gli Usa e Israele lascia pensare. La chiave è però semplice: nessuno crede in programmi, contenuti e strutture e tutti si affidano a quello che vedono come l’uomo della provvidenza. Il concetto è elementare: “fai tu, noi ti appoggiamo”.
Ed è anche per questo che probabilmente ci troviamo in presenza della chiusura di un ciclo.

CdL a termine

Per quanto sia capace, trascinatore e megalomane, Berlusconi non può  esimersi dal fare i conti con una realtà storica, politica e sociologica che probabilmente conosce meglio di noi.
Bisogna dire che questa realtà va modificandosi a passi accelerati e il suo sviluppo prevede che le folle siano smembrate, che le kermesse politiche chiassose si limitino soltanto a sfiorare i marciapiedi, che le forze politiche siano prive di contenuti e cariche solo di immagini vuote, che i vertici dei partiti siano composti da portaborse dei poteri forti che, tutt’al più, possono mediare con questi ultimi le istanze della periferia.
Berlusconi sta provando ad andare controcorrente facendo di se stesso un esponente dei poteri forti, il mediatore con i poteri forti,  il partito personale e la voce della piazza. Uno e quaterno insomma.
Ma l’incantesimo  gli può riuscire solo di tanto in tanto. Né le magie del Cavaliere  possono procedere all’infinito visto e considerato che la regia del sistema, sta preparando trasformazioni della geometria politica italiana. A meno di veri e propri miracoli questo significherà anche la fine dell’attuale CdL e di quell’apertura a tutto campo che ha visto le destre estreme candidate al parlamento con possibilità di elezione.

Dentro ai giochi

I giochi in atto sono abbastanza noti, anche se i singoli piani talvolta si contraddicono lasciando credere che stia incubando chissà quale novità.
Il grande nome ricorrente è “partito unico”. Ma si tratta poi di questo? Per Berlusconi sì, lui trasformerebbe la CdL in un solo partito. Questo però metterebbe in difficoltà la Lega, i democristiani che puntano ad un disegno un po’ diverso, e ovviamente ridurrebbe le estreme destre al contorno del pneumatico della ruota di scorta.
Ma c’è un altro gioco in tavola: la corsa al Partito Popolare, una corsa che prevede il ridimensionamento, magari tramite pensionamento onorifico, di Berlusconi.
Nel Partito Popolare poi hanno già detto chiaramente che non accettano nulla che sia anche pallidamente reminiscenza di identità non liberal-democriste. La stessa AN dovrebbe sciogliersi prima di aderire al PP e non esservi inglobata direttamente.
Ovvero: fuori la Lega e gli alleanzini non DC con consequenziali trasformazioni dello scenario e delle alleanze contrapposte.
Senza contare che  la corsa al PP è in atto da parte di tanti di quei centri politici che è difficile non prevedere uno smembramento della coalizione. Già in An i favorevoli al PP sembrano scegliere padrini diversi. Fini, con un certo fiuto istintivo, si sta proponendo come l’esponente dell’ala laica; Alemanno invece punta sui cattolici. Ma poi c’è Buttiglione, ci sono i Forza Italia. Una notte artica delle lunghe forchettate sta forse per iniziare. E la posta non è certo l’alternativa di governo ma la conquista delle poche poltrone disponibili.

Ipotesi sul futuro nella CdL

Restiamo nell’ambito della CdL e dei suoi oppositori satellitari all’estrema destra, tenendo comunque conto che sul versante complementare di centrosinistra le cose vanno in modo assai similare.
Due sono le possibilità. O vince ancora una volta Berlusconi e allora si crea il partito-CdL, oppure ci si avvia al varo del Partito Popolare.
Nel primo caso ogni piccola forza politica dovrà essere assorbita o centrifugata; ragion per cui è prevedibile come mossa successiva l’avvio di una nuova riforma elettorale che impedirà alleanze disinvolte come quelle della scorsa primavera e taglierà fuori ogni residuo di estrema destra.
Nel secondo caso il Partito Popolare giocherà strabicamente: sempre pronto al varo della Balena Bianca, avrà bisogno alla sua destra di qualche feudo, come la Lega e magari quel DiDestra storaciano che potrebbe essere il contenitore di tutti i microleaders estremisti o degli alleanzini inossidabili in una sorta di Rifondazione.
Quindi la denominata “destra radicale” si ritrova, nel migliore dei casi, al punto di partenza del dopo-Fiuggi e avendo gettato al vento anni e anni per cecità ed incapacità.

L’estrema destra dopo la primavera del 2006

Non ci volevano dei geni per capire con larghissimo anticipo che per le politiche del 2006 la CdL avrebbe aperto le sue porte a destra. I politici sono tenuti a prevedere i fatti e a prepararsi ad essi, altrimenti non sono politici. Sicché se nei partiti della d.r. s’intendeva davvero cogliere l’occasione “storica” bisognava partire in tale direzione molto prima. Si doveva fare come i trozkisti che hanno immediatamente circondato Berlusconi di intellettuali e di commissari politici al fine di avere qualche referente forte intorno al quale rotare e su cui fare perno per avanzare.
Era indispensabile preparare i militanti e i quadri per l’avvento di un’era nuova che per la sua stessa morfologia non permette mobilitazioni “rivoluzionarie” al di fuori di palcoscenici periferici e si doveva quindi smetterla di qualificarsi solo ed esclusivamente con l’invettiva contro i “traditori”.
Invece, more solito, l’estrema destra è arrivata impreparata, subalterna e senza avere approntato i mezzi necessari, ad un appuntamento che ha accettato immediatamente, con una disinvoltura invero imbarazzante, e che ha saputo perfettamente fallire anche per la divisione interna che non credo sia stata innocente.
Quelle elezioni hanno avuto comunque il merito di far venire al pettine tutti i nodi dell’inconsistenza di undici anni di opposizione autoreferenziale, hanno avuto il gran pregio di mettere a nudo la farsa che aveva accompagnato l’allegra sfilata del durismo e purismo da megafono e tastiera con rimborso elettorale incluso.
Quell’occasione proprio perché aveva avuto la prerogativa del crudo realismo  dettava l’impellenza di una revisione globale di uomini, mezzi, slogan, strutture, prospettive. Invece per ora il cambiamento di primavera ha solo influito sulla disinvoltura dei rapporti e delle affermazioni pubbliche senza produrre modifiche in profondità, al punto che  non vediamo segni di una linea strategica che possa permettere un qualsiasi risultato a qualcuno (singoli arrampicatori a parte).

Mulini e mugnai

Intendiamoci, nulla di nuovo sotto il sole. Il neofascismo si differenzia dal fascismo anche in questo. Seppure anticipa i tempi con le analisi e le proposte (o almeno così accadeva fino a due decenni fa), questo avviene da parte di singoli circoli; politicamente, invece, il neofascismo arriva in ritardo agli appuntamenti e si apparecchia sempre per fare oggi quello che – semmai – avrebbe dovuto fare l’altro ieri. Lo fa, inoltre, con la struttura mentale dell’altro ieri, su scenari, con meccanismi e presunzione di rapporti di forza che invece sono mutati e quindi non più rispondenti agli schemi adottati.
Conclusione: un immane sforzo per risultati modesti che, per giunta, vanno tutti ad altri mulini, o al mulino di un mugnaio già venduto.

Le estreme destre e l’effetto-domino

Lungi da me qualsiasi enunciazione moralistica: politica, se la si fa, la si fa confrontandosi con chi è in campo e non con astratte monadi intellettualistiche. Il problema è come la si fa.
Accettato definitivamente il dialogo con le istituzioni, da ogni parte della d.r. partitica si è deciso di fare un’operazione-domino che si può riassumere nel rafforzamento all’interno del proprio recinto e nella pressione  verso ambienti contigui per l’acquisizione di visibilità e peso specifico, nella prospettiva di fungere  poi da leve per l’introduzione di temi di un certo tipo. E di ottenere posti di amministrazione pubblica, ovviamente
Tutte le componenti partitiche o para/partitiche stanno facendo, chi in un modo chi in un altro, la stessa cosa. Dai rimasugli rautiani, ad AS, alla Fiamma a Forza Nuova.
Per tutti c’è un referente di congiunzione, di solito un eurodeputato, che la cosa sia ufficializzata o meno.
Tutti provano a mostrare i muscoli in piazza e a dare spinta ai muscoli mostrati tramite un mediatore o più d’uno. FN, ad esempio, con le sue intelligenze clericali, al di là del valore di merito, sta giocando su più tavoli, forse già pronta a non sparire anche nel caso di una definitiva vittoria del PP.

La crisalide e la farfalla

Senza entrare nel merito delle singole differenze qualitative, quel che rende queste operazioni effimere è il fatto che si producono verso una realtà politica che sembra stabile ma che sta apprestandosi a trasformarsi moltissimo. Ragion per cui al momento di capitalizzare gli sforzi fatti, non si potrà in alcun caso modificare la linea o la composizione politica di una coalizione che sta trasmutando: si punta alla crisalide e quando ci si arriva eccola lì, in alto, che se ne va trasformata in farfalla.
Ecco perché c’è il rischio, il concretissimo rischio, di sporcarsi le mani per niente. O di fingere di averle pulite sporcandosele di nascosto per abboccamenti paralleli (che tra l’altro spingono per avvilenti trasformismi ideologici), sempre per niente.

Dei partiti

Intendiamoci; nessuno dice che le azioni partitiche o di piazza siano inutili. Esse sono utili comunque perché permettono di fare affluire sangue nuovo: Diventano controproducenti nella misura in cui si offra a questo sangue nuovo una contraffazione ideologica e uno schema mentale di altro tipo da quello verso il quale è istintivamente chiamato.
Restano sterili nella misura in cui l’idea del partito diviene onnicomprensiva; perché si fa soffocante, delimitante e snervante.
Sarebbero infine utilissime se si delineasse una dimensione strategica. Intesa nel suo significato preciso, con lo studio, non approssimativo e non ad uso e consumo delle proprie illusioni, delle forze in campo e del campo di battaglia.
Se si addivenisse a tanto, ecco che cesserebbero molti di quei danni cui assistiamo quotidianamente come lo scontro infinito tra forze parallele che mal si sopportano perché nella presenza altrui scorgono l’impossibilità di un’egemonia neo-staliniana. E, scontente, si sperticano in reciproci anatemi scorgendo ognuna nell’altra quei sintomi di “tradimento” che hanno improvvisamente smesso di cercare nella CdL.
Ma non sarebbe, questo, che un effetto benefico di un salto di qualità.

Il deserto cresce

Gli sforzi politici della d.r. sono destinati ad anni di attraversamento faticoso del deserto.
È mancata per decenni la grammatica politica elementare e non si è quindi ancora capito quale deve essere la composizione di un sistema di forze che non solo non si limita ad un contenitore unico ed uniforme ma prevede l’intelligente distribuzione di compiti e specificità.
Se i referenti cui deve ricorrere obbligatoriamente la d.r. per trovare uno straccio di sponda non fossero a loro volta dei portaborse laici o clericali, e se non fossero individualisti ma esponenti di una cerchia elitaria selezionata, oggi assisteremmo a ben altro spartito: uno spartito d’orchestra. E quindi parleremmo di ben altre prospettive che non quelle che stiamo commentando adesso.
Il gap però è troppo forte per illuderci che si possa colmare in breve. Per questo dico e ripeto che bisogna accingersi ad una lunga traversata del deserto. Ci vorranno forse cinque anni prima di poter esprimere qualcosa con un minimo di prospettive emozionanti.

Il miraggio e il sogno

Se si sopravvive al deserto senza lasciar morire le carovane si può, nel frattempo, operare per la costituzione di un referente minoritario che sia innovativo e trasversale, impersonale e gerarchizzato, e – soprattutto - il frutto di un’auto-genesi; un soggetto che può avere un preciso ruolo strategico di congiunzione.
Per questo servono specifiche peculiarità che sono obbligatorie. In termini politico/culturali si deve paracadutare un commando strategico nei luoghi di cerniera.
Esso deve assumere un ruolo aperto, cangiante e pungolante. Per dare delle immagini, questo soggetto dovrebbe comportarsi  alla “Foglio” o alla “Rosa nel pugno”; ovviamente con stile, contenuti e ispirazioni radicalmente altri, ma con il medesimo eclettismo. Proprio l’eclettismo e la trasversalità a tutto campo  rappresentano l’unica possibilità politica per una minoranza che non si voglia inginocchiare ad altre oligarchie. Queste caratteristiche poi offrono probabilmente l’unica garanzia di sopravvivenza e di rigenerazione di un capitale che si sta invece logorando e abbrutendo.
Detto in altri termini: se diamo spesso l’impressione di battere il passo a comando è perché in mancanza di un’avanguardia, le truppe servono le avanguardie altrui. Ebbene: o si diserta o si costituisce la PROPRIA  avanguardia: tertium non datur.
Necessitiamo più del pane di un interlocutore dinamico per le piazze giovanili e popolari (che resterebbero autonome sia nelle forme che nelle organizzazioni), ed abbiamo nel dna gli elementi che ci consentono di produrlo, basta  che sia erede della mentalità de L’Orologio, di Giovane Europa, di Lotta di Popolo e di Terza Posizione.
Certo, se si convergesse per la sua realizzazione sarebbe meglio, ma gli arroccamenti frammentari sembrano al momento prevalere, sicché l’operazione va, almeno per quel che concerne il microcosmo, faticosamente controcorrente; ma si può realizzare lo stesso.
Un sogno? Forse, ma se non altro non si tratta di un’illusione, di un miraggio: non ci culliamo nell’auspicio che le cose vadano un giorno come speriamo ma proponiamo subito una linea di tendenza  che va tracciata, magari prendendo il tempo di respirare un po’ e di guardare a quello che si fa, freneticamente nel quotidiano, con un occhio diverso.
E, nell’attesa, che lo spirito si faccia cammello!