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 L’orgoglio magiaro celebra oggi, giustamente, se stesso.
Possiamo disquisire sul fatto che l’Ungheria sia finita in un altro contenitore oppressivo e antinazionale, qual è senza ombra di dubbio il sistema occidentale e atlantico, ma di certo non si può con questo ridimensionare il valore di quella rivolta e di quello spirito nazionale che è resistito e resiste malgrado la sconfitta epocale ed apocalittica del 1945.
Dovremmo vergognarci pubblicamente di aver lasciato massacrare un popolo fratello.
Dovremmo interrogarci sul come sia stato possibile che quella rivolta, che pur faceva seguito ad un’insurrezione popolare berlinese, non aprì gli occhi in occidente; dovremmo chiederci come fu possibile che le aperture al Partito Comunista Italiano invece di arrestarsi si moltiplicarono proprio in quegli anni.
Invece l’occasione del cinquantennale serve soltanto ai soloni falliti, all’intellighenzia di allora, a quei parassiti che sentenziavano e  pontificavano, che santificavano o scomunicavano uomini e cose dall’alto delle loro cattedre tarlate: quest’occasione serve loro come una seduta di psico analisi.
Le reti televisive e le colonne dei giornali sono precettate da mummie intellettuali che furono - e probabilmente sono ancora - comuniste che ci raccontano i loro “drammi” privati. Le “lacerazioni” interiori nel prendere posizione per i boja  contro gli insorti, per gli invasori contro gli operai. E straparlano di “errori politici” e di “scelte inevitabili”. E ci spiegano come, poi, hanno rivisto la gerarchia dei propri valori concettuali. E si compatiscono e si leccano le cicatrici.
A questo è ridotta l’epopea ungherese, a questo la tragedia di un popolo che si è lasciato stritolare sotto i cingolati in nome dell’indipendenza nazionale: ad ammannirci l’outing dei disagi di gente senz’anima che mai ha creato alcunché ma nella vita ha  sempre e solo sputato saliva incorniciata di note sonore. Un’intellighenzia squallida e oscura che si è sempre presa, con presunzione arrogante, decadente e borghese, per il clero della rivoluzione finale che ci avrebbe tutti “redenti” nel paradiso terrestre.
Il dramma, signori cari, è che lì, cinquant’anni fa gente così se la scrollarono di dosso e che noi oggi perdiamo ancora il nostro tempo, e offendiamo la nostra dignità a dar loro il microfono!